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CINEMENTE: “Hungry Hearts” e Medea: quando può nascere un soggetto? Recensione di Emiliano Alberigi Quaranta.

Le serate di Cinemente al Palazzo delle Esposizioni continuano fino al 13 giugno.


CINEMENTE: “Hungry Hearts” e Medea: quando può nascere un soggetto? Recensione di Emiliano Alberigi Quaranta.

Alla serata di Cinemente del 16 maggio, il bel film di Saverio Costanzo Hungry Hearts è stato accostato al mito di Medea. Dopo l’introduzione di Fabio Castriota, che ha ripercorso i passaggi più significativi e meno noti del mito di Medea e dopo la proiezione del film, sono seguiti gli interventi di Tiziana Bastianini, Tommaso Romani in un dibattito con il regista e il pubblico in sala.

l film, il mito e le possibili connessioni tra loro ci dicono quando, dal multiforme indistinto ed informe, può accadere che emerga un soggetto: quel senso di sé che permette ad ognuno di noi di sentirsi se stesso.

Proviamo a leggere il film come un sogno. Una delle piste per interpretare i sogni è partire dagli elementi di incoerenza, di assenza o scarto. Nella storia ve ne sono due. Il bambino non viene mai nominato. È costantemente al centro, ma a lui mai nessun personaggio, vicino o lontano che sia, vi si riferisce nominandolo. È un bambino senza nome.  

Il secondo elemento è come il bambino reagisce alla fame: non piange e non protesta, ma si spegne come accade ai bambini deprivati di amore ed attenzione. La passività del bambino è una passività che ritorna in forma diversa in ogni altro personaggio chiave della vicenda: nella madre, nel padre, nella nonna. La madre quando il padre gli urla contro che non vuole vedere morire di fame il bambino, non reagisce con rabbia ma si limita ad affermare che si farà come dice lui. Il padre asseconda le prescrizioni della madre. La nonna è giocata da un destino inevitabile e agisce quella che le sembra l’unica soluzione per salvare il bambino: uccidere la madre. È la passività dell’ineluttabile quella che si dispiega in forma diversa in ogni personaggio. Questa passività non è mai totale o letterale, ma è una specifica forma di passività: quella della morte, del passivo dispiegarsi dei processi biologici che conducono alla fine di un organismo, l’ineluttabile appunto.

Questi due elementi, l’assenza del nome e la passività dei personaggi, sono due figure di un’assenza: ciò che necessariamente si oppone nel corso della storia all’emergere di una soggettività, della possibilità di divenire soggetto, attore del proprio destino.

Veniamo ora al sogno del cervo. Un cervo viene ucciso al termine del matrimonio proprio mentre la coppia sta per avere un rapporto sessuale. Lei è già stata messa incinta da lui contro la sua volontà. Da quel momento la futura madre, nel corso della gravidanza, sognerà ripetutamente e con angoscia l’uccisione del cervo. È un sogno ricorrente, pregno di un contenuto in cerca di significato, al quale la futura madre riuscirà a trovare un senso falso e provvisorio consultando un’indovina: il figlio che ha in grembo sarà un bambino indaco, dotato di capacità soprannaturali. La profezia sarà in grado di pacificare le angosce della madre da un lato, e dall’altro di suscitare la complice ilarità del padre, che scherzando afferma: mio figlio sarà Gesù Cristo, topos del sacrificio. Solo con l’epilogo del film sarà possibile comprendere il senso ulteriore o forse ultimo del sogno ricorrente: la nonna-cacciatore ucciderà la madre per evitare che il bambino muoia. Il sogno ricorrente parla di un sacrificio mancato, di un’uccisione che si ripete perché non riesce ad iscriversi un senso. Sarà dunque la nonna, nell’epilogo, a dover agire un senso che nessuno fino a quel momento era stato in grado di elaborare.

Passando ora al mito di Medea, nella sua complessa articolazione ritroviamo il sacrificio: all’origine del mito vi è infatti un caprone dal vello d’oro inviato da Zeus per mettere in salvo due bambini fratelli. Una volta trovato rifugio nella terra di Medea, la Colchide, il caprone verrà ucciso ed il vello d’oro conservato per i suoi poteri magici. Ora, Medea incarna la doppia figura di maga e madre, diviene madre rinunciando alla magia, ritorna maga rinunciando ad essere madre, uccidendo i figli. È il sacrificio che permette la nascita del soggetto: tema che si ritrova anche nella tradizione ebraica con Abramo che sacrifica l’agnello al posto del figlio Isacco. Nel sacrificio vi è la sostituzione simbolica, vi è lo spostamento, l’animale o il capro al posto di altro.

Nel film il continuo tentativo di svuotamento che compie la madre non può tradursi in uno spazio per il pensiero. Rimane uno svuotare mortifero anche se il tentativo è apparentemente proprio quello di evitare la morte: i batteri, l’uccisione o lo sfruttamento degli animali (i genitori seguono una dieta vegana). La morte non può essere evitata, circoscritta, racchiusa. Si può solo legarla ad un ordine simbolico, come avviene con un sacrificio. In sua assenza, o quando l’ordine si rompe, la morte irrompe come quando Medea uccide i suoi figli.

 

Sala Cinema del Palazzo delle Esposizioni - Roma- Scalinata di Via Milano, 9a



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