Avant-coup e Après-coup

Il futuro dei corpi nell’epoca della loro riproducibilità tecnica - di Walter Siti, Chiara Buoncristiani, Tommaso Romani

Colloquio quasi-cyborg con l’autore di "C’era una volta il corpo"


Il futuro dei corpi nell’epoca della loro riproducibilità tecnica - di Walter Siti, Chiara Buoncristiani, Tommaso Romani

La carne della sensazione

e la materia del sublime

Sono inestricabilmente connesse

F. Guattari. Caosmosi

 

Vale la pena raccontare cosa è successo.

In tre luoghi diversi dello spazio, tre diversi corpi, si sono connessi attraverso una piattaforma di servizi di videoconferenza.

Lo spazio che altrimenti ci avrebbe separati si è contratto elettronicamente per radunarci su uno stesso schermo. Lo stesso schermo che si ri-espande apparendo in tre punti diversi della Terra.

Abbiamo avuto una simpatica ed amabile conversazione di circa un’ora e mezza.

Nel frattempo, l’AI della piattaforma sintetizzava il contenuto dei nostri scambi verbali attraverso un processo di deep learning, natural language processing, rimescolando le nostre parole nel mare dei big data e, infine, creando un neuronal network post umano.

Durante gli scambi, un paio di volte, Walter si è chiesto se Chiara e Tommaso non fossero dei bot programmati dal Centro Psicoanalitico di Roma per fare interviste agli scrittori che intervengono al ciclo “Il cuore dell’umano”. 

Fin qui effettivamente, con buona pace del funesto demiurgo e di Cartesio, nulla potrebbe dimostrare l’esistenza di almeno due dei tre “corpi” presenti sullo schermo. Due perché il terzo si pone la domanda.

A seguito di lunga riflessione ci siamo convinti che la nostra esistenza non dovesse essere dimostrata in quanto individuale. Sarebbe stata una scelta autopoietica, ma avrebbe dimenticato che, come terrestri, non siamo mai soli, pensiero che non è solo una citazione di Donna Haraway, ma anche il senso che abbiamo voluto trovare nel saggio di Siti. L’autopoiesi è avvolta dalla simpoiesi, “con-fare”, che la srotola e la estende in maniera generativa.

Con l’accordo di Walter abbiamo quindi scelto di lavorare sul nostro incontro come un assemblaggio ecologico. Creare un compost ibrido della nostra interazione. L’autrice di Chthulucene usa un termine per definire questa entità simpoietica: “olobionte”.

L’olobionte è diverso dall’Uno e dall’Individuo. Attraverso nodi politemporali e polispaziali gli olobionti si ammassano in maniera contingente e in schemi complessi. “Le creature non precedono le loro relazioni, si creano a vicenda attraverso il coinvolgimento materiale-semiotico” (Haraway, 2016, p. 90).

In altre parole: abbiamo provato a sperimentarci come individui attraverso l’insieme delle nostre connessioni, l’insieme di un ospite e di molte altre entità che vivono all’interno o intorno a noi, che insieme formano un’unità ecologica discreta, attraverso la sim-biosi.

Cosa altro è un corpo se non un’entità allo stesso tempo materiale e semiotica? La materia semiotica è una chimica esuberante, perché mai del tutto traducibile: in questa esuberanza, sembra ricordarci Siti nelle conclusioni del suo libro, c’è sia la possibilità di legame, sia il desiderio d’amore dei corpi, sia l’amore di corpi nuovi sempre più connessi.

Walter lo avrebbe detto così “per il corpo è finita l’epoca dell’arrogante e sciovinistica autonomia, contro ogni apparenza il narcisismo non è che un riflesso sull’acqua; non si tratta di uscire da se stessi ma di riconoscersi umili frammenti di più vasti aggregati”.

Quello che avete letto fin qui e ciò che segue è il lavoro di compostaggio su questi aggregati del nostro incontro, reso attraverso un discorso indiretto libero: un tentativo di produrre quella che Paolo Fabbri chiamava una trans-semiotica, cioè una specie di “trasduzione”, in cui il passaggio tra sistemi semici provoca un incremento di senso, una morfogenesi.

Forse allora non è un caso che il discorso evochi, come sua prima figura, quella del “mostro semiotico”, nella persona di Paul Beatrice Preciado. Colui che sostiene di aver fatto del proprio corpo uno show room. A fine 2019, davanti ai 3500 psicoanalisti dell’École de la Cause Freudienne di Parigi, Preciado cita un racconto che Kafka scrive cento anni prima. Nel 1917, la scimmia parlante, protagonista dell’apologo kafkiano, spiega agli accademici cosa il dispositivo di soggettivazione e di umanizzazione della società europea abbia comportato per lei: dimenticare la propria vita di scimmia, imparare il linguaggio degli umani. E diventare alcolizzata per sopportare questo oblio.

Questo racconto dell’autore praghese apre alcune questioni centrali. Non è una forma di emancipazione e liberazione dall’animalità, né un passaggio fluido dall’animale all’umano, ma una critica all’umanesimo coloniale e alle sue tassonomie antropologiche.

Se non vuoi morire nella gabbia dove finiscono gli animali dello zoo e i corpi non conformi, devi entrare nel dispositivo della soggettività umana. A distanza di un secolo, il discorso della scimmia si propone come nuovo paradigma dell’epoca per via un corpo che sta mutando.

Questa mutazione spinge, ma al tempo stesso resiste ai processi di soggettivazione che continuamente cercano di limitarla, governarla, negoziarla e normarla. I due processi concomitanti sono: da un lato processi di deterritorializzazione, di slegame, e dall’altro processi di ri-territorializzazione, di legame, che ri-codificano gli spazi.

Si spiega forse così che il corpo trans sia iper-rappresentato nella semiosfera, poiché è metafora della condizione di cambiamento a cui siamo esposti.

Questo cambiamento tocca da vicino la divisione tra “dentro” e “fuori”, per come l’abbiamo conosciuta. Questa è la seconda figura del corpo che evochiamo.

Se a lungo abbiamo pensato il corpo come un contenitore e l’anima come il contenuto profondo e invisibile, oggi questo rapporto sembra non solo rovesciato, ma esploso. Tra i filosofi, hanno iniziato Deleuze e Guattari negli anni Settanta, affermando che l’Inconscio non è un teatro, ma un laboratorio. Matte Blanco, traendo alcune conseguenze del pensiero di Freud, lo ha detto così: “L’inconscio ha a che vedere con insiemi infiniti, che non hanno solo il potere del numerabile, ma anche quello del continuum” (Matte Blanco, I. The unconscious as infinite sets, 1975, p.17).

C’è dunque una dimensione della psiche che oggi, dentro questo nuovo paradigma, si propone come forma prevalente. Con Bifo potremmo definirla “psicosfera”: la sfera in cui i flussi di immaginario circolano intersecandosi” (Bifo, 2022, p.136). Si tratta dello spazio in cui l’informazione incorporea che viaggia nella “semiosfera” è trasdotta dai corpi nella sua forma di stimolazione psicofisica.

Tutte le figure emerse fin qui ci conducono allo stesso nodo, cioè a ragionare sul cambio di paradigma.

Che sia un cambiamento già in atto lo dimostra la politica internazionale. Nella misura in cui - come ci insegna T. Khun - ogni cambiamento di paradigma è preceduto dall’irrigidimento del paradigma precedente, è stato lo stesso presidente Usa Trump a ratificarlo. Quando ha stabilito per decreto che i sessi “naturali” fossero due, ha messo in cima all’agenda del Paese più potente del mondo la crisi del binarismo, il conseguente venire meno del modello contenitore/contenuto. E la metamorfosi.

Una domanda che spunta dall’attuale accelerazione consiste nel chiedersi che fine facciano tutti quei percorsi di soggettivazione, prima classificati come non conformi, tra cui l’omosessualità, per difendere i quali c’è stata una lunga lotta e un coinvolgimento dei corpi contro il potere. Oggi queste lotte potrebbero apparire, per citare Walter, “da buttare nel cesso”? Senza pretendere una risposta, si può osservare che, per quanto le nuove generazioni tendano, da copione, a buttarti nel cesso ci sono almeno due aspetti importanti da considerare. Il primo è che ogni nuova generazione “cestina”: non solo e non tanto a causa di una vicenda edipica e familistica, che al limite cercherebbe di arginare la portata dell’operazione, ma perché una verità dei corpi è che si invecchia e si muore. Vogliamo dire che la macchina del corpo funziona così. Non è la dinamica io-mamma-papà che fa fuori il padre, ma il corpo che muore nel momento in cui la nuova generazione porta il segno anticipatore di questa ineluttabilità.

Il secondo aspetto è più complesso. In occidente nulla accade che sia fuori dalla sua metafisica. Così anche questo cambiamento di paradigma si preparava “metafisicamente” da tempo.

Se è vero che le vie del signore sono infinite e i nostri aerei le percorrono, allora l’aereo che portava nel 1966 a Berkeley, al convegno della Johns Hopkins, Foucault, Derrida e Lacan (Deleuze era rimasto a casa, ma aveva inviato una lettera di ringraziamento) ha tracciato una nuova rotta a partire dalla quale attraversiamo il nostro tempo.

Non ce ne vogliano Freud e Jung, per l’olobionte di questa conversazione la vera peste in America la portarono quei francesi che hanno colpito il cuore stesso della metafisica classica. Il tutto sulla scia di Nietzsche, Bergson, dello stesso Freud e dello strutturalismo di Saussure e Levi-Strauss. Ad attaccare le sue Torri Gemelle di questa metafisica è stata la critica del concetto di presenza e dunque di identità. Il seguito è noto e gli americani ne hanno fatto un metodo utile alle battaglie della militanza sociale: la decostruzione.

Ciò che colpisce è che, negli ultimi decenni, le stesse soggettività prima tagliate fuori dalla macchina creatrice di definizioni che è la metafisica abbiano trovato proprio nelle armi stesse della metafisica gli strumenti per portare un attacco al dispositivo. Il femminismo, l’omosessualità, le lotte anticoloniali sono solo alcuni esempi.

Ma la metafisica è un dispositivo tanto quanto l’intelligenza artificiale, solo un po’ di più: è il dispositivo dei dispositivi, che dispone e rende disponibili.

Non immaginiamo che la decostruzione rappresenti un’operazione che spazza via codici per liberare corpi, come se il corpo fosse un fondo magmatico e ribelle poi disciplinato dalla cultura. Nulla di tutto questo. Non c’è nessun fondo naturale e tanto meno esiste un corpo umano non semiotizzato. Siti lo spiega bene. La nostra sopravvivenza e per vincere la competizione con le altre specie, fin dal principio della storia, il corpo del sapiens è codificato come tecno-corpo e connesso a manufatti, oggetti culturali, tecnologie.

Non ci si stupisca allora se “in centro a Milano o in coda per il modello must have di sneakers” i ragazzi e le ragazze sembrano corpi inconsapevolmente in posa. “Come se i loro corpi mi dicessero io non sono uguale a nessuno ma desidero somigliare a tutti, come se fossero un algoritmo vivente”.

La possibilità di essere algoritmo vivente è diretta conseguenza della materia semiotica di cui sono fatti da sempre i nostri corpi. E’ aumentata solo la pervasività di tale condizione.

Quei ragazzi e quelle ragazze in altre parole sono figli e figlie della stessa metafisica epocale.

Ciò che ci attrae e che ci spaventa di questa epoca è che, a breve, potremmo non avere più bisogno del corpo empirico, ovvero di un corpo che faccia esperienza nello spazio del mondo. Il Transumanesimo non è altro che questa distopia.

Ma come non vedere in quei ragazzi “in posa” nel desiderio di un paio di scarpe un desidero d’amore, un desiderio del desiderio dell’Altro? L’algoritmo crea un archivio del desiderio, ma non “non sa quanto il disgusto e la seduzione possano sovrapporsi”, crea un archivio ma non una biografia, conosce anche il nostro dimenticato, ma non l’inconscio, quel passato mai stato presente ma che virtualmente irradia sul futuro. Detto altrimenti: un Like incontra sempre una soggettività incarnata.

Quindi anche un corpo ibridato, tecno-connesso, potenziato da interfacce neuronali, protesi sintetiche e completamente digitalizzato, se sarà un corpo, non potrà che desiderare ed ammalarsi del suo bisogno di amore. Sospeso tra desiderio e paura. Magari in un modo che per noi oggi è inimmaginabile.

Infatti, il corpo non è definito da una sua natura a priori, ma da ciò che esso può. Spinoza, nel suo libro più importante, l’Etica, usa due termini: affectus e affectio. Definisce l’affetto (affectus) come la variazione della potenza di agire. Viceversa, l’affezione (affectio) è uno stato causato dal contatto di un corpo su un altro corpo. Ogni composizione di corpi è un’affezione, bene inteso il corpo per come lo pensa Spinoza non è solo un corpo umano. L’affezione è la combinazione di due corpi: uno che agisce e l’altro che viene segnato dalla traccia del primo.

Nelle affezioni dei nuovi corpi non c’è solo l’algoritmo. Ciò che può un corpo è anche scegliere di  di esistere altrimenti. Estorcendo all’algoritmo nuove intensità. “Io non è solamente un altro, ma una moltitudine di modalità di alterità” (Guattari, 1992). Questa eterogenesi di componenti verbali, corporee, spaziali, la nostra simpoiesi, genera sempre un’eterogenesi ontologica, creando universi possibili e alternativi, tanto più vertiginosi quanto più oggi è in grado di coniugarsi con la proliferazione di nuovi materiali e nuove rappresentazioni elettroniche.

Desiderare è creare ontologie. Tutto sommato quando Walter ammette che per lui esistono solo i corpi desiderati sta solo dicendo che è il desiderio che crea l’inconscio come virtualità del mondo, nella misura in cui lo rende desiderabile.

Desiderare a questo punto non è consumare, non è neppure mancanza che brucia, ma quella combinazione di corpi a cui faceva riferimento Spinoza. Lo stesso Freud ne La Negazione, distinguendo tra giudizio di attribuzione, l’assegnazione di una qualità ad un oggetto, buono-cattivo, e giudizio di esistenza, ciò che è buono esiste, ciò che è cattivo è lasciato fuori, assegna al desiderare un ruolo centrale nella creazione di mondi virtuali.   

Il desiderio, quando non è travolto dalla paura, “mondeggia”, nel senso che a questo neologismo dà Donna Haraway, richiamando l’idea di una co-creazione di mondo, attraverso pratiche di cura, responsabilità e interconnessione. Un processo collettivo che coinvolge molteplici agenti e forze. “Mondeggiare” è un invito a riconoscere la nostra interdipendenza e a coltivare relazioni sim-biotiche e rigenerative.

Desiderare radicalmente, sognare mondi possibili.

 



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