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ne discutono
Negli ultimi anni gli Stati Uniti e, in varia misura, i paesi di cultura anglosassone sono stati investiti da un’ondata ‘revisionista’, attenta in particolare ai fenomeni della inclusività e dei diritti delle minoranze. Questo fenomeno, che si fa corrispondere all’agenda del movimento “woke”, ha riguardato vari aspetti della cultura. In primo luogo in linguaggio, verso il quale il politically correct – già peraltro attivo da decenni – ha ulteriormente rinforzato la propria attenzione, per proporre una serie di modifiche e correzioni che ne eliminassero il più possibile gli aspetti ritenuti offensivi dalle diverse minoranze (neri, donne, omosessuali, LGBT+ e così via); in secondo luogo le denominazioni di edifici e le statue che evocassero il ricordo di personaggi celebri sì, ma in qualche modo compromessi con pratiche quali la schiavitù, la colonizzazione, l’oppressione dei nativi e via di seguito; poi la storia stessa, della quale, da parte di alcuni, si è evocata una sorta di ‘revisione’ in una prospettiva più etica, che desse spazio alle ragioni dei vinti; ancora, nella produzione culturale di carattere storico, con serie televisive che portavano sulla scena aristocratici neri nell’Inghilterra dell’ottocento, ovvero nelle rappresentazioni teatrali, allorché la regia ‘attualizzava’ in senso woke personaggi di drammi ben noti al pubblico; infine addirittura gli studi classici (e con particolare vigore) in quanti ritenuti rivolti a una cultura considerata matrice di schiavitù, suprematismo bianco, oppressione femminile.