Cultura, cinema e arte

"Cosa c’è di psicoanalitico in Mickey 17?" Recensione di Emiliano Alberigi

Il clone, il doppio e l’incontro con il fantasma per tornare a temere la propria morte. E cominciare a sentirsi vivi.


"Cosa c’è di psicoanalitico in Mickey 17?"  Recensione di Emiliano Alberigi

Mickey 17 è un film di fantascienza, anche se si potrebbe già discutere se di fantascienza si tratti. Alcuni hanno affermato in effetti che la fantascienza è un genere in disuso: il futuro non esiste più e dunque un genere che poggi sulla distopia dei futuri possibili non può che versare in cattiva salute. D’altronde eravamo ormai abituati, da Black Mirror in poi, ad una fantascienza dell’attuale: le deviazioni, esagerazioni e parossismi del presente. Per chi fosse interessato al concetto di sparizione del futuro rimando a quanto l’antropologo francese Marc Augé afferma in “Che fine ha fatto il futuro”: “(…) tra l’opprimente imprevedibilità di un futuro infinitamente aperto e tuttavia senza avvenire e l’ingombrante molteplicità di un passato ritornato a essere opaco, il presente è diventato la categoria della nostra comprensione di noi stessi”.

Mickey 17 si situa a metà: tra distopia del presente e scenari futuribili. L’antagonista è chiaramente la caricatura di un attualissimo Elon Musk, mentre la tecnologia che rende futuribile la scena appartiene al tipico repertorio della buona, vecchia fantascienza: una stampante di corpi umani in grado di clonare all’infinito lo stesso uomo reimpiantandogli tutto l’insieme dei suoi ricordi e tratti di personalità. La legge consente la produzione di repliche solo in caso di decesso dell’originale (o dell’ultima copia stampata), mentre impone l’eliminazione definitiva di ogni esemplare nel caso la persona venga clonata quando ancora in vita: in caso di doppioni in vita c’è l’estinzione definitiva.

Mickey, il protagonista si arruola dunque in una missione per colonizzare un nuovo pianeta nel ruolo di sacrificabile: colui che può essere sacrificato infinite volte perché in grado di essere ristampato e la sua coscienza reimpiantata nel nuovo corpo. Ma qualcosa va storto, la diciassettesima versione è così sfortunata da rimanere in vita nonostante sia stata data per spacciata mentre veniva stampato Mickey 18.

Ci sono tutti i presupposti per una trama alla Philip Dick, alla J. G. Ballard o addirittura alla Stanislaw Lem che attraverso Solaris ha vivificato l’immaginario di un inconscio onirico e desiderante.

Il film è divertentissimo e perfettamente godibile, ma purtroppo rimane a metà, e più che la bella fantascienza d’autore, nonostante il grandissimo regista di Parasite, Bong Joon-ho, ne sia l’artefice, ne esce una parodia del film di fantascienza, una sorta di fantascienza 17, ristampata e con la coscienza reimpianta in modo artificiale, eppure…non sembra possibile, ma qualcosa di psicoanalitico riesce a far dire.

La scena madre che trovo altamente evocativa è quando il protagonista scopre la paura della morte.

Ne ha un po’ paura la prima volta che dovrà morire per essere ristampato, perché non può ancora avere totale fiducia nel sistema che gli consentirà di ri-vivere, ma poi sarà ogni volta sicuro di tornare in vita e rimarrà solo la paura del dolore, ma non della morte in sé.

La vera paura della morte, tale che sarà spinto a reagirvi ed opporvisi, la incontrerà più avanti. Ne sarà terrorizzato solo quando incontrerà il suo doppio. Qui c’è forse una pista per evocare un pensiero psicoanalitico e per dare vita a dei fantasmi.

La trama ce ne dà una spiegazione razionale; per la prima volta Mickey 17 sa che se morirà, ad essere ristampato sarà il suo doppio al posto suo e quel suo pezzetto di coscienza, unico e singolare, sarà in effetti per sempre perduto e morto.

Giusto, e lo spettatore empatizza: non può che essere d’accordo e identificarsi col suo punto di vista.

Ma non credo che sia solo questo. È un’idea quella che viene proposta dall’immagine del film, ed è un’idea tutta da esplorare e percorrere.

Anche se viene proposta in modo parodistico ed inconsapevole, lì c’è odore di fantasma.

Il doppio è la mia immagine allo specchio, il vedermi altro da me senza che quello sia io, essere pensato nella mente di un altro, la mia immagine che non coincide con me stesso, o con una supposta essenza di me.

Il doppio è la capacità autoriflessiva che porta alla coscienza della nostra fine.

In lettura e mitologia il doppio è spesso inquietante. Sarebbe da rileggere O. Rank con il suo saggio sul doppio, ma sicuramente già Freud individua nel doppio il sentimento del perturbante.

Questo passaggio o scena del film suggerisce dunque che la morte non è perturbante di per sé, ma lo è sentirsi vivi e sapersi morenti al tempo stesso.

E, viceversa, potremmo chiederci: potremmo forse sdoppiarci senza saperci mortali? L’idea della nostra morte non ci apre forse a tutte le possibili figure del doppio? Da quelle positive, date dall’autocoscienza a quelle negative, date dalla dissociazione?

Il film si conclude con un’analoga sospensione: vediamo l’immagine della scritta a caratteri cubitali, Mickey 17 e il numero 7 che si trasforma in 8 solo a metà…



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