Recensione a cura di Lidia Merolli
La tesi degli autori viene sviluppata a partire dal presupposto dell’inseparabilità mente-corpo e della stretta connessione tra salute mentale e cambiamenti climatici.
Nel ricostruire storicamente l’andamento delle variazioni climatiche del nostro pianeta, gli autori ne individuano alla base una “causa antropica” (pag.7), definita come un insieme di fattori che hanno un impatto molto più veloce degli eventi geologici, e che ha effetti in scala planetaria.
Nei primi due capitoli, ne fanno una ricostruzione dettagliata.
Il cambiamento climatico è un sintomo secondario al modello di sviluppo vorticoso della nostra società a partire dal dopoguerra.
L’urbanizzazione e la crescita esponenziale dell’uso delle risorse, con l’impiego crescente di materiali fossili che producono gas serra avvolgendo l’emisfero come una coltre, hanno un’incidenza sull’aumento globale delle temperature. I cambiamenti ambientali lenti e progressivi convergono verso quelli che gli Autori definiscono “tipping point” (pag.44), punti di non ritorno o di ribaltamento, in cui avviene una significativa variazione del regime ambientale da stabile ad alternativo.
Attualmente si sono già raggiunte diverse di queste soglie di non ritorno, che sembrano preludere ad un collasso irreversibile del nostro ambiente e della nostra civiltà.
Gli autori, a questo proposito, fanno riferimento al libro del filosofo Tim Mulgan che parla di un “mondo spezzato”, inabitabile (pag.55). Il diffuso senso di minaccia e incertezza per l’incombere di fenomeni catastrofici e imprevedibili, diventa traumatico quando eccede la capacità dell’individuo di poterli elaborare. (...)