Contro ogni negazione, per non dimenticare. Progetto editoriale della Provincia di Roma e di ITS (International Tracing Service)
16.10.43. Li hanno portati via
Il volume è stato scritto nel 2012 da Umberto Gentiloni e Stefano Palermo a seguito del ritrovamento negli archivi dell’International Tracing Service di Bad Arolsen della documentazione, in larga parte inedita, relativa alla vicenda di centinaia di bambini ebrei romani deportati dai nazisti tra il 16 ottobre 1943 e la primavera del 1944 e assassinati nei campi di sterminio. Per bambini, nell’ambito della ricerca svolta, si intendono le persone di età compresa tra zero e tredici anni.
L’International Tracing Service di Bad Arolsen (Germania) è un’istituzione della Croce Rossa Internazionale istituita verso la fine della guerra per cercare di coadiuvare le ricerche (e l’eventuale rimpatrio) di milioni di persone deportate nei campi di concentramento o costrette a emigrare forzatamente dai loro luoghi di origine dall’esercito e dall’amministrazione nazista durante il conflitto. Attraverso il recupero di diverse fonti documentarie (archivi nazisti, elenchi di deportati redatti dalle comunità locali, dalle amministrazioni civili o dalle autorità militari dei paesi coinvolti nel conflitto, ecc…) l’International Tracing Service divenne uno dei nodi nevralgici della raccolta delle informazioni sul destino di oltre quindici milioni di persone e uno dei punti di arrivo delle richieste di informazione sul destino delle “persone disperse” da parte dei loro cari sopravvissuti o rientrati nei luoghi di origine.
Dal 2006, l’ITS è diventato un centro di documentazione archivistica e di ricerca aperto al pubblico e agli studiosi. Nello specifico, il volume di Gentiloni e Palermo presenta circa 200 schede identificative di bambini romani appartenenti alla comunità ebraica deportati (il numero non corrisponde a tutti i bambini deportati, ma a quelli di cui vi è documentazione a Bad Arolsen); le schede raccolgono generalmente pochi dati identificativi: dati anagrafici quando posseduti, luogo della deportazione (talvolta la data del decesso) e su tutte, o quasi, la scritta «16.10.1943». La scheda veniva, infatti, compilata dai funzionari dell’ITS per “censire” tutte le persone la cui presenza fosse inclusa nelle varie liste o materiali che giungevano a Bad Arolsen.
Nell’immediato dopoguerra, il recepimento da parte dell’ITS della richiesta di notizie dall’Italia sulla sorte dei bambini avviava in alcuni casi un procedimento complesso, un carteggio con invio di informazioni e ipotesi. I “corrispondent files” di queste corrispondenze sono parte integrante della documentazione, spesso contengono immagini, schedine, tracce di un mosaico di tentativi: trasmissioni della richiesta a vari uffici, risposte o sollecitazioni, comunicazioni interne, richiami o inoltri ad altri organismi internazionali. Questa parte della documentazione utilizzata nel volume di Gentiloni e Palermo rispecchia, da un certo punto di vista, una cronologia inversa rispetto alla dinamica della shoah. Infatti, ciascuno dei fascicoli muove in prima battuta dal (vano) percorso di ricerca effettuato dopo la fine del conflitto da parte dei familiari dei deportati, che scrivevano alle autorità e alle istituzioni internazionali per avere notizie dei propri cari.
Di circa trenta bambini è stata ritrovata anche una piccola fotografia, utilizzata come traccia immediata, verifica visibile. Immagini spedite da familiari e parenti per agevolare la ricerca dei loro cari; quasi sempre ritraggono momenti di vita familiare, partite di calcio, passeggiate in bicicletta, una famiglia per le vie della città, le prime foto di una bambina o di due fratellini scattate per ricordare momenti particolari o giornate di festa. Immagini accompagnate spesso da poche righe di commento, in molti casi con struggenti richiami agli ultimi spazi di vita, prima dell’inizio della fine.
Da un certo momento in poi i fascicoli contenenti queste foto dei bambini romani vengono accorpati e unificati dai funzionari dell’ITS in un elenco di «32 bambini» che viene inviato nelle varie sedi della Croce Rossa nelle zone di occupazione alleata e nei centri internazionali che si occupano della ricerca dei dispersi.
Quasi tutti i casi dei bambini romani si chiudono con frasi senza speranza: «Il caso è chiuso», «Nessun’altra ricerca è possibile», «Non abbiamo ulteriori notizie».