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Cammina leggera, di Maria Chiara Risoldi (Manni editore) - Premio Gherardo Amadei 2022.

“Un libro struggente e arrabbiato come una poesia di Yeats”


Cammina leggera, di Maria Chiara Risoldi (Manni editore) - Premio Gherardo Amadei 2022.

Recensione di Daniela Scotto di Fasano
 
"Desidera vesti di cielo", è il primo verso (nonché il titolo) di una struggente poesia tratta da "Il vento tra le canne" (1899), di William Butler Yeats, e "cammina leggera, perché cammini sui miei sogni", è l’ultimo.
 
Cammina leggera è il titolo del primo romanzo di Maria Chiara Risoldi, collega (fino a poco tempo fa anche in Spi) e amica. Un libro, come la poesia di Yeats che ne costituisce l’incipit, struggente. Cammina leggera è un romanzo dolce che si legge tutto d'un fiato, ma anche un romanzo cattivo e, sicuramente, arrabbiato. Nelle sue pagine, molto ben scritte, il lettore è costretto a fare i conti con l’esito di legami familiari amari, difficili, contorti, fatto che, come psicoanalisti, ci intriga e ingaggia anche in termini professionali, dal momento che il nostro mestiere ci costringe a impregnarci di dolore, a soffiare su braci morenti per riavviare le fiamme di fuochi quasi spenti, a sentirci aggredire (così vuole il transfert) da rabbie nate altrove, con altri. E, se tutto va bene, se abbiamo saputo, come analisti, camminare leggeri sui sogni dei nostri pazienti, allora la fiamma dei sogni e delle speranze torna calda a brillare.
Purtroppo alla protagonista di Cammina leggera non è andata così, due analisi, entrambe asettiche, anaffettive, due analisi e due analisti che non hanno saputo (potuto?) fornire alla paziente – Matilde – una presina che la aiutasse a entrare in contatto e a poter avere a che fare con il materiale incandescente della sua vita. La metafora che assimila l’analisi a una presina non è mia, ma del mio secondo analista, che mi ha davvero preso per la collottola e rimessa in moto. A Matilde questo non è purtroppo accaduto, sui sogni di Matilde nessuno ha camminato leggero. Non i suoi genitori, non il fratellone amatissimo dalla cui morte prende il via la storia narrata nel libro, non (ovviamente) gli uomini che le saranno compagni nelle sue storie d’amore (come ogni buon analista non può non ipotizzare, data la coazione a ripetere). Matilde crolla, si rifugia in una clinica dove guarda in faccia e affronta il fatto di essere malata, dando anche il via a una psicoterapia. Che, questa volta, funziona. Qui un mio quesito all’Autrice. La psicoterapia descritta non ha nulla di diverso, a mio parere, da una buona analisi; il dottor Giacchetti, lo psicoterapeuta, parla, sorride, accoglie, interpreta. Come ormai oggi qualunque psicoanalista che non dismetta vesti umane. Che io sappia, oggi analisti muti non ce n’è. I due analisti descritti da Matilde al dottor Giacchetti, con i quali lei è giustamente molto arrabbiata, non sono, a mio parere, tutti gli analisti, anzi.
Come sempre, la vita è fatta di incontri, e il mio secondo analista, alcuni supervisori e alcuni maestri sono stati tutt’altro che “sacerdoti della religione freudiana” (p.69), come Risoldi scrive. Ricordo ad esempio che, giovane apprendista, andai a effettuare un tirocinio in una struttura dove si curavano bambini molto gravi. Gli psicoterapeuti a orientamento psicoanalitico, alla prima riunione cui partecipai, mi dissero di non aspettarmi molto da questi piccoli pazienti: “Sono troppo gravi”. Riferii questa frase alla mia supervisora, Dina Vallino, che si accigliò e, con la severità che le era tipica quando era necessario, mi consigliò, se volevo anch’io pensarla così, di cambiare mestiere.
Ecco, la domanda che rivolgo a Maria Chiara Risoldi è: perché assimilare tutti gli psicoanalisti ai due pessimi analisti di Matilde, con i quali Matilde ha fatto (le ha contate tutte???) 1.600 (inutili, a suo parere) ore di analisi. Perché fare di tutte le erbe un fascio? Certo, ahimè, può capitare di fare cattivi incontri, di trovare nella stanza d’analisi il lupo di Cappuccetto Rosso, e non mi riferisco  necessariamente alla seduzione sul lettino. Molto più banalmente, penso a colleghi abusanti perché, come quelli descritti dall’Autrice, anaffettivi, incapaci di camminare leggeri sui sogni dei loro pazienti, ne conosco e ne ho conosciuti, purtroppo anche in maniera molto diretta sulla mia pelle nella mia prima analisi. Ma poi ho incontrato maestri e colleghi caldi, empatici, rispettosi, capaci di lavorare proprio come il dottor Giacchetti del romanzo, lo psicoterapeuta di Matilde in clinica. Mi preme sottolineare questo aspetto, che, nel libro di Maria Chiara Risoldi, rischia, in mani di non addetti ai lavori e,  soprattutto, nelle mani di persone che sono in cerca di un dottore capace di camminare leggero sui loro sogni, di dissuaderlo dal cercarlo in associazioni di quelli che Risoldi definisce "sacerdoti della religione freudiana" (p.69). Certo, ci sono ottimi psicoterapeuti anche fuori da tali associazioni, ne conosco, e spesso vi faccio riferimento, perché no?
Ma, appunto, senza preclusioni che definirei ‘ideologiche’, le quali rappresentano secondo me una delle due facce di un’unica cattiva medaglia:
 
‘O associazioni di “sacerdoti della religione freudiana” (p.69) o niente’ 
versus 
‘In società con “sacerdoti della religione freudiana” (p.69) meglio di no’.
 
In questo aspetto, che a mio parere assume connotati ideologici eccessivi (e forse, anche, un po’ fuori luogo), c’è tutta la rabbia dell’Autrice. Per i tipi di analisti che ha incontrato, giustificata. Ingiustificata se permette ai lettori di ipotizzare che ogni psicoanalista sia così. 
Detto questo, il libro è tenero, dolce, bello, come scrivevo nelle prime righe è un libro struggente. Matilde ha sessantasei anni, è una psicoanalista di un’importante associazione psicoanalitica dopo essere stata una brava bibliotecaria e un’ottima giornalista; ha una diagnosi di Parkinson; ha un compagno che ama e dal quale è riamata ma il loro rapporto è in crisi; e ha tanta voglia di recuperare: abiti fatti di cielo da scoprire e indossare, di sentirsi ancora desiderabile, amabile, di indossare scarpe con il tacco e di mettersi il rossetto. Matilde è una donna coraggiosa, che si confronta con forza con i propri errori e con le proprie fragilità, è onesta nel dire di sé al dottor Giacchetti. E’ onesta - e, anche, necessariamente implacabile e dura - con Piero, il suo compagno.
Si tratta di un libro a mio avviso anche molto prezioso, perché ( perciò si sente che è una psicoanalista che scrive!) mostra come molte coppie sono formate dalla complementarietà di due malattie: “Eravamo due malati che forse avrebbero dovuto evitarsi, ma le nostre malattie erano complementari e ci siamo stretti in un abbraccio […] Ulisse e Penelope. Tu eri Ulisse e io ero Penelope. Non voglio più essere Penelope.” (pp.155, 156). E poi, prezioso perché mostra come il cambiamento di uno dei due membri della coppia possa provocare il cambiamento dell’altro.
Cammina leggera, insomma, al di là del significato mutuato dalla poesia di Yeats, già più volte sottolineato, è un libro che sostiene la speranza, che mostra come possa essere non solo utile ma (via via che il materiale è meno incandescente e la presina sempre più inutile), perfino inaspettatamente bello scavare nel dolore.


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