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"Psicoanalisi e istituzioni", giornata del gruppo di studio intercentri (11 dicembre 2021)

L’analista nelle istituzioni per i casi gravi: un promotore insostituibile di specifici processi di condivisione di esperienze e vissuti


"Psicoanalisi e istituzioni", giornata del gruppo di studio intercentri (11 dicembre 2021)

Report di Elisabetta Papuzza

È una mattinata sentita e importante, quella che lo scorso 11 dicembre conclude il calendario annuale degli incontri scientifici di entrambi i Centri romani della Società Psicoanalitica Italiana, durante la quale il gruppo di lavoro intercentri Psicoanalisi e Istituzioni racconta se stesso, la propria genesi, storia e sviluppo.

L’incontro, cui partecipano online, attraverso la piattaforma Zoom, circa centoventi persone, aperto al pubblico, è introdotto dai rispettivi segretari scientifici, Alessandra Balloni del Centro di Psicoanalisi Romano e Fabio Castriota del Centro Psicoanalitico di Roma; essi  sottolineano la centralità del tema relativo all’estensione del metodo psicoanalitico: “ … per il bene della psicoanalisi, intesa non solo come metodo di cura, ma come un operare orientato psicoanaliticamente (citando Harris e Meltzer), è necessario essa si adatti a varie situazioni, si apra ad altri contesti, oltre la stanza d’analisi, e fra questi il settore della salute pubblica è un ambito fondamentale che continua a richiedere un impegno costante, anche nell’intercettare la nuova generazione di psicoanalisti “.

Il gruppo Psicoanalisi e Istituzioni nasce nel 2013, promosso da Francesca Piperno (scomparsa prematuramente di recente, cui viene rivolto un ricordo ed un ringraziamento particolare) e da Alessandro Antonucci. Dal 2019 è coordinato da Giovanna Montinari e da Giuseppe Riefolo, che ne parlano oggi con l’obiettivo specifico di evidenziarne la specificità del suo operare, a partire da una ricognizione storica, e con un’enfasi sulla formazione degli operatori. In passato, incontri simili avevano invece avuto l’obiettivo di confrontare il funzionamento del gruppo romano con quello analogo degli altri Centri SPI in Italia.

Se le patologie gravi, le psicosi, il lavoro affrontato nei servizi e nelle istituzioni - affermano i coordinatori - sono da sempre campo di interesse per la psicoanalisi, difficile sembra tuttavia il tentativo di uscire dall’autoreferenza che riconduce tutto necessariamente alla stanza di analisi; non è utile porsi come esperti presunti sapere, ma come facilitatori semmai, grazie ad alcuni dispositivi propri della psicoanalisi, di specifici processi di condivisione di esperienze e vissuti.

Il gruppo nasce con l’intento di superare l’antica condizione per cui debbano essere gli psicoanalisti a recarsi nei servizi per portare l’expertise della psicoanalisi, e intende   proporre piuttosto il contrario, l’apertura del Centro di via Panama agli operatori dei servizi, che a partire dalla specificità dei propri contesti lavorativi, possano operare ispirandosi ad un pensiero psicoanalitico. Giovanna Montinari mette in evidenza, citando Arnaldo Novelletto, la condizione di solitudine in cui versa lo psicoterapeuta al lavoro e quanto le esperienze sviluppate dal Gruppo Psicoanalisi e Istituzioni abbiano nel tempo avuto soprattutto la finalità di fronteggiare tale isolamento, consentendo la condivisione ed il confronto fra gli operatori a vari livelli.

Un ringraziamento specifico viene rivolto a Flavia Capozzi per l’attenzione continua al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, attenta alla necessità di interfacciarsi con i servizi di neuropsichiatria infantile e di considerare l’ambito infantile e adolescenziale un settore fondamentale in tema di salute mentale. Le esperienze e i dispositivi che questo gruppo ha messo in essere in questi anni sono molteplici e per descriverli si avvicendano vari partecipanti al Gruppo di lavoro:

Giovanna Montinari e Fausta Calvosa raccontano con dati quali-quantitativi l’esperienza dei seminari teorico clinici “Raccontare il caso clinico” che, a partire dal 2015, si svolgono in via Panama e non all’interno dei servizi. Tale scelta che affonda le proprie radici nel rispetto e nell’attribuzione di valore alla motivazione degli operatori che possono decidere liberamente di partecipare ai seminari piuttosto che sentire le loro realtà operative “colonizzate”; le colleghe evidenziano l’elevato interesse, la costante frequentazione nel tempo, la pluri-provenienza degli operatori, sia in riferimento ai contesti (la libera professione, i servizi sul territorio, istituzioni quali ospedali, scuola, ecc.), sia alla geografia del Paese (da più regioni del centro-sud Italia.).

Emerge come dato significativo il fatto che tale esperienza abbia rappresentato un volano verso la formazione psicoanalitica, (l’8% dei partecipanti ai seminari ha poi iniziato il training della SPI), altri ancora hanno avviato un’analisi personale. Attraverso tali seminari sono state poi attivate intervisioni presso i servizi degli operatori- partecipanti su richiesta degli stessi.

Tra le iniziative attivate nell’ambito del Gruppo Psicoanalisi e Istituzioni è nato inoltre il portale web Psicoanalisi&Sociale (https://www.psicoanalisiesociale.it/): nel tentativo di promuovere il metodo psicoanalitico, attraverso spazi quali interviste, video, libri, scritti vari, esso promuove la ricerca ed il pensiero psicoanalitico, facilita la condivisione di esperienze tra varie figure e culture professionali, occupandosi di ambiti quali l’immigrazione (Gruppo PER) , l’emergenza Covid, il Terzo Settore, e utilizza  uno strumento più che mai attuale e fortemente sociale, Internet  per l’appunto. Il portale, fedele alla formula del web, viene raccontato nella mattinata attraverso un video, un piacevole inframezzo di immagini in movimento durante una mattinata assai densa di pensieri e parole.

La mattinata entra nel vivo attraverso gli interventi di Giovanni Coderoni, Pier Luca Zuppi e Paolo Boccara, che descrivono l’esperienza dei seminari analitici di gruppo e dei gruppi di psicoanalisi multifamiliare.

I primi iniziati nel 2015 e condotti da analisti di entrambi i Centri, sono caratterizzati da un approccio ben diverso dalla supervisione classica (più riconducibile all’expertise di un analista esperto e attivante nei partecipanti una dimensione superegoica); i seminari analitici di gruppo tendono invece, attraverso la lettura di un’esperienza clinica, a lavorare in modo simmetrico tra colleghi, attivando il loro controtransfert, la risonanza emotiva, aumentando la soggettività e la partecipazione. Il processo di associazione gruppale, a partire dalla lettura del resoconto dell’incontro precedente, introduce ogni volta una trasformazione non solo nel gruppo ma anche nel terapeuta che presenta il caso, lo aiuta a vedere altri vertici, e si configura quindi come un approccio più partecipato, emozionante, alla pari, vivo e trasformativo.

Dei gruppi di psicoanalisi multifamiliare, che si svolgono nei servizi riunendo insieme i pazienti, i loro familiari e gli operatori di varia natura, non solo quelli strettamente legati all’area psichica, ma anche sanitaria e infermieristica, viene raccontata soprattutto la parte definita Ateneo, cioè l’incontro che si tiene fra gli operatori, subito dopo la conclusione del gruppo, quindi in assenza dei pazienti e dei loro familiari. Trattasi di una fase che avviene a posteriori, dall’alto potere trasformativo in quanto lascia emergere quanto non ancora condiviso, né elaborato fino a quel momento, permette di capire cosa succede quando i pazienti vanno via, svolgendo pertanto sia una funzione ricostruttiva che liberatoria.

Di entrambe queste esperienze gruppali vengono evidenziate alcune specificità: il fatto saliente che attivino un fenomeno inconscio, un dispositivo gruppale del funzionamento psichico, che permette agli operatori, attraverso la condivisione della storia del paziente, della storia della relazione clinica, dei riferimenti alla propria esistenza personale, non solo di uscire dalla solitudine del proprio operare, ma soprattutto di collegarsi con i colleghi, con il paziente, con aspetti del sé che non risuonano altrettanto quando si è da soli; viene favorita in sintesi la possibilità di riconoscere e integrare l’alterità dell’altro e quella interna a se stessi, attraverso meccanismi identificativi e integrativi; l’elemento gruppale  per gli operatori risulta pertanto una specificità preziosa, oltre che condizione indispensabile per avvicinare la psicosi, esperienza altrimenti troppo disturbante. Gli stessi pazienti – viene evidenziato – hanno bisogno di sentire che i loro terapeuti non sono soli a loro volta, che sono sostenuti da un gruppo. Questi dispositivi entrano pertanto a pieno titolo sia nella formazione degli operatori, che della semplice manutenzione delle loro menti in generale.

Andrea Narracci enfatizza l’aspetto formativo di queste esperienze ed il loro valore ampiamente innovativo rispetto all’approccio delle supervisioni classiche; ne sottolinea il meccanismo per cui, soprattutto nei gruppi di psicoanalisi multifamiliare, la sofferenza viene presa in esame prima che si incanali nei sintomi; “ … il contatto con la sofferenza e la sua condivisione sono uno straordinario amalgama tra gli operatori, che permette di abbattere i ruoli gerarchici, e consente ad ognuno di sentirsi competente e recuperare aspetti scissi e dissociati della propria storia, favorendo un processo di rielaborazione continua per gli operatori… “. L'enfasi sul qui ed ora e sulla soggettività degli operatori, attraverso una proposta di self- disclosure, permette un avanzamento della posizione del gruppo e promuove un suo clima favorevole a sostegno del terapeuta che presenta il caso.

Intervengono a più riprese, nutrendo un dibattito appassionato e molto restitutivo, vari colleghi, in particolare tra coloro che nel tempo hanno partecipato come analisti, o psicoterapeuti, ai seminari analitici o ai gruppi multifamiliari: chi sottolinea l’attenzione  verso altri contesti di cura,  verso altre figure di operatori; chi invece l’importanza di guardare il paziente come persona, includendone il corpo e integrando aspetti che rimangono purtroppo spesso scissi e non integrati, come per esempio nei centri di riabilitazione dove il pensiero psichico e il modello psicoanalitico non arrivano. Qualcuno, fra i presenti, si sofferma sulla dimensione sensoriale, sulle espressioni corporee della psicosi, sull’unità corpo-mente, e sull’importanza di lavorare, attraverso l’estensione del metodo psicoanalitico, anche su tale integrazione.

Da più parti emerge nel dibattito la proposta di portare questo modello anche nel mondo della scuola, o nella pediatria, ambiti di intervento pioneristici e osservatori strategici nei quali si può assistere sul nascere all'insorgenza e sviluppo del disagio psichico in età evolutiva e dove sarebbe necessario intervenire, anche in termini preventivi, su un malessere in aumento, non solo nella fascia degli alunni, ma anche in quella dei docenti, spesso impreparati nella lettura e gestione delle dinamiche affettive relazionali in contesti sempre più complessi.

È inoltre sottolineata la gravità e l’aumento delle patologie segnalate dal contesto scolastico,  così come la necessità pertanto di un maggiore coordinamento fra le iniziative già in essere, da parte del mondo della psicoanalisi. In questo ambito, dove è alta la complessità, soprattutto in tempo di pandemia, sembra necessario entrare in punta di piedi, con modalità particolarmente rispettose del modus operandi già in essere, in quanto la presenza dell'esperto depositario di un sapere è vissuto con insofferenza e diffidenza.

L’importanza di estendere il metodo psicoanalitico oltre la stanza d’analisi si esprime, a conclusione di questa ricca ed emozionante mattinata di lavoro, soprattutto attraverso l’idea non tanto di insegnare, ma di imparare e di condividere esperienze e pensieri, senza aspettarsi domande, ma al contrario, intercettarle, sollecitarle e incoraggiarle.

 



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