Cosmotiche del desiderio: spettacolarizzazione, dissociazione e godimento a gravità zero - di D. Bruno, C. Buoncristiani, T. Romani
Il 14 aprile 2025, la compagnia Blue Origin, fondata da Jeff Bezos, ha messo in scena il lancio di un razzo con un equipaggio interamente femminile. Sei figure celebri provenienti dai mondi della moda, della scienza e dell’intrattenimento sono state scelte per incarnare una narrazione di empowerment in orbita, sospesa tra retoriche pseudo-femministe e marketing spettacolare. Ne abbiamo parlato in tre, amici prima che colleghi psicoanalisti. Una conversazione che riportiamo in un discorso indiretto libero. Il pensiero "tra" noi, collegati da una piattaforma digitale e dall'affetto, un po' per gioco, un po' per dimostrarci che la tecnologia, a volte può avere altro effetto che non mandare in orbita. Quello che segue è il risultato del nostro dialogo.
L’estetica dell’evento che ha visto protagonista il razzo di Bezos e le quattro iconiche donne in tutina spaziale, largamente condivisa e commentata sui media, ha fatto emergere un sottotesto meno celebrato: un missile dalla forma inequivocabilmente fallica che trasporta sei corpi femminili mediaticamente codificati in uno spazio rarefatto, tanto letterale quanto simbolico. Più che un passo per l’umanità, l’operazione ha assunto i tratti di una sublimazione ipervisibile del potere maschile nella sua fase terminale: la rimozione dell’alterità sotto forma di empowerment performativo.
Nel contesto di un pianeta afflitto da crisi ecologica, disuguaglianze estreme e collassi sistemici, la corsa allo spazio privatizzata si configura come un dispositivo di fuga dal principio di realtà. La pulsione che anima queste imprese non è quella dell’esplorazione, bensì quella della disidentificazione: un desiderio regressivo di evasione dalla Tetta, dalla responsabilità e dalla coesistenza.
Siamo, in altre parole, di fronte a un godimento a gravità zero.
La psicoanalisi, del resto, ha sempre riconosciuto l’insistenza del desiderio nel rimuovere il limite, trasformandolo in spettacolo. E in questo senso il razzo non è solo veicolo, ma significante privilegiato del godimento contemporaneo, un oggetto transizionale tecnologico attraverso cui il soggetto narcisistico tenta di oltrepassare il trauma del legame.
Ma come ricorda Donna Haraway, il compito non è “trascendere” la Terra, bensì abitare con consapevolezza il vincolo. In un’epoca che sta provando a territorializzare persino la catastrofe, per poi ri-codificarla in stile turbo-capitalista, la vera responsabilità non sta nel progettare la fuga, ma nel riformulare il desiderio in relazione all’ecosistema, al vivente, al limite.
L’operazione Blue Origin, invece, si presenta come una bro-appropriation in alta quota: un uso strumentale della retorica femminista da parte del potere maschile, che si traveste di diversità solo per rinsaldare la propria centralità. È la messinscena di un’“inclusione” che non trasforma, ma decora.
A ben guardare, i miliardari del nuovo spazio glamour sono i fratelli dell’orda primitiva descritta da Freud in Totem e tabù: hanno ucciso il padre – nessun rimpianto, figuriamoci – ma invece di fondare un nuovo ordine, mettono in scena una parodia del potere. Non ereditano: recitano. Non costruiscono un mondo: ne simulano la forma, mentre si godono il vuoto. Lo spazio nel quale si ritrovano è morto.
Il razzo non è il totem, è un oggetto di scena di uno spettacolo in loop, una pantomima del dominio vestita da progresso.
Il razzo non è il totem: è il gadget commemorativo dell’omicidio, venduto in edizione limitata.
Bezos e i suoi razzi sembrano dirci che il problema non è la fine del mondo.
Il problema, per loro, è doverla affrontare insieme agli altri.
“L’uomo civilizzato ha scambiato una parte della sua felicità per un po’ di sicurezza.”
— Sigmund Freud
Ora pare che l’uomo post-civilizzato, armato di capitale simbolico e propulsione privata, abbia deciso di rinunciare anche a quella sicurezza.
In cambio, ci lascia una diretta streaming in cui la sublimazione si confonde con l’evasione, e il godimento con il branding.
E tuttavia, per chi resta – sulla Terra, nel corpo, nella relazione –non tutto è perduto. Perché nel tempo del volo, r/esistere alla tentazione di decollare è già un atto etico.
E anche, se vogliamo, una forma di desiderio radicale: non elevarsi, ma rimanere. Con tutta la difficoltà che questo comporta.