Cartografia di contrade non transfobiche a venire
Uno dei primi ricordi di mia figlia è Martina sulla spiaggia di Riva del Marchese, poco dopo Porto Ercole. Martina e suo padre che fanno i tuffi dallo scoglio grande.
Martina era cresciuta in casa famiglia e all’epoca del ricordo di mia figlia avrà avuto circa 25 anni. Durante il suo percorso in comunità ha fatto “la transizione”. Aveva avuto bisogno di una struttura a causa di una brutta storia di prostituzione minorile. Gli ormoni già li prendeva da un po', quelli sotto banco, che le davano insieme alla vodka e alla cocaina per prostituirsi. Aveva quindici anni.
Mia figlia ha sempre passato parte delle vacanze estive con le ragazzine e i ragazzini della comunità, in quanto suo padre da vent’anni considera quel luogo casa sua. E dunque è un po' anche casa nostra. Oggi in comunità su otto posti di accoglienza quattro sono occupati da adolescenti che prendono ormoni. È tanto? Probabilmente no.
Per il gruppo di adolescenti, ospiti della struttura, la questione trans neanche si pone. Chantal è femmina anche se è nato Daniele. Sono eccezionali.
Noi che abbiamo esperienza di comunità sappiano che da lì passa sempre l’avanguardia di ciò che sarà.
Nessuno ci ha mai chiesto di decidere il genere di nessuno perché il lavoro che facciamo lì è sperare che con un po' di fortuna quella sofferenza indicibile diminuisca di qualche tacca. Come la febbre.
I servizi sociali del Comune di Roma, che hanno visto cose che voi umani…, tanto per citare una frase idiomatica di un classico cyberg punk, ormai sanno bene che noi ci lavoriamo così, da analisti probabilmente, e ci chiamano sempre più spesso per situazioni del genere. Che non sono mai situazioni “sul genere”. Non ho mai conosciuto un adolescente che entra in comunità perché soffre di incongruenza di genere. Magari c’è qualche simpaticissim* psicotic*. Ma forse non esiste disforia in comunità, perché a noi va bene tutto.
Credo che questo rappresenti un buon modello. O almeno quando ho avuto in analisi adolescenti che desiderano corpi non conformi al genere attribuito alla nascita è il modello che io ho seguito.
Come analista e laureato in filosofia ho cominciato da tempo, insieme ad altre colleghe e colleghi, ad occuparmi di queste tematiche. Non solo gli studi di genere, ma tutto ciò che nell’area dei queer studies mi sembra estremamente stimolante. L’antispecismo, il post porno, le performance nell’arte. C’è qualcosa da quella parte che rivitalizza le componenti più istituzionalizzate del pensiero, non solo analitico.
È come con le canzoni di De Andrè, ad esempio la città vecchia, quando personaggi strani prendono vita tra i vicoli di Genova, giù verso il porto.
Perché Queer in sostanza vuol dire strano. C’è qualcosa che interessa di più un analista di ciò che è strano?
Ma che rapporto abbiamo noi con la stranezza?
Un po' come quando Freud e Jung partivano per l’America convinti che avrebbero portato la peste. Era decisamente queer. Mi è sempre piaciuta quella parte della psicoanalisi. Da candidato ne sono rimasto toccato. Così come mi sono sembrati eccezionali gli analisti della prima generazione.
Gente come W. Reich, un analista militante politico, la sua fuga da Berlino, la sua triste epopea americana. Ancora oggi lo ritroviamo in un libro come quello di Olivia Laing, “everybody”. Oppure la capacità di Freud di intercettare tutto ciò. Penso anche a quelle storie sulle discussioni controverse tra Anna e Melanie, sotto le bombe della Londra degli anni della guerra. Se non erano strane quelle due! A gente come Guattari, che insieme a Deleuze ha scritto l’Antiedipo, riferimento assoluto per gente come Preciado e Halberstam, e qualche anno prima aveva fatto analisi con Lacan.
Quindi ho cercato anche io, a mio modo, di confondermi, di farmi confondere e decostruire.
Alcune amiche femministe, citando Valerie Solanas, ogni tanto mi minacciano dicendomi che prima o poi mi faranno fuori in quanto maschio, cishet, etero, bianco, borghese. Ma sono ancora qui e con loro mi piace molto chiacchierare e confrontarmi. Mi hanno consentito nel tempo di conoscere tutta una letteratura molto colta e sofisticata che a mio avviso decostruisce un po' la psicoanalisi, ma al tempo stesso le potrebbe regalare concetti utilissimi per “aggiornare”, diciamo così, un’epistemologia un po' passata di moda.
Sono stati tra gli incontri più importanti per la mia formazione di analista.
Con altr* amic* e collegh* della mia generazione abbiamo invitato studiosi a parlare della loro versione queer della psicoanalisi, in luoghi di resistenza come le librerie di quartiere, discutendo con studenti e studentesse e con persone dei movimenti. Per poi andare tutt* insieme da Celestino, noto bar di San Lorenzo.
Ricordo un pomeriggio nel quale allo stesso tavolo erano seduti analisti, psicoterapeuti trans, lesbiche transfemministe, analisti gay e altr* amic*.
Per me è stato tutto molto importante perché mi ha aiutato a dare un po' ragione a chi mi considera un privilegiato perché di fatto lo sono, vivendo in una società ancora patriarcale, borghese e maschilista. In una diversa eorganizzazione sociale la psicoanalisi sparirebbe?
Bè, io spererei di no. Comprendere che alcune condizioni più che patologie derivano da un’oppressione non è una cosa di per sé cattiva. O comunque almeno quel pomeriggio mi sembrava che tutto andasse bene.
Ma oggi, a distanza di pochi mesi, molt* amic* mi chiedono se come analista sono transfobico, se la Spi è transfobica. Lo leggi sui giornali, sui profili social. Bagatelle, per dirla con Celine?
Io sono un candidato, ma al tempo stesso un cittadino adulto che condivide parte della propria esistenza da tanto tempo con tutte quelle persone che socialmente sono considerate minoranze se non addirittura devianze. Ci sono tant* collegh* che sono in strada, in prima linea, che hanno amicizie non conformi, loro stess* sentendosi non conformi.
Una conoscente di Bologna l’altro giorno mi ha messo in contatto con una signora che si occupa di una associazione di genitori di bambin* gender creative. L’associazione si chiama Gender lens. La signora molto gentile, con la quale stiamo cercando di organizzare un altro pomeriggio di confronto, mi ha detto con grande pacatezza che loro sono un po' perplessi rispetto ad una istituzione transfobica. Loro sono trans positive. Ma poi parlandoci abbiamo trovato tantissimi punti di contatto.
Come d’altronde con tante altre realtà. Quella dell’anti specismo ad esempio.
Noi ci poniamo questioni sul trans e sulla soggettività, ma almeno da Derrida, passando poi per Agamben e Cimatti, il pensiero filosofico già si sta muovendo verso un trans specismo, post umano, estremamente interessante per chi si occupa di umano.
E la psicoanalisi, da quello che mi è parso di capire in quanto candidato, si occupa di umano. Quindi tutte queste aree, anche le più estreme, non gli sono estranee.
Quindi no. La psicoanalisi non è transfobica e molti analisti dialogano quotidianamente con tantissimi mondi diversi, non solo con i professori di neuroscienze, ma anche. Dialogano con il mondo, che come ci ricorda Gramsci, è sempre grande e terribile.