Charles Boyer e Ingrid Bergman in Gaslight (1944) di George Cukor
Il film Angoscia, o Gaslight nella versione originale, del 1944 di George Cukor, oltre a essere un capolavoro del cinema noir, ci offre un esempio concreto e potente di cosa significhi vivere una relazione perversa. Il termine “gaslighting”, oggi comunemente usato per descrivere una forma subdola di manipolazione psicologica, deriva proprio da questa pellicola.
Il termine “perverso”, come sappiamo, non si limita alla sfera della sessualità, ma riguarda una modalità di relazione in cui uno dei partner manipola e distorce la realtà dell’altro, con effetti devastanti sulla sua mente.
Il caso Gaslight
Nel film, vediamo la protagonista, Paula (Ingrid Bergman), vivere una relazione apparentemente normale con il marito Gregory (Charles Boyer), che però inizia progressivamente a manipolarla. Gregory utilizza una serie di strategie per farle credere di essere mentalmente instabile. Ad esempio, fa sembrare che oggetti della casa spariscano o riappaiano, abbassa le luci a gas facendola dubitare della propria percezione visiva, il tutto senza mai ammettere che questi eventi stiano effettivamente accadendo. Questa manipolazione costante porta Paula a mettere in discussione la sua sanità mentale, fino a un punto di totale dipendenza psicologica dal marito.
Quello che osserviamo in Angoscia è un esempio lampante di relazione perversa, dove uno dei partner (Gregory) manipola l’altro per esercitare un controllo totale sulla sua mente e sul suo comportamento. Il gaslighting, in particolare, rappresenta un modello tipico di manipolazione relazionale, dove il manipolatore distorce la realtà della vittima per soddisfare i propri bisogni, in questo caso il desiderio di controllo assoluto.
Il film Gaslight ci offre un esempio perfetto di relazione perversa, che possiamo comprendere a fondo grazie agli strumenti della psicoanalisi. Citerò solo pochi autori, per esigenza di brevità e chiarezza espositiva, tra tutti quelli che ci hanno permesso di esplorare le radici profonde di queste dinamiche, mostrando come il desiderio di controllo e la negazione dell’alterità siano al centro delle relazioni perverse.
Tali relazioni non riguardano solo patologie isolate, ma possono insinuarsi in molti contesti della vita quotidiana, da rapporti di coppia a dinamiche familiari o lavorative. Riconoscerne i segni e comprenderne i meccanismi è essenziale per evitarne le conseguenze devastanti.
Grazie a questi strumenti, possiamo intervenire non solo in ambito clinico, ma anche nella prevenzione di queste dinamiche nei contesti più comuni della nostra vita sociale. Mi sono ritrovata spesso a riflettere su queste dinamiche e sul fatto che sempre più sembrano essere presenti nella collettività. I termini “Love Bombing”, “Toxic Love”, “Narcisista cattivo”, “manipolatore”, sembrano essere pervasivi sul web e sui social. La psicoanalisi da sempre si mette in ascolto dei cambiamenti e dei segnali che arrivano dal contesto sociale, proviamo quindi a dare una lettura di questo fenomeno antico, ma giovane nella presenza massiccia della nostra attualità.
Freud è stato tra i primi a teorizzare il concetto di perversione, sebbene lo legasse prevalentemente alla sessualità. Tuttavia, il suo lavoro sul narcisismo ci offre una chiave di lettura importante per le relazioni perverse, in particolare Freud lo descrive come una forma patologica di investimento dell’energia libidica su sé stessi, invece che sull’altro. Anche Green, parlando di narcisismo di morte, fa riferimento ad un disinvestimento radicale dalle relazioni, mentre Kernberg, introduce il concetto di narcisismo maligno.
In una relazione perversa, come quella di Gregory e Paula, vediamo il narcisismo in azione. Gregory non riesce a tollerare l’individualità di Paula, non può accettare che lei abbia una propria percezione della realtà. Deve distruggerla, annullarla, per mantenere la sua superiorità e il suo potere. In un certo senso, Paula diventa un oggetto nelle mani di Gregory, qualcosa che egli controlla e manipola per il proprio piacere narcisistico. Freud ci aiuta a capire che questo tipo di relazione si basa su un desiderio inconscio di dominio, che nasconde, in realtà, una profonda paura della perdita e del fallimento.
Un altro concetto freudiano rilevante è quello di “coazione a ripetere”. Freud osservò che gli individui tendono a ripetere dinamiche relazionali distruttive, quasi come se fossero intrappolati in un ciclo senza fine. In una relazione perversa, il manipolatore spesso ricrea lo stesso schema di controllo e abuso, senza riuscire a spezzare il ciclo. Anche Paula, come vittima, sembra inizialmente incapace di rompere questa spirale, credendo sempre di più alle menzogne di Gregory.
Lacan offre una prospettiva diversa sulla perversione, concentrandosi meno sugli aspetti sessuali e più sulle dinamiche del desiderio e del rapporto con l’Altro. Per Lacan, il perverso si posiziona in una relazione di sfida nei confronti della Legge e del simbolico. In altre parole, il perverso tenta di superare la “castrazione simbolica” – la consapevolezza della propria mancanza, che tutti noi dobbiamo accettare come esseri umani.
In una relazione perversa, come quella dei due protagonisti del film, il manipolatore cerca di evitare questa castrazione simbolica dominando completamente l’altro. Gregory non accetta di essere limitato dalla realtà dell’Altro; deve controllare Paula, ridurla ad un oggetto del suo desiderio. In Lacan, vediamo anche come il desiderio perverso si sviluppa attraverso la negazione dell’Altro come soggetto. Il perverso agisce come se l’altro fosse solo uno strumento per la propria soddisfazione.
Gregory trae piacere dal controllo che esercita su Paula, dal vederla soffrire e dubitare di sé stessa. In un rapporto caratterizzato in senso sadico e masochistico.
Un altro autore fondamentale per comprendere le relazioni perverse è Kernberg, che ci fornisce una teoria delle relazioni oggettuali. Secondo il suo approccio, gli individui con disturbi narcisistici vedono l’altro non come una persona autonoma, ma come un oggetto da controllare e usare, per soddisfare i propri bisogni. Gregory, nella sua relazione con Paula, incarna esattamente questo tipo di personalità narcisistica. Paula non è vista come una persona autonoma, ma come un’estensione della volontà di Gregory, un oggetto che egli può manipolare a piacimento. Kernberg parla di “amore perverso”, una forma di amore che non riconosce l’autonomia dell’altro ma è basata su invidia, svalutazione e controllo. In Angoscia, vediamo come Gregory invidia l’autenticità e la vitalità di Paula, e per questo cerca di distruggerla, portandola a dubitare di sé e della sua stessa realtà.
Nella relazione narcisistico-perversa l’oggetto viene usato con la finalità di mantenere il sé coeso. Il “rifornimento” narcisistico avviene attraverso il danneggiamento e la manipolazione nei confronti dell'oggetto perché entrano in gioco i mezzi tipici della perversione – diniego e scissione - messi in atto con il piacere specifico di umiliare e distruggere, oltre a quella peculiare capacità, tipica della perversione, di alterare la realtà. Il narcisista perverso è “narcisista” in quanto lavora per mantenere la propria autostima ed è “perverso” in quanto fa pagare ad altri il prezzo della difesa dal collasso del sé.
Secondo Racamier, uno degli psicoanalisti più fecondi della sua generazione, le perversioni narcisistiche non si identificano con l’individualismo o con l’amor proprio, bensì con una tendenza aggressiva e manipolatoria che compromette l’integrità delle relazioni e dell’altro. Le persone che sviluppano queste perversioni, spesso a seguito di traumi relazionali o difficoltà nell'infanzia, tendono a proteggere il loro sé vulnerabile attraverso comportamenti di negazione e distorsione della realtà, esercitando un controllo distruttivo sugli altri per difendere un’immagine di sé idealizzata e invulnerabile. Racamier sostiene che queste perversioni comportano una scissione della realtà psichica, in cui il soggetto distorce e manipola la verità per adattarla al proprio bisogno di superiorità e ammirazione. In altre parole, la persona con perversione narcisistica percepisce l’altro non come individuo autonomo ma come estensione di sé stesso, manipolandolo per rispecchiare l’immagine idealizzata del proprio io. L’autore approfondisce come le perversioni narcisistiche si sviluppano e come operano in ambito psichico e relazionale ed esplora il ruolo della “seduzione narcisistica,” un fenomeno in cui il soggetto perverte il legame affettivo per dominare o distruggere l’identità dell’altro, mantenendo così una propria posizione di forza e di controllo. Racamier illustra inoltre il concetto di “antinomia narcisistica,” descrivendo come l’individuo sia spinto a negare le proprie vulnerabilità e a infliggere ferite emotive agli altri come forma di protezione.
Seppur legata a tematiche differenti, un’altra prospettiva interessante è quella offerta da Sandra Filippini, che sistematizza il concetto di gaslighting e le strategie di manipolazione psichica “Il cinico riesce a convincere gli altri, ad influenzarli, ad indurre in loro sensazioni e comportamenti che essi non voglio provare. Riesce a far sentire gli altri colpevoli al suo posto manipolandoli”. Nelle perversioni relazionali, spiega Filippini, si vuole esercitare il potere sulla vittima, ci si vuole appropriare della sua vitalità e della sua autostima; la donna viene vampirizzata e “quando è svuotata, le viene lasciata un po’ di tregua o si passa ad un’altra vittima”.
La dipendenza affettiva
Rimanendo nell'ottica di fare un esempio, torniamo al film Gaslight, ma questa volta esaminandolo dal punto di vista di Paula.
La protagonista del film è una figura che incarna, in modo quasi estremo, il bisogno di essere accettata e amata. Sin dall’inizio della storia, si mostra come una persona profondamente vulnerabile, il cui passato di lutto e solitudine ha predisposto a cercare amore e protezione. Nel momento in cui Gregory entra nella sua vita e si propone come figura di sostegno e guida, Paula trasferisce su di lui il suo bisogno di approvazione, facendolo diventare l’elemento centrale della sua identità emotiva. Paula ripete un modello relazionale di dipendenza, cercando il riconoscimento e l’amore di una figura idealizzata e apparentemente protettiva, ma che in realtà la danneggia.
Nella dipendenza affettiva, spesso l’altro viene idealizzato come unica fonte di valore e sicurezza. In Gaslight, Paula proietta su Gregory protezione e forza, vedendolo come un marito amorevole e stabilizzante. Questa idealizzazione, tuttavia, serve anche a mascherare il vuoto narcisistico di Paula, che sembra incapace di vedersi in modo positivo e autonomo. Gregory diventa la propria “ancora” di identità e stabilità, facendo sì che qualsiasi percezione negativa su di lui sia respinta o negata. Questo meccanismo la porta a subire abusi senza riuscire a reagire.
Paula rinuncia progressivamente alla propria autonomia, lasciandosi controllare completamente da Gregory. La paura di perdere il suo affetto e la sicurezza che crede di ricevere da lui la porta a tollerare ogni umiliazione e controllo, persino quando inizia a dubitare della sua sanità mentale. La relazione riproduce una dinamica infantile in cui la paura di essere abbandonati o respinti inibisce qualsiasi tentativo di affermazione personale. Questa paura la rende incapace di staccarsi da Gregory, anche quando iniziano ad emergere i segnali del suo abuso.
Paula sviluppa un atteggiamento masochistico, accettando passivamente le accuse di Gregory e incolpandosi per ogni evento che lui le attribuisce, fino a dubitare della propria percezione della realtà. Paula inconsciamente accetta il ruolo della vittima per espiare un senso di colpa inconscio, che probabilmente deriva dalla sua esperienza infantile di perdita e di rifiuto.
Le dipendenze affettive, secondo una prospettiva psicoanalitica, rappresentano una forma di attaccamento patologico che spesso origina da dinamiche inconsce risalenti all’infanzia, legate alla relazione con le figure primarie di attaccamento. Questo tipo di dipendenza nasce da bisogni emotivi non soddisfatti durante il processo di sviluppo.
Per Winnicott, la dipendenza affettiva è il risultato di un’infanzia in cui il bambino non ha sperimentato una sicurezza emotiva sufficiente. Questo lo porta, da adulto, a cercare disperatamente un altro da cui dipendere, come tentativo di colmare un senso di vuoto e di evitare l’angoscia della solitudine. La cura passa attraverso la costruzione di una maggiore autonomia psichica e la capacità di stare con gli altri senza perdere sé stessi.
La psicoanalisi, quindi, interpreta la dipendenza affettiva come una dinamica complessa, radicata nelle esperienze infantili, più precisamente nella fase pre-edipica, e nel bisogno irrisolto di approvazione e amore. Secondo questa prospettiva, il comportamento del soggetto affettivamente dipendente tende a riprodurre, anche nelle relazioni adulte, quelle stesse dinamiche che si sono sviluppate nei primi rapporti significativi della sua vita, spesso con i genitori o altre figure di riferimento. Questa “coazione a ripetere” porta il soggetto a cercare, inconsciamente, di sanare ferite emotive attraverso relazioni cosiddette “tossiche”, in cui il partner viene idealizzato ma si rivela inadeguato o indisponibile, proprio come lo erano stati quei legami infantili.
Nancy McWilliams descrive la dipendenza affettiva come un modo di relazionarsi in cui la persona si sente costantemente bisognosa dell’Altro per sentirsi sicura e completa. Chi ha questa tendenza teme profondamente l’abbandono e fa di tutto per mantenere i legami, anche a costo di sacrificare i propri bisogni o di accettare dinamiche relazionali squilibrate. Anche per McWilliams, questa modalità di dipendenza affonda le sue radici nell’infanzia, in relazioni con figure di accudimento che non hanno trasmesso una sicurezza stabile. Se un bambino cresce con genitori emotivamente incostanti, iperprotettivi o imprevedibili, potrà sviluppare un senso di sé fragile, che lo porterà a cercare negli altri quella sicurezza che non riesce a trovare dentro di sé.
Dal punto di vista psicoanalitico, la dipendenza affettiva non è solo un comportamento, ma un aspetto profondo della personalità. Spesso, queste persone idealizzano il partner, si sottomettono alle sue esigenze e faticano a prendere decisioni autonome. Se il legame viene minacciato, emergono angosce intense e una sensazione di vuoto o di annientamento.
La dipendenza affettiva emerge anche come una difesa contro il profondo timore dell’abbandono. La psicoanalisi mette in luce come l’angoscia di restare soli o non avere qualcuno al proprio fianco generi, nel soggetto dipendente, un senso di insicurezza che ha radici in esperienze infantili di separazione o mancata cura. Di fronte a questo timore, la dipendenza affettiva diventa una strategia per evitare quel senso di vuoto e solitudine insopportabile.
Un altro aspetto rilevante è l’idealizzazione del partner, attraverso cui il soggetto dipendente proietta sull’altro qualità quasi perfette. Freud, come Kohut, suggeriscono che questa idealizzazione rappresenti una modalità narcisistica di compensazione. L’altro diventa una fonte di sicurezza e valore, colmando un vuoto interno causato dalla mancanza di amore per sé stessi. In altre parole, l’altro è visto come un’ancora di salvezza per la propria identità fragile.
C’è inoltre un conflitto tra la spinta all’autonomia e il bisogno di dipendenza. Le persone con una tendenza alla dipendenza affettiva tendono a sacrificare la propria indipendenza pur di mantenere la vicinanza con l’altro, in quanto percepiscono il desiderio di autonomia come una minaccia. Questo conflitto è spesso il riflesso di una dinamica infantile: si può ipotizzare, ad esempio, che in passato, ogni tentativo di affermare la propria autonomia veniva percepito come causa di rifiuto o abbandono, e perciò pericoloso.
Balint introduce il concetto di “basic fault”: una frattura nello sviluppo psichico causata da un’insufficiente risposta materna nei primi mesi di vita. Se la madre non è stata in grado di fornire sicurezza, il bambino sviluppa una dipendenza patologica dall’oggetto d’amore. Da adulto, il soggetto può cercare di colmare questa mancanza con relazioni affettive ossessive, sessualità compulsiva o dipendenze (inclusa la tossicodipendenza).
Il masochismo può essere un ulteriore elemento della dipendenza affettiva. Alcuni autori, come Melanie Klein, ipotizzano che il soggetto tragga un piacere inconscio nel sacrificarsi per l’altro, sperando così di ottenere affetto e riconoscimento. Questa dinamica può derivare da sentimenti di colpa e dal bisogno di espiazione, spesso collegati a conflitti psichici irrisolti nell’infanzia.
Freud, nello sviluppo della sua teorizzazione, arriva a considerare il masochismo come un fenomeno complesso che va oltre la semplice perversione sessuale. Inizialmente, lo interpreta come una forma di piacere che scaturisce dalla sofferenza, rappresentando una sorta di inversione del sadismo, dove l’aggressività, anziché essere indirizzata verso l'altro, è rivolta contro se stessi.
Nella sua ultima fase teorica, collega il masochismo alla pulsione di morte, identificandolo come una tendenza profonda dell’essere umano verso l’autodistruzione. Per Freud il masochismo non è solo un comportamento sessuale deviante, ma un aspetto fondamentale della psiche, intrecciato con il desiderio, la colpa e il bisogno di punizione.
Rosenberg riprende il pensiero freudiano e, nell’ottica di approfondirlo, dice: “Ci sembra che […] una prima definizione che potrà essere esplicitata nel prosieguo […] consista nell’affermare che il masochismo mortifero è un masochismo che riesce troppo bene. Questo significa che il soggetto investe masochisticamente tutta la sofferenza, tutto il dolore, tutto il territorio del dispiacere o quasi». Il masochismo mortifero deriva il suo nome dal fatto che, in linea di tendenza, può portare l’individuo alla morte per un eccesso di erotizzazione degli stimoli. Rosenberg muove i suoi passi dal pensiero di Freud sul masochismo. Il padre della psicoanalisi infatti scrive: «Nell’essere vivente la libido si imbatte nella pulsione di morte o di distruzione, che domina quest’organismo […] e cerca di disintegrarlo portando tutti i singoli organismi unicellulari [che lo compongono] allo stato di stabilità inorganica […]. La libido ha il compito di mettere questa pulsione distruttiva nell’impossibilita di nuocere, e assolve questo compito dirottando gran parte della pulsione distruttiva verso l’esterno […]. Un’altra parte, invece, non viene estroflessa, permane nell’organismo, e con l’aiuto dell’eccitamento sessuale concomitante [coeccitamento libidico] […] viene libidicamente legata. In questa parte dobbiamo riconoscere il masochismo originario, erogeno».
Infine, la dinamica della dipendenza affettiva si riflette anche sul transfert e controtransfert. Il transfert descrive come il paziente proietti sul partner o sul terapeuta aspettative e bisogni rimasti insoddisfatti. Allo stesso modo, il controtransfert riguarda le reazioni inconsce del partner o del terapeuta, che possono rinforzare la dipendenza o complicare ulteriormente la relazione.
Il gaslighting si riferisce, quindi, al comportamento tra due individui: vittima e carnefice. Calef parla di una difesa introiettiva, in cui vittima e carnefice reagiscono a impulsi orali di incorporazione (avidità), cercando di difendersi da essi. Questo comportamento permette a una persona di scuotere le percezioni di un’altra e di disconoscere l’ansia che ne deriva. Il gaslighting serve dunque a liberare il carnefice da funzioni e contenuti mentali, nel tentativo di evitare ansia e rotture con la realtà.
L’excursus teorico, non esaustivo, ma solo accennato, è importante nel cercare di dare comprensione, e riflessione, e studio, rispetto ad una dinamica molto presente nella pratica clinica.
Potremmo sostituire i nomi di Paula e Gregory con quelli, tanti, di persone implicate nelle stesse modalità. I protagonisti di questo film, così antico all’apparenza, potrebbero essere gli stessi nella attuale cronaca nera. O nella contemporanea realtà quotidiana.
Conclusioni
Ho dato il titolo di “amori perversi” a questo lavoro perché il termine “relazioni” mi è sembrato troppo freddo e distante rispetto al tipo di coinvolgimento che invece hanno le parti implicate.
Anche quando lo definiamo perverso, l’amore è quella complessa costruzione emotiva e inconscia suscitata comunque dalla presenza dell’altro. E non un altro qualsiasi, ma quel determinato altro che scegliamo perché il solo in grado di mobilitare quella complessità. Un gioco a due che può arricchire, nutrire la vita, ma che a volte può essere spietato, crudele, tanto da toglierla. Tanto da annientare quel determinato altro, nel corpo o nell’anima, perché portatore di una diversità, o perché contenitore del proprio odio, o perché, senza la sua presenza, si sentirebbe di non poter più esistere.
Gregory e Paula ci hanno consentito oggi di attraversare la loro perversità. Nel film alla fine, Paula riesce ad uscire dalla dinamica che la stava portando a rovina. Certo, è appunto un film. Nella realtà, lo sappiamo, è molto più complicato di così.
Complicato pensare a quante relazioni siano basate su dinamiche similari a quelle di Gregory e Paula. In un incastro di giochi inconsci in cui si arriva a rischiare la vita, se non a perderla.
Sappiamo che questo tipo di dinamiche non avvengono esclusivamente nei rapporti cosiddetti sentimentali. Ma in tutti gli ambiti, compresi quelli familiari. E qui si potrebbero citare altri film o tanti casi clinici quanti sono i nostri studi.
Occasioni di scambio, come il convegno del 9 novembre sono fondamentali, perché hanno il compito di portare a galla quel sommerso dell’indicibile nel mare magnum del diniego. Per difesa, omertà, o semplicemente paura. Il mio, un piccolo contributo per renderlo dicibile.
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