(Il film The Brutalist ha ottenuto tre premi Oscar durante la 97 edizione degli Academy Awards, miglior attore protagonista ad Adrien Brody, migliore colonna sonora, migliore fotografia)
“Monumentale”. Forse è questo il termine che maggiormente si addice a questo film che merita non solo tutti i premi possibili, ma di entrare nella memoria di ciascuno di noi. Perché spiega come certi traumi si infilino nelle pieghe di quelle tracce mnestice e inconsce destinate alla trasmissibilità attraverso le generazioni.
“Brutale” è l’altro termine. Protagonista assoluto del film, tanto da meritare il red carpet dell’attenzione totalizzante dello spettatore. Brutale è l’arroganza folle del potere. Usato come atto di prevaricazione sull’altro. Nell’intento di assoldarlo al servizio perverso del suo predominio assoluto. C’è un godimento sottile, infatti, nel piegare il debole allla mercè delle proprie fantasie. Ma c’è una forza imprenscindibile che naturalmente va contro , come una corrente inarrestabile e forte, la cultura della cancellazione e della rimozione. Navighiamo a vista nel mare magnum del diniego rispetto a un certa parte della storia che testimonia la brutalità
della violenza. Come esseri umani ne siamo capaci al punto da arrivare a credere di poter eliminare razze intere, colori della pelle, culture, religioni, e naturali movimenti di popoli nel mondo. The Brutalist, il film, ci porta per mano nella lotta quotidiana, impari, sottile, inarrestabile, che fa chi porta il peso insopportabile di un trauma talmente radicato e profondo da incidere sullo scandire di ogni giorno restante della vita. Lo stupro di Harrison Lee Van Butrn ai danni di László, è la rappresentazione, brutale appunto, dell’atto massimo di predominio.
La macchina da presa sosta, attraverso le inquadrature fisse, sulla magnificenza delle opere architettoniche costruite dall’architetto ebreo. L’architettura brutalista, stile scelto da László per le sue opere, riflette la sua psiche traumatizzata. Le strutture massicce e spoglie del brutalismo come rappresentazione esterna della sua esperienza interiore di sopravvissuto all’Olocausto.
Le linee spigolose, il cemento, le forme forti, mettono in scena il vissuto di certe emozioni che non possono essere colorate, vitali, decorate a festa. Ma che possono prendere solo tutto lo spazio possibile, intrudendo e fendendo l’aria, e togliendo ossigeno a chi le guarda. Restituendo quella sensazione di morte che conosce bene chi ha perso la vita psichica sotto l’egida del trauma. Fa male al cuore la visione di questa pellicola, brutale nella sua essenza, ma fa bene alla mente, allenandola alla visione senza filtri di una certa memoria storica. Tragica, assoluta, ma meritevole di infinita verità.