La graphic novel de “l’uomo che sente le voci” decostruisce il dispositivo sanitario e la violenza della diagnosi: autobiografia e progetto politico per una riscoperta della dimensione collettiva
“Nella casa dei pazzi il dolore è un ospite usuale.
Ma l’amore che manca è l’amore che fa male”.
Canzone per Alda Merini.
Roberto Vecchioni
“Tutti hanno sperimentato almeno una volta qualcosa di simile alla follia. E’ normale che ci si stringa la corazza sul petto e ci si annodi le bende sugli occhi quando la follia si trova nei paraggi. (…) Nel momento in cui si ammette qualcosa del genere davanti a chicchessia, sotto la pressione più o meno dissimulata dello psichiatra di turno o semplicemente spinti da un’ingenua onestà, qualcosa si spezza nell’invisibile spazio circostante”.
E’ con una critica radicale, cioè con un richiamo alla “Dismisura” della follia (come anche della vita stessa) rispetto a ogni forma di dispositivo sanitario, che diventa interessante celebrare la Giornata mondiale per la salute mentale del 10 ottobre. Tanto più che per il 2022, l’iniziativa che vorrebbe promuovere la consapevolezza e della difesa della salute mentale contro lo stigma sociale ha scelto il tema “Rendere la salute mentale e il benessere di tutti una priorità globale”. Nel libro di Fernando Balius, illustrato dai bellissimi disegni di Mario Pellejer, a parlare in prima persona è l’autore stesso, “una persona che sente le voci”.
Nella sua graphic novel, Balius ci mette a disposizione la sua esperienza, perché “semplicemente a volte è necessario raccontare determinate storie, prendere posizione. Potete anche chiamarlo schierarsi (…). Strappare un pezzo di vita alla morte”. In questo metterci la faccia l’autore svela la dimensione politica che si costruisce nel farsi di ogni autobiografia.
Il problema, ci dice “l’uomo che sente le voci” sta nella dimensione comunque violenta, qui ci viene in mente la violenza dell’interpretazione di Piera Aulagner messa in campo da ogni diagnosi: la qualità performativa di ogni classificazione, che istituisce una realtà nel momento in cui la nomina. Se questa realtà è la malattia mentale è importante parlarne, per decostruire i meccanismi che fondano lo stigma. Si crea un vuoto intorno a chi soffre. Un vuoto che la società capitalista, attraverso livelli istituzionali e individuali, pone come difesa della propria normalità. Balius, il quale vive e lavora in Spagna, ci ricorda quanto sia ancora necessario denunciare la mancanza di cultura della salute mentale e la difficoltà di vivere che ne deriva. “Se il dolore è individuale, potrebbe sembrare che anche le soluzioni lo siano. (…) in un mondo miope in cui i problemi collettivi attraversano la vita degli individui per emergere come problemi personali”. Il disagio mentale è qualcosa che permea il tessuto sociale, ma l’individualismo e i dispositivi sanitari, come risposta politica collettiva, hanno fatto sì che a portare per tutti la croce siano i “pazienti psichiatrici”. È un punto di vista dichiaratamente antipischiatrico, che riporta al centro della discussione gli studi di Foucault, Deleuze e Guattari, autori che seppure mai citati sono presenti in ogni pagina del testo.
Senza fermarsi a descrivere la profondità delle proprie ferite, l’autore ci invita a “scoprire la bellezza e anormalità dei punti di sutura”. Per l’autore descrivere i punti di sutura significa indicare attraverso quali strumenti si possa affrontare la propria sofferenza, in un certo senso “sabotandola”. Significa inoltre sottolineare l’importanza di qualcuno che ti sta accanto nella disperazione; ricordare la potenza dell’ironia e dell’amore dell’altro.
E’ dunque nella sfera collettiva e negli scambi quotidiani che Balius indica la strada: è questa la vera alternativa a ciò che si struttura su una base individualista.
Proprio per questo essere immerso nel mondo, “Dismisura” è un libro per alcuni versi illeggibile, come racconta il Collettivo Senzanumero. Non solo perché fuori dai consueti giri dell’editoria (non perdete tempo a cercarlo su Amazon), per volontà stessa dell’Autore. Come emerge dal racconto di Senzanumero, si tratta di un testo frammentato, spesso interrotto dalla vita, da una malattia, da un incidente sul lavoro di un caro amico, dal rimanere senza lavoro e senza soldi, dallo stesso “scritto” che nella parte finale si introduce nei sogni come finestre pop up del programma al computer su cui Fernando lavora.
Perché bisogna leggere “Dismisura” allora? Balius in sostanza ha incontrato nella sua vita la psichiatria e ne denuncia l’inconsistenza su un piano scientifico, l’oppressione, l’essere agente di controllo della società capitalista post-industriale, con i suoi farmaci e la presunzione di porre un catalogo della normalità. Tanto da suggerire che, in ultima analisi, ogni malattia mentale sia una disforia sociale.
“Dismisura” fa una dichiarazione molto potente, radicale: “La psichiatria nasce sotto l’egida del controllo sociale e ne diventa un ulteriore braccio armato”. Certo non tutti gli psichiatri sono uguali, ma restano “le pratiche, i metodi, i manuali” a specificarne il funzionamento.
Tutto questo ci ricorda da vicino il lavoro di Basaglia e ci interroga su quanto poca rimanga del suo prezioso contributo. L’idea che la sofferenza mentale dovesse essere “presa in carico” dai territori, dal sociale, sembra purtroppo aver creato degli spazi chiusi, come isole, o meglio ancora come fortini, all’interno del tessuto sociale. Istituzioni non totali, ma certo neanche aperte.
Lo sa bene, ad esempio chi lavora in piccoli gruppi, nelle comunità, nelle case famiglia, quanto sia difficile, a volte miseramente impossibile, trovare anche una parvenza di comprensione rispetto ai sintomi che chi soffre manifesterà appunto in uno spazio sociale. Predomina il desiderio di controllo. L’idea piuttosto esplicita che i matti non debbano dare visione di questa loro condizione, sparire in altre parole.
Ciò che il libro allora ha veramente il merito di mostrare è che servono altre mappe. Serve un cambio di paradigma, dall’individuale al collettivo, appunto, altrimenti è del tutto inutile, falso nella migliore delle ipotesi, continuare a parlare di salute mentale. Tutti gli operatori dei servizi, non intendiamo i dirigenti delle Asl, ma gli operatori, spesso giovani che vivono la prima linea, lo sanno benissimo. Convivono e condividono con persone sofferenti, anche una condizione economica, una classe sociale, come tanto tempo fa notava il caro Marco Lombardo Radice (2010), che se da un lato li rende più pronti a smascherare dove il punto di sutura diventa controllo sociale; dall’altro precipita drammaticamente in un difficile gioco di rispecchiamenti, in quanto i giovani operatori, precari, sottopagati, sono in tutto e per tutto un nuovo proletariato che nel prendersi cura di persone sofferenti, anch’esse proletarie ma aiutate dai servizi percepiscono con invidia un aiuto che loro non hanno potuto avere. Un paradigma collettivo allora altro non è che una rete di persone che si pongono in alternativa, su un margine, rifiutando mappe e orientamenti prestabiliti e creando viceversa altre mappe, orizzontali, democratiche. Se vogliamo, la forza di questo libro è non aver rifiutato una dismisura che diventa azione politica e militante.
Mappe diverse, dicevamo, che non risentano della definizione stessa che la salute mentale, oggi, dà di se stessa, ovvero una definizione legata a stretto giro alla produzione, ad un ritorno economico che favorisce solo chi è già avvantaggiato. Sei strano se non riesci a produrre… ma se riesci a produrre accettiamo anche un po’ di stranezza.
La graphic novel di Balius, con grande sobrietà, ha il merito di ricordarci tutto questo, di come una psicoterapia sia praticamente inaccessibile a certe classi sociali e noi psicoanalisti lo sappiamo bene, di come alcune operazioni dei servizi sanitari e sociali vengano messe in atto solo lì dove ci sono famiglie senza redditi, in difficoltà economiche. Basti pensare a come famiglie borghesi, se per qualche disagio della vita, affrontano il passaggio dei servizi sociali, evitino magicamente di vedersi imposto il volere dell’istituzione. Ci si “compra” un avvocato, in modo da portare i servizi, che così si sentono totalmente non tutelati e non legittimati, a non poter intervenire. Esempio disarmante di come la dimensione terza, sociale, abbia perso ogni potenza di fuoco. In questo caso, purtroppo, chiamare in causa il “terzo”, garante di un’istituzione che dovrebbe proteggere comuni valori di uguaglianza e giustizia sociale, si rivela essere un’astrazione ingenua.
Ciò che la giornata della salute mentale dovrebbe fare, dopo essere stata celebrata con interesse, è passare il prima possibile senza lasciare nessuna traccia, dando modo ad altre tracce, non provenienti dalla “Salute Mentale”, di narrare se stesse.
Perché è meglio pensarsi pazzo che malato.
La pazzia almeno rimanda al dolore.
La strategia di Balius fin dal principio è stata pensare che la società stessa ci mandi fuori di testa. Che per quanto banale possa essere vuol dire che la follia capita a molti. E che forse anche grazie a ciò, agli altri, possiamo scoprire modi diversi di vivere. Perché è la vita, ci ricorda l’Autore, il vero problema. Qualcosa che va oltre la follia e vive nel suo rovescio. L’altra faccia della dismisura.
Detto altrimenti: la psicosi è un “dismisura”, certamente. Ma non lo sono anche l’amore, la lotta, gli affetti? C’è nella dismisura qualcosa capace di aprire nuove possibilità. In quanto la capacità di rialzarti è sempre legata alla quantità di mani che possono aiutarti.
Così ci auguriamo che la giornata della salute mentale, dopo averci interessato, passi molto presto. E che dai margini che racconta Balius emergano sempre più nuovi linguaggi, al di là di quello medico, che rompano il ritmo della narrazione dominante.
Come ad esempio il mutuo aiuto. Ma non quello dei gruppi terapeutici. Piuttosto le riunioni dei lavoratori o dei cittadini che si oppongono allo sfratto da parte di una banca, esempio che Balius riporta alla nostra attenzione avendoli vissuti in presa diretta.
Assemblee orizzontali. Senza mediazioni professionali. Nel libro dell’“uditore di voci” si respira un’altra apertura possibile. Una possibile curvatura dell’esperienza della psicosi.
“Voglio spiegarvi una cosa... anzi voglio convincervi di una cosa: in mezzo alla paura e all’incertezza sono gli altri a permetterci di scoprire modi diversi di vivere. Abbiamo tutti paura, proviamo tutti incertezza. La vita è un problema. Vero. Ma è un problema comune. Ecco un elemento chiave di ciò che ho imparato in tutti questi anni. Qualcosa che va oltre la follia e vive nel suo rovescio. Qualcosa che potremmo chiamare l’altra faccia della dismisura”.