Psicoanalisi nelle istituzioni

100 ANNI DALLA NASCITA DI FRANCO BASAGLIA di Ezio Maria Izzo, Psichiatra-Psicoanalista. Membro Ordinario con funzioni di training della SPI

Non solo perché malati, ma anche e soprattutto perché ultimi nella scala sociale, dimenticati negli Ospedali Psichiatrici.


100 ANNI DALLA NASCITA DI FRANCO BASAGLIA di Ezio Maria Izzo, Psichiatra-Psicoanalista.  Membro Ordinario con funzioni di training della SPI

 100 ANNI DALLA NASCITA DI FRANCO BASAGLIA

di

Ezio Maria Izzo, Psichiatra-Psicoanalista.

 

 

Nell’intera Europa e anche nel resto del mondo occidentale, il nome di Franco Basaglia, oggi a 100 anni dalla sua nascita, ma certo anche nei decenni che verranno, sarà ricordato non solo per il suo impegno di psichiatra sociale e politico, ma anche per la sua vasta visione filosofica attraverso la quale egli vedeva l'esistenza umana. 

Il suo pensiero, ereditato da quello di Edmund Husserl e Merleau-Ponty, ma anche influenzato da Michele Risso sulla nuova psicologia di Sigmund Freud, fu l'impegno concreto di tutta la sua vita.

Sappiamo poco dell'amore, ci dice Freud, ma sappiamo poco anche dell'essere, ci dice Husserl dal punto di vista del suo metodo fenomenologico che indaga la realtà in quanto tale, nel suo rivelarsi, nella sua “datità”, nel suo “apparire”. La conoscenza, secondo Husserl, deve perciò essere descrittiva su ciò che appare nell'immediato, non una metodologia discorsiva ma schiava di pre-concezioni, come era stata spesso in passato.  Così possiamo dire che Franco Basaglia ci ha riportato all' idea cartesiana di una conoscenza “chiara e distinta”, che è egualmente immediata. 

Basaglia conobbe presto i luoghi dell’esclusione, della violenza, delle terapie convulsivanti e della lobotomia, terapie incapaci di cogliere una minima prospettiva di senso, sostituita poi negli anni '50 con l’uso egualmente repressivo degli psicofarmaci, un uso comunque di copertura dell'impotenza della sola terapia biologica. Vedendo tutto ciò, Franco Basaglia decise di rinunciare alla carriera Universitaria, quindi alla ricerca teorica sulla malattia mentale. Pochi ricordano che egli aveva vinto un concorso nazionale per una Cattedra di Psichiatria, ma si dimise ben presto rinunciando alla carriera accademica.


Si dedicò alla crescente problematica manicomiale, a quelle sfortunate persone che, non solo perché malate, ma anche e soprattutto perché ultime nella scala sociale, erano state dimenticate negli Ospedali Psichiatrici.

Allo psichiatra-psicoanalista Fausto Petrella, docente alla Università di Pavia, che gli chiese il perché di quella insolita decisione rispose, come ricorda lo stesso Petrella, che egli si era dato soltanto il compito di chiudere tutti quei posti dove si perpetravano tanti “crimini di pace”.  Risposta emblematica di uno psichiatra eticamente impegnato nel sociale, prima del fare psichiatrico. A 100 anni dalla nascita, dobbiamo riconoscere che si stanno spegnendo i dibattiti sulla problematica della incuria delle persone che chiedono aiuto per il proprio disagio mentale.

E forse a tal proposito è utile citare il drammatico docufilm di Agostino Raff e Gianni Garko, che racconta una esperienza romana di chiusura forzata di una Comunità-Cooperativa di lavoro - Basaglia l’aveva visitata- sulla quale si può leggere un’intervista realizzata dalla collega Martina Balbo di Vinadio (sito CPdR, Rubrica Psicoanalisi e istituzioni). Anche la lettura, di almeno alcuni dei numerosi libri di Basaglia, non è più consigliata nelle scuole di specializzazione universitarie, tornate a privilegiare la psichiatria biologica. Purtroppo "Morire di classe", "L' Istituzione Negata", "Crimini di Pace", "Che cosa è la Psichiatria", oggi, nella formazione dei nuovi psichiatri non è più richiesta.  

Assistiamo anche, purtroppo, all'esclusione della psicoanalisi dalle scuole di specializzazione universitarie, perché ritenuta non più necessaria per pensare alla complessità dell’essere umano e per capire il significato della sua sofferenza psichica.

Chiusi con la legge 180, del 1978, i luoghi dove si compivano “crimini di pace”, se non fosse prematuramente scomparso, forse Basaglia sarebbe riuscito anche a ripensare a quella Cattedra rifiutata, per riportare nelle scuole universitarie quelle discipline che rifacendosi ad una cultura filosofica, esistenziale e psicoanalitica, non ignorano la funzione critica, che sempre deve accompagnare ogni psicoterapia che apre, anche per il terapeuta, un lavoro psicologico su di sé. Purtroppo stiamo assistendo invece alla supremazia di una psicoterapia che esclude l’orizzonte dell’umano, riducendo la cura, che è un prendersi cura, a sterili schemi operativi, che riportano a classificazioni meccaniche ed infine soltanto a prescrizioni farmacologiche.

Contro una tale condizione, Franco Basaglia avrebbe iniziato una sua nuova battaglia, mentre con rammarico, dobbiamo constatare che anche noi analisti non siamo riusciti a riportare la nostra disciplina più vicina all’attenzione sull’influenza delle dinamiche sociali sulla psiche. 

Con entusiasmo dobbiamo quindi accogliere l’impegno del Presidente, con tutto l’Esecutivo SPI, che sostiene Tito Baldini nella conduzione del gruppo di lavoro "Psicoanalisi e Sociale", che speriamo possa anche incidere sulla formazione dei futuri analisti, i quali in ambito universitario non hanno ricevuto purtroppo né informazione né formazione su questi aspetti.
Franco Basaglia ebbe fra i suoi collaboratori, come ho detto, lo psichiatra Michele Risso che aveva una formazione e una grande passione psicoanalitica. Anche a lui deve essere dato merito per l’ispirazione della rivoluzionaria concezione della salute mentale, che la legge 180 del 1978 ha introdotto.

Iniziata l’esperienza clinica nell’O.P. di Gorizia, cui seguirà poi quella negli O.P. di Arezzo e di Trieste, Basaglia poté concretamente riflettere sulla nozione, mediata da Husserl, di corpo vissuto, che sancisce il superamento dell'eredità cartesiana tra psiche e soma, rivoluzionando questa divisione e traducendola nell'unità "corpo per sé" - "corpo per gli altri". Agli sfortunati pazienti, che venivano ricoverati e rinchiusi in spazi costruiti a misura per le malattie somatiche, che sono qualcosa di molto diverso dalle gravi difficoltà di chi non riesce a costruire identità e struttura psichica, veniva subito abolita la libertà del proprio corpo. È emblematico il rifiuto che Basaglia oppose, il primo giorno da Direttore dell'O.P. di Gorizia, a colui che gli chiedeva di firmare le contenzioni notturne. Il ricovero e la contenzione, in luoghi che non avevano alcun progetto terapeutico, bensì solo di emarginazione e di esclusione a vita dai rapporti sociali, determinavano ciò che a Basaglia apparve subito in evidenza: l’annullamento della corporeità, snaturata inevitabilmente dal lungo e spesso definitivo internamento. Egli riprendeva la visione fenomenologica dell’essere umano, sostenendo l'unità di mente e corpo-mondo, naturalmente “interessato” e quindi volto agli altri che l’Istituzione manicomiale nascondeva col suo controllo totale. Pertanto, non volle interessarsi né di classificare, né di indagare la psicologia della psiche malata e definì la sua proposta una “seconda epoché”, cioè una necessaria sospensione del giudizio per mettere in atto la chiusura dei lager manicomiali come obiettivo primario.  

Non rimasi pertanto meravigliato quando incontrai Basaglia, nominato Sovraintendente dell'assistenza psichiatrica della Regione Lazio, nella sua visita all'Ospedale di Guidonia e Roma, per parlare anche delle Comunità di Riabilitazione Psico-Sociale, da me promosse in un'area alle spalle dell'Ospedale. Mi parlò del suo timore che dietro quella proposta, si potesse nascondere, ancora una volta, la forza del "potere del sapere", per mantenere e non per superare le logiche manicomiali.

A suo modo di vedere la "Comunità- Cooperativa di lavoro protetto" poteva essere utilizzata come una "gabbia d'oro", che non avrebbe fatto esplodere le contraddizioni della cultura manicomiale, portandola a sopravvivere. Il mandato della cura nascondeva una finzione, mentre l'unica operazione in cui Basaglia impegnò tutta la sua vita fu di chiudere i manicomi e di portare il problema nella dimensione politica più generale. Lo incontrai due volte e, pur fermo nella sua convinzione, si mostrò comunque interessato a quell’esperienza, alla quale si addicono le parole di Freud: "Nessun’altra attività lega così tanto l'uomo alla società, come il concentrarsi su un lavoro" (Freud 1929 “Il disagio della Civiltà”). Ma non ci fu tempo per parlarne ancora e, sul primo atto della rivoluzione di Basaglia non credo si possa non essere d'accordo.

Poco dopo, purtroppo prematuramente, Franco Basaglia morì, dopo la promulgazione della legge 180 del 1978 e dopo aver visto così compiuta la sua opera di civiltà, fra le più straordinarie del novecento, per la quale la psiche sofferente non era più vista come una condizione di "pericolosità sociale" annullante ogni diritto della persona, bensì come condizione mentale di un soggetto sociale con ogni diritto umano.



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