Esplorare profondità psichiche: l’eterogeneità strutturale dell’Io

Abbiamo ritenuto significativo tornare a riflettere su di un testo quale L’Io e l'Es considerandolo come una fondamentale radice teorica di numerose declinazioni di ricerca della psicoanalisi contemporanea. L’Io e l’Es è uno scritto che sollecita ipotesi e anticipazioni in molte direzioni, divenute poi centrali nella ricerca psicoanalitica successiva. Solo enumerando alcune delle questioni che il testo apre, si può cogliere l'ampiezza delle traiettorie proposte a partire dalla definizione delle differenti tipologie di inconscio, compresa la dissociazione tra rimosso e inconscio e le differenti modalità di accedere alla coscienza. Esistere allo stato inconscio e divenire conscio, cioè passare attraverso il sistema percettivo, sono aspetti molto diversi per il contenuto e per l’affetto. Se il primo si lega al linguaggio, il secondo può facilmente cortocircuitarlo (Green, 1973). 

Un Io capace di scindersi in ragione dei numerosi precipitati identificatori è una ulteriore traccia, peraltro molto antica nel pensiero di Freud, il quale già nel 1897 affermava: “Molteplicità delle personalità psichiche”. Il fatto dell’identificazione permette di prendere questa frase alla lettera.  “La capacità sintetica dell’Io”, ci appare scontata. In realtà non è così. La base della nostra struttura psichica è molteplice. È il corpo ad assumere maggiore centralità nella seconda topica. “L’Io è in definitiva derivato da sensazioni corporee…” (Freud, 1892-1899 pp. 297-298).

L’Io formato dai precipitati identificatori assumerà una nuova possibilità, in ragione della propria capacità fissile, ad anticipare La scissione dell’Io nel processo di difesa (1938), in cui Freud evidenzia la scissione dovuta al diniego e successivamente, nel Compendio di Psicoanalisi (1938) metterà in luce che la rimozione non ha alcun ruolo in questo caso: L’Io infantile sotto il dominio del mondo esterno reale, liquida le pretese pulsionali sgradite mediante le cosiddette rimozioni. Completiamo ora (questa tesi) con l’ulteriore constatazione che l’Io in questo stesso periodo si trova abbastanza spesso nella condizione di doversi difendere da una richiesta penosa che il mondo esterno gli pone, “ciò che gli riesce con il (rinnegamento) delle percezioni che gli rendono nota questa pretesa della realtà” (Freud, 1938 pp. 630).

Inaugurando la necessità di riconoscere le esigenze della realtà e di difendersene attraverso il diniego della stessa realtà penosa, viene avviata un’altra traccia di pensiero, già presente nel lavoro sulla Negazione e articolata successivamente da altri autori come “lavoro del negativo”. La Verwerfung, ad esempio che sebbene usata da Freud in accezioni diverse, conserva nel suo senso di rigetto un potere euristico nella comprensione della psicodinamica del trauma e nella indicazione di una nozione più ampia di inconscio, tale da accogliere anche quella di Inconscio non dinamicamente rimosso: “Esiste un tipo di difesa molto più energico e molto più efficace che consiste nel fatto che l’Io rigetta la rappresentazione insopportabile insieme al suo affetto e si comporta come se la rappresentazione non fosse mai giunta all’Io” (Freud, 1894). “Un Io che può fare di sé stesso Dio sa quante altre cose ancora” (Freud, 1925 pp. 280). Ecco messa in crisi l’eventuale nozione di identità: il soggetto non è né lineare, né omogeneo. Si comprende, in questa prospettiva, l’eterogeneità strutturale dell’Io. É sulla questione dell’angoscia, della seconda teoria dell’angoscia che occorre considerare la nuova posizione dell’Io in quanto minaccia che colpisce le prime matrici della sua organizzazione. La perdita dell’oggetto, l’angoscia ad essa collegata può disorganizzare l’Io, tramite una inondazione da parte dell’Es di affetti grezzi. L’angoscia è dunque, in primo luogo uno stato affettivo, un qualche cosa che si sente: “Noi la chiamiamo uno stato affettivo, benché non sappiamo neppure che cosa sia un affetto” (Freud, 1925 pp. 280). Ciononostante, egli comincia a considerare gli affetti non più come fenomeni di scarica, bensì delle attività funzionali dell’Io altamente complesse ed operanti nell’adattamento quotidiano. È il compito di segnale che apre all’angoscia la funzione di una forma di memoria che va a costituire una prima semiotica dell’affetto.

Nella lettera del 5 giugno del 1917, inviata da Freud a Groddeck, a proposito dello scritto sull’Inconscio menzionato da quest’ultimo, Freud così si esprime “Le confiderò ora quello che lì avevo taciuto: l’affermazione che l’atto inconscio ha una intensa influenza plastica sui processi somatici, quale non viene mai raggiunta dall’atto cosciente. Il mio amico Ferenczi che ne sa qualcosa ha preparato uno scritto sulle patonevrosi che si avvicina molto a quanto Lei mi comunica”. E più avanti aggiunge: “certamente l’Inconscio è il giusto tramite tra il fisico e lo psichico, forse il tanto a lungo cercato missing link”. Credo, in senso più specifico, che con l’introduzione del termine Es continuiamo ad interrogarci sulla potenza del senso, al cuore del biologico.

Per Freud l’identificazione era un concetto centrale nella formazione della struttura psichica (Stern, 2011) perché attraverso di essa il soggetto modificherebbe motivazioni, affetti e successive rappresentazioni di sé per salvaguardare la relazione. Ed è proprio l’identificazione con le qualità dell’oggetto che diviene funzionale a conservare il legame.

Freud ne L'Io e l’Es affermava che tali identificazioni primarie non sembrano “[…] essere la conseguenza o l’esito di un investimento oggettuale, bensì qualcosa di diretto, di immediato, di più antico di qualsivoglia investimento oggettuale” (Freud 1923, p. 493). Ciò che mi sembra utile sottolineare è che in questa prospettiva il legame e la relazione con l’oggetto assumono una portata più ampia: essi diventano elementi costitutivi della struttura psichica, anche nella formazione dell’Io oltre che in quella del Super-Io. 

Il concetto di identificazione ha assunto gradualmente il valore centrale che ne fa, più che un meccanismo psicologico tra gli altri, l’operazione con cui si costituisce il soggetto umano.

L'identificazione primaria la possiamo vedere come una forma di identificazione totale. Come sostiene Freud, ma lo ribadisce anche Winnicott, si tratta di un'identificazione immediata, primordiale, diremmo quasi preistorica, in quanto il bambino non è ancora entrato nella storia, non è ancora comparso un senso del Sé narrativo.

Che cosa si trasmette prevalentemente sul piano implicito nella dinamica intersoggettiva? Se consideriamo il tema delle trasmissioni traumatiche, utilizzando un punto limite attraverso il quale ribadire che si trasmette ció che non è stato ricordato e simbolizzato, un impensato che è stato “dissociato”, come la mancanza, il trauma, la malattia, la perdita (Kaës, 1993). Si trasmette quello che resta in sofferenza e/o in giacenza nella trasmissione stessa: “Stati dell’essere non trasformati conservati nell’individuo” (Bollas, 1985). Per quali vie inconsce, contenuti psichici di un simile effetto alienante sulla formazione del senso di sé passano da un soggetto a un altro, da una generazione all’altra? Sono i quesiti sui quali continuiamo ad interrogarci.

Saranno, infatti, successivamente gli sconfinamenti, l’allucinatorio, l’agire, le somatizzazioni con le quali continueremo a dialogare quale ampliamento, accentuazione della parte non rappresentativa dell’Inconscio, utile a farci interrogare sulle diverse forme del divenire conscio e quindi a farci fare i conti con il sistema percettivo, che avrà destini diversi per ciò che riguarda i contenuti ideativi e l’affetto. I contenuti ideativi devono passare attraverso il linguaggio (altra questione sarebbe rappresentata dal sogno in questa prospettiva, ad esempio, il pensare per immagini); ma vi è una quantità enorme di iscrizioni, memorie inconsce, tracce di vario ordine e natura che perseguono una logica comunicativa che può cortocircuitare il linguaggio. È l’area di ricerca sui materiali psichici non simbolizzati, così fondamentale nella clinica contemporanea. Dal mio punto di vista tutto ciò è in relazione ai processi di scissione dell’Io, funzionamenti contraddittori in seno all’Io che per proteggersi da una realtà esterna ed interna dolorosa deve alterarsi, frammentarsi “Dio solo sa quante cose può fare” ci dice Freud.

In altri termini abbiamo provato ad estendere il pensiero psicoanalitico dall’ambito dei pensieri

“formulati” a quello dei pensieri “non formulati” e per realizzare tale estensione abbiamo avuto necessità di nuovi strumenti, di nuove teorizzazioni. Vorrei ricordare con voi Freud a tale proposito già nel 1895 così si esprimeva: “[…] Dobbiamo supporre che si tratti realmente di pensieri che non sono stati mai formulati e per i quali si dava solo una possibilità virtuale di esistenza, cosicché la terapia consisterebbe nel completamento di un atto psichico precedentemente incompiuto?” (Freud, 1895, p. 435).

Un Io capace di scindersi rimanda necessariamente al tema delle modalità di funzionamento inconscio. Sulla nozione di funzionamento mentale inconscio, direi che con Bion il limite tra inconscio e coscienza diviene più fluido e meno connesso alle sedimentazioni temporali, anche se le questioni del traumatico e della temporalità ad esso collegate permangono come nodo ineludibile.
Per tornare al tema delle pluralità psichiche ospitate nella nostra mente, possiamo ricordare il grande dibattito che da questi temi ha preso avvio. La visione di un Sé/Io come multiplo e discontinuo è radicata in una metafora temporale piuttosto che spaziale. Metterei in tensione dialettica questa visione con quella di Bollas, il quale sottolinea l’unicità irripetibile della componente genetica individuale (l’idioma), e per certi versi anche con Ogden che postula l’esistenza di “templates”, determinati biologicamente che danno significato all’immensa quantità di dati sensoriali in cui è immerso il bambino sin dalla nascita. 

Le percezioni che lasciano una traccia sono associate ad uno stato corporeo (teoria del marcatore somatico di Damasio). Il ricordo dello stato somatico associato alla percezione contribuisce a produrre l’emozione. Le esperienze stabiliscono associazioni tra stimoli esterni e risposte del corpo; in base a questa prospettiva, il fatto di sapere come ci sentiamo si basa in gran parte sulla natura di questi marker somatici, generati internamente a partire dalla nostra immaginazione e dalle nostre passate esperienze. 

 

Prendere corpo nella stanza d’analisi:il corpo pensa, la mente pensa” (Bion, 1980)

Ci possono forse essere delle modalità di pensiero che non hanno ancora trovato una realizzazione conosciuta che vi si approssimi… L’allucinosi, l’ipocondria e altre malattie mentali, potrebbero avere una logica, una grammatica e una realizzazione corrispondente, nessuna della quali è stata scoperta finora” (Bion, 1979, pag. 11).

Fu all’incirca intorno al sesto anno di analisi che E. presentò di nuovo una gravissima sintomatologia d’angoscia. Paura di morire, paura di impazzire, poteva e sapeva, dopo tanti anni, parlarne. Al contempo, in seduta, il suo addome, plasticamente, iniziava a contrarsi sollevandosi e solo una pressione manuale dello stesso addome, ma soprattutto dei genitali, gli consentiva di non sperimentare di andare in pezzi e continuare a sentirsi vivo.

Potevo percepire e sentire nelle tensioni del suo corpo, nelle sue posizioni, un flusso di stati affettivi che implicavano emozioni arcaiche, che l’Io adulto di E. non riusciva ad esprimere. Questo modo di “ricordare-ripetere” ci coinvolgeva entrambi. A me, in quei difficili momenti, era affidato il compito di costruire, dedurre, ipotizzare a partire da qualche embrionale associazione, o particolare sussulto del suo corpo, una qualche trama di senso a ciò che accadeva nella stanza. Con le verbalizzazioni (interpretazioni) dei suoi stati affettivi, gli offrivo in “prestito”, provvisoriamente attraverso il lavoro in doppio, le mie differenti funzioni simbolico-rappresentative, per un esame della sua realtà interna, che così a poco a poco cominciava a costituirsi in un confine più definito. Nell’addome di E. quante stratificazioni di tracce psichiche, memorie nel corpo, si potevano cogliere, dedurre?

Nella dissociazione osservabile in vivo tra rimosso ed inconscio, potevamo distinguere una componente dei contenuti capace ormai di legarsi alla parola e di accedere in quella forma alla coscienza, ma era chiaro che anche gli oscuri abitanti del suo addome accedevano per il tramite delle potenti contrazioni alla coscienza, una coscienza non riflessiva, mediata dal corpo. Percezioni oscure, determinate da una affettività primaria capace di comunicare intensità psichiche.

Chi erano gli oscuri e minacciosi abitanti dell’addome di E.? Prefigurare una esistenza per sé, rappresentata in quella fase della sua vita in forma simbolica dal desiderio di generare, divenire padre, nell’idioma transgenerazionale paterno significava aver sottratto la vita stessa a qualcun altro. In quel periodo era stato travolto da una angoscia intensa ascrivibile, capimmo, ad una colpa impensabile anche per la generazione precedente. Colpa espressa in un conflitto primitivo, vissuto nel corpo tra una pulsione espressione di un sé vitale e generativo e la minaccia di dissoluzione del legame identificatorio con una oggetto interno alienante, ma al contempo generatore di una forma specifica di organizzazione psichica, solo parzialmente elaborabile in pensieri. Era già accaduto qualcosa di simile nella sua vita, aveva rinunciato ad un importante incarico all’estero per il terrore di separarsi dalla sua famiglia d’origine. I primi sintomi erano iniziati dopo quella sofferta rinuncia. Avevo compreso in quegli anni che gli aspetti del sé ancora in via di soggettivazione, dissociati in ragione della necessità di mantenere preservati i legami di sicurezza, fondati sulla necessità di “cancellare”  il proprio sentire, avevano dato luogo in quella fase ad una dialettica “conflittuale”.

L’emergere dalla barriera della dissociazione di quei contenuti mai oggetto di possibile lavoro psichico volto alla possibilità di soggettivazione, memorie affettive iscritte quali tracce di proto-affetti angosciosi in grado di frammentare la psiche e in quel caso “messi in atto” attraverso il suo addome, passibile di lacerarsi metaforicamente da un momento all’altro, erano il suo eloquio rivelatore di una angosciosa colpa inconscia. Il destino aveva esposto il padre al doloroso sentimento di essere sopravvissuto al fratello primogenito. Un lutto non elaborato che aveva congelato antiche rivalità fraterne, colpa dunque iscritta nell’inconscio della precedente generazione e trasmessa per via identificatoria (uso il concetto di colpa inconscia non direttamente legato alle vicissitudini del complesso edipico e del Super Io), riattivata in un modo significativo nel transfert, paradossalmente proprio nella sua dimensione positiva. L’esperienza analitica con un oggetto capace di sostenere il progetto evolutivo di una parte della sua psiche si costituiva come una minaccia ad un sentire inconscio pervasivo inerente “la sicurezza” fondata sull’alienazione di intere porzioni di vita psichica. Tale alienazione di sé pareva essere l’unico modo per non sentire i Titani dell’Es (Breuer) irrompere e chiedere il “suo sangue”.

Se proseguiamo nella riflessione in questa prospettiva dovremmo affermare che tra inconscio ed Es ovviamente c’è una parentela, ma l’orizzonte nelle nostre comprensioni si è modificato: tutto ciò che è dell’ordine della rappresentazione sfuma ed in primo piano troviamo “il moto pulsionale”, ci ricorda Green, “la spinta di uno psichismo che esiste in una forma a noi sconosciuta”.

In questa prospettiva è l’affetto per Freud a ritornare centrale nei materiali originari dello psichismo. Un affetto radicato nel soma. Un soma che si dispiega in una relazione di investimento comunicativo rivolto all’essere umano prossimo. Quell’addome contratto, era l’eloquio di E. rivolto a me nel transfert. Uno psichismo incentrato su affetti grezzi, una nozione che richiama il punto di vista economico. Un economico, che dal mio punto di vista si radica nel soma e negli affetti all’interno di una matrice interpsichica e intercorporea, cioè all’interno di legami. Se la memoria consiste in una pluralità di sistemi di iscrizioni, noi lavoriamo costantemente tra il secondo tempo dell’aprés coup e l’avant coup della storia del soggetto in attesa di essere soggettivata. Ci possiamo chiedere, ma solo dopo, se queste siano “esperienze dell’Es”, perché per parlare di esperienze occorre che ci sia un Io sperimentante, mentre qui, a volte, esso sembra non esserci.

D’altronde, ci ricorda Freud, “neanche la distinzione tra Io ed Es va intesa in modo troppo rigido, né va dimenticato che l’Io è una parte particolarmente differenziata dell’Es. Sembra dapprima che le esperienze dell’Io vadano perdute per gli eredi; quando però si ripetono con sufficiente frequenza e intensità per molti individui delle successive generazioni, esse si trasformano per così dire in esperienze dell’Es, le cui impressioni vengono consolidate attraverso la trasmissione ereditaria. In questo tal modo l’Es, divenuto depositario di questa eredità, custodisce in sé i residui di innumerevoli esistenze dell’Io” (Freud, 1923 pp. 501).

Quale statuto dunque attribuire al corpo se lo immaginiamo in grado di ospitare differenti forme di espressione dell’inconscio? Forme di semiosi affettiva, rivelatrici di affetti alla ricerca di legame psichico per comunicare. Del resto per Freud, sin dalle ipotesi inerenti alla conversione, riferendosi ai sintomi di Elizabeth von R. scrisse: “Tutte le sensazioni e innervazioni corrispondono all’espressione di emozioni che, come ci ha insegnato Darwin, consiste in operazioni all’origine dotate di senso e relazionate ad un fine” (Freud, 1892-95, p. 143). 

In questa ipotesi gli affetti primari si configurerebbero come atti embrionali. Dobbiamo immaginare moti espressivi incompleti che sono rimasti vivi nella memoria inconscia e tendono a riprodursi “in azione”.

In questa prospettiva mi pare interessante la ricerca sul tema dell’impersonales (Bazzicalupo, 2008): “il pensiero dell’impersonale, del quale non ho potuto individuare che delle tracce, i primi tratti, costituisce una promessa di riunificazione dell’essere vivente nella sua indistruttibile unità”.

Possiamo provare a tradurre l’impersonale con una ipotesi concettuale più familiare? Ad esempio, con il concetto di non soggettivo?  Se nel soggetto includiamo anche il non soggettivo, cioè quegli aspetti che non potranno mai diventare oggetto di riflessione e quindi di appropriazione soggettiva; il flusso sanguigno, i livelli ormonali, lo scambio sinaptico, elementi che però possono avere un’influenza estrema nella comunicazione tra il sé incarnato e l’altro, influenzato in modo significativo dall’espressione corporea.

Inoltre, possiamo ipotizzare che quanto ho brevemente tracciato per descrivere il tentativo di ricollocare attraverso la categoria dell’impersonale, quanto espunto dall’umano per reintegrarlo in una concezione più ampia del vivente, non possa contenere delle analogie con quanto sta emergendo in ambito psicoanalitico quale tentativo di ampliare i confini della concezione di inconscio e di funzionamento psichico incarnato?

“Di fatto la teoria della rimozione lasciata sola a rappresentare nella storia della psicoanalisi”, “la teoria dell’inconscio”, ha espulso dalla teoria psicoanalitica la percezione inconscia, l’organizzazione inconscia, la comunicazione inconscia (Bollas, 1987).

Quantità d’investimenti e al contempo segni qualitativi di forme dell’esperienza creeranno le condizioni di un corpo percepiente e semiotizzante, capace di rivelarsi nella sua speciale lingua. A livello clinico abbiamo potuto includere il somatico nel territorio del semiotico, riconoscere alle funzioni del corpo la potenzialità di un linguaggio, che per complessi motivi non ha potuto accedere al registro simbolico, alla rappresentazione di parola, o forse dobbiamo anche contemplare la possibilità che mai vi accederà (Kristeva, 1998). Essere in ascolto delle sensazioni corporee, penso al campo delle ricerche sull’enterocezione definita anche il “nostro sesto senso che non sapevamo di avere”, può rivelare l’eterogeneità delle forme transferali al fine di creare una consapevolezza affettiva intorno ai segnali che arrivano dal corpo quali segni indissolubili della possibilità di giungere a comunicare i nostri stati interni.

Il compito dell’analisi è allora aiutare i pazienti a fare “esperienza analitica” come processo vivente, da cui ricavare la comprensione delle logiche degli investimenti affettivi ancora in attesa di simbolizzazione, dei loro percorsi, dei loro modi di legarsi ad espressioni psichiche eterogenee, mantenendo vivo, al contempo, un nucleo originario di senso talora embrionalmente abbozzato. Tali nuclei, quali modalità di esperienza presimbolica a dominanza sensoriale o corporea, se elaborati in una relazione adeguata, potranno allora compiere il percorso di divenire esperienze soggettive, forme di appropriazione psichica capaci di costruire il sentimento di sé, anche nelle forme riflessive fondamentali al “sentire di sentire”.

Possiamo affermare, molto sinteticamente, che in questa prospettiva il pendolo dei fattori trasformativi si sposta decisamente sul versante “esperienziale” rispetto a quello conoscitivo, relegato nelle nostre concezioni prevalentemente ai soli livelli secondari.

Ma a quale soggetto dell’esperienza facciamo riferimento? Esperienza e conoscenza rimangono due poli di una dialettica complessa che interroga le forme del conoscere, le vie del comunicare inconscio. La psiche è estesa, ci ricorda Freud, e di questo non sa nulla…il vero inconscio è il corpo. La  psiche è in un continuo dialogo volto ad intercettare costantemente,  al fine di elaborarli, i segnali sensoriali che divengono come una mappa percettiva dei nostri stati interni. I sintomi divengono allora complessi indicatori cruciali di dove il sentimento vivente del sé è stato mandato in esilio (Ogden, 2022)

Non è forse questa area, di un “inconscio affettivo incarnato”, a poter fornire una traccia di ricerca, attraverso la quale cogliere delle invarianti del funzionamento psichico in cui il registro affettivo universale consenta alcuni scambi, conoscenze, comunicazioni, prima che le parole inizino ad essere formulate?

È lo stesso sforzo che in un altro campo e in un’altra epoca storica fece Aby Warburg, individuando nell’engramma, la traccia mnestica impressa da un accadimento che può riemergere nelle produzioni figurative di artisti diversi in periodi storici diversi o nelle “pathosformel” che identificano quelle posture corporee che esprimono emozioni originarie del vivente umano e che ritornano nelle produzioni figurative dall’antichità sino ai nostri giorni.

Quando ne “L’Alba dell’Oblio” (Bion, 1979, pp. 7-8) Mente chiede a Corpo di collegarsi reciprocamente, riceve un secco rifiuto: “Mai”, con l’accusa di voler portare Soma nello spazio dell’aria, di rispettare e comprendere solo il linguaggio del dolore, di non riconoscere a Corpo altro significato.

E se Corpo chiedesse a Mente di lasciare le sue postazioni sui “piani alti” della testa, e incarnarsi consapevolmente nel flusso sanguigno, nel ritmo respiratorio, nel battito cardiaco, nel metabolismo cellulare, espandendo fino a lì ed indietro nel tempo la coscienza soggettiva, fino ad incontrare le tracce del protomentale nella materia vivente come ripetutamente immagina e suggerisce Bion nei suoi seminari ed in Memoria del Futuro? Sarebbe urgente poter lavorare sulla cesura, integrare questi due modi incommensurabili ma complementari di conoscere noi stessi e la realtà, tracciare dei sentieri attraverso cui tra Soma e Psiche possa transitare il significato, in entrambe le direzioni (De Toffoli, 2009).

Nelle mie riflessioni, ho in mente la necessità di mettere in relazione la formazione delle capacità simboliche e il linguaggio verbale con la dinamica delle forme del sentire, comprese quelle incarnate nell’esperienza vissuta.  Le parti del sé precocemente scisse, non scompaiono nel vuoto, esse rimangono, come aspetti vivi, in un’area separata della mente, pronti a ricomparire, in forme non simbolizzate, in alcune occasioni specifiche. Ad esempio, quando il proporsi di una nuova meta evolutiva, costringe il soggetto a portarsi psichicamente fuori dalla prigione interna costituita da quelle identificazioni utili a mantenere la scissione e viene spinto ad integrare queste aree del sé (Gaddini, 1989). In altri termini, l’emergenza dell’angoscia, può essere scatenata sia da eventi che possano rievocare sul piano profondo antiche esperienze macro o micro-traumatiche, ma anche dai tentativi di realizzare alcune potenzialità creative, superando la dissociazione interna. In questi casi, i tentativi di integrazione sono vissuti come una pericolosa minaccia ad una organizzazione psichica fondata sulla scissione.

Lo schema inconscio fornisce un codice per interiorizzare esperienze e sensazioni, ma questo codice non è comprensibile nell’ambito dell’esperienza del sé, le azioni cui esso costringe sono organizzate in modo da conservare una tale esclusione” (Klein, 1976 p. 318).

Ora per tornare all’inizio, riprendendo le parole di Breuer, così egli prosegue  nel succitato lavoro: “La psiche scissa agisce come un risuonatore al suono di un diapason. Ogni evento che suscita ricordi inconsci, libera tutta la forza affettiva di tali “rappresentazioni” e l’affetto richiamato appare allora sproporzionato” (Breuer, 1895 p. 381).

Credo, in sintonia con Bollas, che in ciascuno di noi ci sia una scissione fondamentale tra ciò “che pensiamo di sapere e ciò che sappiamo e non potremo forse mai pensare” (Bollas 1987, pp. 286).

Nel corso dell’analisi, l’analista può aiutare il paziente a far transitare il conosciuto non pensato in elementi di pensabilità, mai pensati prima di allora; ciononostante è utile avere in mente che “prima o poi tutti gli analisti falliranno nell’impresa di trasferire il conosciuto non pensato al pensiero, ed è importante entrare in rapporto con la misteriosa indisponibilità delle nostre conoscenze(ibidem).

Misteriosa inattingibilità di alcune aree della vita psichica, che pure ci determinano, attraverso i passaggi e gli snodi transgenerazionali: “pensando al conosciuto non pensato non riflettiamo solo sul nucleo del nostro vero sé, ma anche su elementi dei nostri antenati” (ibidem).

 

 

 

Bibliografia

Bazzicalupo, L. (2008). Impersonale. In dialogo con Roberto Esposito. Mimesis, Milano

Bion, W.R. (1979). Memoria del Futuro. L’Alba dell’Oblio. Raffaello Cortina, Milano, 2007

Bollas, C. (1987). L'ombra dell'oggetto. Raffaello Cortina, Milano

De Toffoli C. (2009). Ove per poco il cor non si spaura. In G. Corrente (A cura di), Con Bion verso il futuro. Borla, Roma

Freud, S., & Breuer, J. (1892-95). Studi sull’isteria. In Opere di Sigmund Freud (Vol. 1), Boringhieri, Torino (1967)

Freud, S. (1894). La negazione. OSF, 3. Boringhieri, Torino

Freud, S. (1892-1899).  Progetto di una psicologia e altri scritti. OSF, 2. Boringhieri, Torino

Freud, S. (1923). L'Io e l'Es e altri scritti 1917-1923. OSG, 9. Boringhieri, Torino

Freud, S. (1925). Inibizione, sintomo e angoscia e altri scritti (1924-1929). OSF, 9. Boringhieri, Torino

Freud, S. (1938). Abriss der Psychoanalyse. OSF, 17. Boringhieri, Torino

Freud, S. Aus den Anfängen der Psychoanalyse, Briefe an Wilhelm Fliess, Abhandlungen und Notizen aus den Jahren 1887-1902, S. Fischer Verlag, Imago, London 1950; trad. it. M. A. Massimello, Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1894. Boringhieri, Torino (2008)

Gaddini, E (1969). Sulla imitazione. In: Scritti 1953-1985. Raffaello Cortina, Milano, 1989

Green, A. (1973). Il linguaggio e il legame sociale. In La scoperta dell'inconscio. Ubaldini, Roma

Kaës, R. (1993). Introduction au concept de transmission psychique dans la pensée de Freud in R. Kaës, & H. Faimberg (eds), Transmission de la vie psychique entre générations. Dunod, Paris.

Kristeva, Julia. (1998). Towards a Semiology of Paragrams in P. French, & R. F. Lack (eds), The Tel Quel Reader.  New York: Routledge.

Ogden, T.H. (2022). Prendere vita nella stanza d’analisi. Raffaello Cortina, Milano

 

 

Torna all'indice

Partners & Collaborazioni