Avant-coup e Après-coup

Pensando a "La lettera e la morte. Andrè Green e la letteratura”, sabato 15 al CPdR - di Cecilia Ieri

Seminario Intercentri del 15 marzo 2025


Pensando a "La lettera e la morte. Andrè Green e la letteratura”, sabato 15 al CPdR - di Cecilia Ieri

Tra un andare verso qualcosa e qualcosa che viene a noi, con possibilità di distinzione ma non del tutto tra questi due movimenti.
Ho provato ad immaginare così questo ‘attorno’, questi contributi (avant-coup e aprés-coup) scritti da vari colleghi rispetto ai seminari del Centro di Roma, come un attorno, richiamo e invocazione alla necessaria messa a lavoro della temporalità nelle sue molteplici forme, oscillante tra progrediente e regrediente, stratificata e nucleo attrattore (come lo psichico inconscio, come la Recherche ripresa da Green), con tutta la portata della capacità di scompaginamento di questi aspetti.

Nell’andare e nel venire, viaggio e promenade, possibilità di incontro con quei lampi di altrove (spazio-tempo) in cui irrompe l’infantile irriducibile, quel prezioso tempo che non passa.

Mi è stato chiesto di scrivere questo avant-coup rispetto alla mattina di lavoro Intercentri CpdR e CPF del 15 marzo 2025 a cui parteciperanno Gianni De Renzis, il prof. Arturo Mazzarella, Fiamma Vassallo e Chiara Matteini.
Spunto di partenza dell’incontro sarà il un dià-lògos tra André Green e Dominique Eddè che è al cuore del volume La lettera e la morte del 2004, avente come sottotitolo, nella traduzione italiana di Valter Santilli, Le parole nella giungla

Sarà il primo Intercentri tra queste due realtà, da anni i miei due centri di appartenenza.  “Allora è il momento…”, mi sono detta ironicamente, attingendo a ciò che Green nel volume in un passaggio riprende dai Botella: “cercheremo fuori quello che corrispondeva a ciò che era dentro e non il contrario”. Il dentro insomma ‘precede’.
Di fronte ad un appuntamento ancora non avvenuto, in assenza di informazioni ‘reali’ rispetto a cosa verrà sviluppato dai vari relatori della mattina di lavoro, ho la possibilità di immaginare questo avant-scritto come potenziale d’urto/incontro con le mie fantasie/aspettative, desideri e premonizioni. Di scrivere dunque mettendo in gioco il mio pre-transfert rispetto ai lavori e rispetto alle parentele (generative o dannose, come sottolinea De Renzis nella Prefazione) che verranno poi esplorate, immagino, dai relatori tra psicoanalisi e letteratura, tra potenziali ‘seduzioni di vita’ e ‘seduzioni di morte’,  là dove la “e” tra le due discipline (così come ogni “e” che la psicoanalisi è tentate di istituire) può portare talvolta a sin troppo facili accostamenti e giustapposizioni.

Psicoanalisi e letteratura sono certamente territori che si sono ispirati e continuano ad ispirarsi a vicenda, che possono contaminarsi creativamente a vicenda, a patto di riuscire a farlo all’insegna di ‘congiuzioni da tenere imperfette’, come certe forme generative di separazioni. Qualcosa avviene, un’ispirazione monodirezionale o anche reciproca, un influenzamento, un temporaneo e giocoso ‘scambio di posto’ si possono compiere, sì, ma non del tutto, senza far fuori specificità, finalità e differenze.

In questo senso ci viene in aiuto la natura del volume derivante appunto da un dialogo, da interviste-conversazioni, forma di comunicazione che pur nel farsi scrittura cerca di tenere vivi movimento e vertici diversi. Questo aspetto lo vediamo, nella traduzione italiana, anche nel titolo voluto dall’uno (La lettera e la morte) e nel sottotitolo che deriva dall’altro (Le parole nella giungla), dall’immagine dal viaggio attraverso la letteratura e da quella (da sé e a sé)  presente nella Prefazione di De Renzis, immagini che accostandole richiamano alla possibilità di movimento e alla differenza.
Eddé, dopo aver ipotizzato l’aspetto di comunanza tra letteratura e psicoanalisi costituito, a suo parere, dall’oggetto comune della realtà della vita psichica, ci da modo di procedere, a mio parere, anche permettendoci di far vacillare questa congiunzione.
Questo mi è parso il senso anche di ciò che apre il volume, dove De Renzis ci propone un’anticipazione avversativa e intempestiva, cioè separativa.
L’ho giocosamente intesa come richiamo ad necessario ‘metodo della disgiunzione, della non coincidenza’, tra la possibilità di ripresa che c’è nel movimento di ritorno su se stessi che ci porta paradossalmente, ma non del tutto, da un’altra parte e la messa al lavoro dello spostamento-temporalità, nelle sue molteplici forme.
Il rapporto tra psicoanalisi e letteratura richiede di poter essere interrogato consapevoli del rischio di attrazione, annessione che c’è in ogni frettoloso e semplicistico accostamento, tra rischi di fascinazione, di perdersi nell’immaginario del ‘corpo unico’, del ‘due in uno’, invece che continuare a farsi disturbare dall’angoscia generatrice di forme, mai del tutto definite e definibili, del transito (tra, entre-deux) e dei frammenti (temporalità, identità, personaggi letterari) che sono pur sempre un richiamo al pluriel, un pluriel non infinito ma necessario di forme, di possibilità identificatorie mobili, di investimenti possibili, di vertici e percezioni diverse da tenere in gioco, soprattutto là dove la psicoanalisi talvolta pare andare in cerca di liason, tra mire espansionistiche e di conquista già evidenziate da Fachinelli e il bisogno di legittimazioni pseudo-fortificanti.
Il linguaggio e l’uso di un pensiero congetturale e immaginifico forse possono essere intesi come due elementi in comunque, tra altri,  tra psicoanalisi e letteratura, se pur anch’essi con finalità diverse nelle due discipline. In fondo questa “e” tra ambiti del sapere ci è utile soprattutto a ricordare la generatività e la necessità di tenere sempre in mente la possibilità dell’uso di un’ ‘altra scena’ come spazio di pensiero potenziale, come compresenza ineludibile nello psichico, di più realtà e temporalità.

In questo senso l’ ‘altra disciplina’, l’altro ambito del sapere è prima di tutto e sempre possibile precipitato e testimonianza dell’alterità (nelle sue varie configurazioni) da tenere viva dentro di noi come unica garanzia di creatività e pensiero.

E’ stata in fondo la messa al lavoro di una ‘funzione connettiva e insieme disgiuntiva’ a far sì che Freud, cercando di istituzionalizzare, mettere in una forma definitiva la psicoanalisi scrivendo la raccolta di saggi Metapsicologia,  poté ad un certo punto ‘perdere pezzi’ o incontrare l’incompiuto e imbattersi così nella Strega, immaginabile anche come personaggio letterario.
La letteratura è la scrittura, dice Green, e Deleuze sottolinea che lo scrivere e la letteratura si situano più sul versante dell’informe o dell’incompiutezza, del divenire, più che sull’imporre una forma: “la lingua ha l’obbligo di seguire deviazioni femminili, animali, molecolari, e ogni deviazione é un divenire mortale. Non c’é linea retta, né nelle cose né nel linguaggio”.
Anche la relazione tra psicoanalisi e letteratura, più che all’insegna di un “e” lineare, di una continuità la possiamo dunque immaginare come una zona di accostamento, luogo-tra, di precarietà, tra movimenti di contatto e possibilità di fuga e di defezioni.
Solo a partire da una ‘zona degli accostamenti’ possiamo incontrare aspetti di somiglianza inediti: lo psicoanalista e lo scrittore sono in fondo alle prese con un mestiere impossibile all’insegna del ‘non dover riuscire se pur senza fallire’ e la loro indagine/il lavoro attorno ad un oggetto inconoscibile e inafferrabile li tiene costantemente a stretto a contatto con il niente.
Se lo scrittore non ha niente da scrivere e non ha alcun mezzo per scriverlo, secondo Blanchot, l’analista, per Lacan, si fa garante e mezzo di un’esperienza che porterà il paziente a scoprire ciò che gli manca e lo fa collocandosi in una posizione tale da dare vita a quel vuoto in relazione al quale il paziente incontrerà il desiderio dell’Altro.

Se pur da vertici diversi e finalità altre, il niente, il vuoto è in certo senso un elemento se non l’elemento chiave della loro materia.

In un bellissimo articolo di De Renzis “Resti di niente”, pubblicato recentemente Frontiere, forse il miglior avanti coup al seminario di sabato 15 insieme ovviamente al libro di Green, si sottolinea come si possa costruire e mettere al lavoro il ‘resto di niente’, tra potenzialitá dell’anacronico e delle varie forme di temporalità, alle prese con la mancanza irriducibile di qualcosa di precedente non circoscrivibile, e la nostra impotenza costituente. Elementi che possono divenire materiale di irriducibili aneliti di desiderio, di legame con l’oggetto a e al tempo stesso sopravvivenze in grado di generare futuri anteriori.
L’inattuale con cui la psicoanalisi e la letteratura continuando ad essere alle prese lo si può dunque immaginare come possibile resto anacronico (potenzialità di ‘resto di niente’) che disturba, interroga, apre l’attuale-solo-presente che altrimenti rischia altrimenti di ‘cosizzarsi’, di divenire un
unica dimensione di realtà o un granitico pseudo-sapere istituito che chiude lo spazio del movimento tra tempi e tra forme diverse di pensabilità.

Il movimento, la non coincidenza tra ordine simbolico e realtà, garantiscono invece continue possibilità di simbolizzazione, di soggettivazione e di forme del pensiero.

Questi ingredienti ci aiutano a restare vicini, ‘attorno’, nei dintorni di quell’interminabile e necessario lavoro di continua ripresa delle tracce per future significazioni, soggettivazioni, in cerca, alla ricerca di saperi non troppo saputi e dunque sempre nascenti, ‘feriti’ cioè generativamente all’insegna di mancanze.

La possibilità di movimenti e di non coincidenza, le separazioni imperfette, i resti ci consento di incontrare forme di sublimazione come aneliti all’infinito, tentativi di eternizzazione tra una prima e una seconda morte ma non troppo, o non del tutto, all’insegna di naturalizzazioni eccessive, non troppo in salvo cioè dagli scompaginamenti vitali dell’infantile.

 



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