La distinzione non è assolutamente quella dell’interno e dell’esterno,
sempre relativi e mutanti, invertibili.
Ma quella dei tipi di molteplicità che coesistono,
si penetrano e cambiano di posto.
(Deleuze & Guattari, 1980).
Una premessa necessaria
Il lavoro che vi presentiamo oggi è l’esito di una tensione dialettica sorta nel nostro gruppo. Si sono contrapposti, da una parte, l’esigenza di abbracciare il testo freudiano per meglio comprenderne le sue attuali potenzialità euristiche e, dall’altra, il tentativo di attingere ad altri saperi per sostenere un confronto epistemologico quanto mai complesso con i cambiamenti della post-modernità. Abbiamo messo in dialogo diversi stili di identificazione al testo freudiano e diverse prospettive teoriche ma comune è stato lo sforzo di costruire un pensiero gruppale.
Sollecitati dai nostri interessi clinici, abbiamo ri-letto L’Io e l’Es da un particolare vertice, osservando le relazioni tra processi identificatori precoci, bisessualità psichica e identità di genere, tematiche estremamente interessanti per le domande che attualmente pongono alla psicoanalisi. Siamo quindi entrati nel testo freudiano per “aprire delle possibilità” in materia di genere e sessualità (Butler, 1999) osservando in vivo nel nostro gruppo le stesse difficoltà che la comunità psicoanalitica sta affrontando nell’interrogarsi su quelle che vengono definite le “nuove cliniche”.
Timore di allontanarsi dalla base sicura della nostra tradizione metapsicologica? O spinta evolutiva all’esplorazione di nuove ipotesi? Su questo crinale ci siamo mossi, con l’intenzione di valorizzare le potenzialità di questa tensione dialettica piuttosto che contenerne gli effetti.
Tentativi di lettura
Vogliamo leggere L’Io e l’Es senza farne una esegesi. Proporre alcune linee di pensiero come se stessimo ragionando dentro ciò che il lavoro di Freud ha mobilitato e concorso a trasformare. Psicoanalisi contemporanea, mondo attuale e noi stessi come effetti di questo lavoro.
La psicoanalisi, presa com’è in un costante lavorio sui propri modelli e concetti, sta a più riprese tentando un confronto con la post-modernità. Post-modernità che di fatto ha plasmato ma nei confronti della quale si coglie in uno scarto, convocando la stessa psicoanalisi a ripensarsi.
D’altronde l’Io e l’Es, come Al di là del principio di piacere (1920), nascono e introducono ad un profondo ripensamento. L’opera di Freud era allora compiuta “se la si identificasse - come scrive Pontalis (1988, p.152) - con il suo periodo di conquista e di fondazione. Ma opera interamente da riprendere, se si individua l’essenziale del pensiero psicoanalitico nel confronto con quanto gli resiste, nell’esperienza del negativo che esso fa ineluttabilmente”. Con la svolta degli anni ‘20 la ricerca freudiana avanza sempre più su zone di non rappresentazione (Balsamo, 2023) più vicine alla clinica contemporanea.
È in particolare l’istanza egoica, nella sua enigmatica complessità, l’asse centrale di una profonda riformulazione metapsicologica. L’Io precedentemente inteso come nucleo organizzato e coerente di processi psichici - l’Io coscienza - cede il passo a una nuova concettualizzazione in cui l’Io si colloca al confine: è “quella parte dell’Es che ha subito una modificazione per la diretta azione del mondo esterno grazie all’intervento del [sistema] P-C …” (Freud, 1923, p. 488). L’Io diviene adesso solo una piccola superficie che non avviluppa interamente l’Es ma in esso confluisce. Scrive Freud (Ibidem, pp. 486-7): “un individuo è dunque per noi un Es psichico, ignoto e inconscio, sul quale poggia nello strato superiore l’Io […]”. Ci piace pensare una tensione tra questo Es psichico e la psiche estesa di cui parlerà Freud nel 1938, lasciandoci in eredità l’enigmatica affermazione: “La psiche è estesa. Di ciò non sa nulla”.
Freud quindi ne L’Io e l’Es non rinuncia all’esigenza di definire regimi diversi di funzionamento psichico ma amplia con l’Es i confini dell’inconscio con la conseguenza di una progressiva decentralizzazione del soggetto la cui vita sembra viversi impersonale (Garella, 2021). Non solo “l’Io non è padrone in casa propria” (Freud, 1916a, p. 663) ma l’Es diviene “qualcosa che ci vive” (Laplanche, 1977-79, p.181-2).
Come ricordava nella mattinata Barale “è a partire da questo fondo impersonale e largamente pre-rappresentativo che la vita mentale e il soggetto umano si ingegnano a tessere il loro incerto e provvisorio tentativo di traduzione-costruzione-narrazione”. Il testo, dunque, ben si presta a esprimere l’incessante lavorio tra una pluralità di piani; tra il tentativo illuministico di Freud di resistere a una sorta di indifferenziazione, definendo altrimenti il funzionamento psichico e, dall’altra parte, il riconoscimento di un amalgama esteso che esubera l’organizzazione “cartesiana” del discorso.
La nostra idea è che sia possibile individuare nel lavoro di Freud il tentativo di far coesistere questa pluralità di piani e “modi” che esprimono lo psichico in maniera tra loro diversa. Da questo punto di vista, l’Io e l’Es, corpo e psiche, soggetto e oggetto, natura e cultura ci appaiono più sfumati e complessi. Non più in opposizione diadica - o binaria - ma piuttosto in un dialogo reciproco, come in una sorta di compenetrazione.
In questa ricerca il gruppo si è mosso in un movimento oscillatorio, come un pendolo. Osservazioni che partono dalla crisi di un pensiero binario che emerge da molti saperi, non ultimi gli studi di genere e della filosofia post-strutturalista, della fenomenologia e del femminismo, che in modo convergente ci suggeriscono di pensare le istanze psichiche e il rapporto tra soggetto e oggetto come piani tra loro intrecciati. Una stratigrafia per cui al mutare di uno muta anche l’altro in un intreccio simultaneo.
Proveremo dunque a pensare l’Io e l’Es come piani intrecciati, l’identificazione come ciò che crea e collega un dentro e fuori ed infine la bisessualità in quanto molteplice che ritraduce ciò che l’Edipo cerca di definire. Il testo freudiano riesce infatti a mettere in tensione la progressiva decostruzione dell’Io con la soggettività come effetto di quella procedura di traduzione/trasposizione che è l’inconscio sessuale mai del tutto saturabile, la costruzione delle istanze psichiche con un fondo impersonale dell’Es, i processi identificatori precoci con la bisessualità psichica. Queste tensioni, pensiamo, non si debbano risolvere con una scelta dicotomica ma con la presa d’atto che gli elementi in conflitto possono essere pensati in una relazione dinamica.
Per fare ciò faremo parlare Freud di ciò che è al di là di Freud.
Soggettività bandite?
È venuto alla luce un soggetto molteplice. Abbiamo guardato al genere come costituito da molteplici istanze, ambiguo, sovradeterminato e conflittuale. Abbiamo provato a mettere in tensione questi aspetti che troverete nella forma di uno scambio dialogico, voci diverse che hanno dato forma ai nostri pensieri. Posizioni plurali, che convivono in ciascuno di noi e che si sono condensate in tre personaggi concettuali: Sig, Mund e duerF.
Mund: “Nell’intreccio tra sessualità e genere, la natura e la cultura, l’epistemologia e la politica entrano in una tensione dialettica, non hanno più confini certi anzi tendono a implicarsi l’una nella creazione dell’altra”.
Sig: la complessità delle dinamiche transfero-controtrasferali sottolinea come, a volte, la psicoanalisi possa sembrare ‘troppo vecchia’ nel comprendere le stesse dinamiche. Si avverte quasi come se la riflessione mediante i nostri strumenti metapsicologici significasse tout court ‘patologizzare’ i pazienti che espongono tali intricati intrecci. Se da una parte osserviamo la difficoltà che la psicoanalisi ha nel comprendere questi cambiamenti della post-modernità, dall’altra, ci chiediamo se potenti difese egoiche, alimentate dai più recenti movimenti socio-culturali, si siano appropriate della stessa sessualità apparentemente per liberarla ma di fatto per imbrigliarne la sua consustanziale ineffabilità.
Mund: O in un altro senso è possibile che sia il sessuale stesso ad iscriversi dentro altri registri, per cui il rapporto eterosessuale informato dalla genitalità perde il ruolo di organizzatore all’interno di una lenta ma radicale ripensabilità dell’umano?
duerF: Abbracciando la nota affermazione freudiana per cui ogni partito preso ci è estraneo (Freud, 1914, p.459), ci siamo chiesti se questa, che viene definita una ‘nuova clinica’, abbia specifiche qualità che rendono più difficile la sua pensabilità. Quali fattori controtransferali, culturali, sociali portano l’analista a difendersi? E ancora prima, quali rigidità teoriche ci impediscono di comprendere?
Sig: Ci pare che uno degli aspetti che contribuiscono allo spaesamento dell’analista sia la scissione tra domande di genere e sessualità che spesso troviamo in questi pazienti. Osserviamo la difficoltà di molti adolescenti a vivere la pulsionalità e la sessualità e nel non-binary riscontriamo un’ostinata e paradossale persistenza sulla tematica del non-genere.
Ancor più disorientanti sono quelle situazioni in cui la sessualità sembra essere esclusa e sostituibile con altre forme di relazionalità, l’asessualità, e l’altra faccia della pansessualità, in cui l’altro sembra perdere le sue qualità distintive, cadere in una sorta di indifferenziazione e contiguità.
Mund: Potremmo pensare, altrimenti, che la posizione asessuale continui invece a essere una psicosessualità che, in quanto tale, non ha nulla a che fare e non si esaurisce con la genitalità né con l’atto sessuale e che tali pratiche, come lo erano in passato quelle ascetiche, siano tanto intrise di pulsionalità quanto i riti orgiastici più espliciti?
Sig: Oppure si tratta ancora di una sessualità genitale denegata e scissa?
Mund: Per radicalizzare la questione: c’è ancora il rischio di leggere l’asessualità, la bisessualità e il fluid gender tout court come una difesa dalla sessualità, come un sintomo in sostanza? Oppure questo imponente movimento culturale e sociale chiede di aprirci ad una pensabilità che rimetta in discussione i fondamenti della nostra disciplina?
duerF: Alcune di queste domande - è evidente - sono più o meno basate su un binarismo, direbbero i teorici queer. E in quanto tali non possono che polarizzare la discussione. Abbiamo provato allora a sovvertire il domandare stesso con un pensiero che cerca di stare nel mezzo per pluralizzare i termini.
Sig: La disposizione interna dell’analista, la sua radicale disponibilità all’ascolto – radicalità che in questo caso è necessario conservare – è ciò che al momento, e da sempre, ci consente di avvicinare i pazienti, di comprenderli uno per uno, nel tentativo di integrare le teorie con quello che la clinica mobilita in noi.
Mund: Se a questo livello l’analista sembra avere strumenti per pensare il paziente e la sua sofferenza, che succede quando il paziente ci richiede una radicale accettazione, una non discutibilità rispetto alla questione di un corpo ‘sbagliato’?
Sig: Pensiamo alla questione problematica delle cosiddette terapie affermative e alla previa disponibilità dell’analista a lavorare per affermare il vissuto del paziente. Questione degna di nota se consideriamo che l’ascolto analitico tende a muovere una forza dinamica che consente al paziente di appropriarsi di sé anche conflittualizzando il suo vissuto e ricostruendone la trama narrativa e esistenziale. Possiamo pensare, citando Freud, che a mettersi in moto è un processo generativo di cui non sappiamo quale sarà l’esito.
duerF: A questo assunto fondante l’ascolto psicoanalitico, si contrappone la critica dei teorici queer secondo cui il nostro ascolto sarebbe condizionato dalle stesse teorie metapsicologiche che invece di attuare uno sforzo di generalizzazione teorica dell’unicità dell’esperienza clinica al contrario generalizzerebbero la stessa clinica.
Sig: D’altra parte più che un problema di nomenclatura, di definizioni, il metodo psicoanalitico s’interroga sul funzionamento libidico di questi pazienti. Osserviamo talvolta un disinvestimento della dimensione erotica e un timore dell’intimità oppure una ricerca vorticosa del piacere in cui l’altro e la sua peculiarità sembrano non esistere.
Come salvaguardare l’importanza del piacere erotico sessuale e il suo valore soggettivante? Come non considerare che il rapporto tra sessualità e genere a prescindere dagli esiti, anche plurali e fluidi, sia un tratto rilevante nella costruzione identitaria soggettiva?
duerF: Lo stare in analisi, tuttavia, dentro il nostro dispositivo può essere definito anche come una pista d’atterraggio dei fenomeni rappresentabili che riconfigura i confini della materia e dell’intellegibilità, di ciò che “può venire al mondo”, essere simbolizzato.
Mund: Il lavoro analitico sposta quindi confini tra conscio e inconscio, tra Io ed Es, facendo fallire l’univocità e la rigidità della “metafisica” inconscia, affettiva e personale, dell’analista e del paziente. L’analista prova quindi a fare l’esperienza di mettere in fuga, grazie all’eccedenza dell’Es, i propri pre-concetti. In questa specifica pista di atterraggio rappresentazioni e affetti, parole e cose, biologia e segni, partecipano di uno stesso piano di immanenza della seduta. Pensiamo perciò a quanto una differenza tra modelli crei differenti piani di realtà per i differenti analisti.
duerF: Possiamo dunque chiederci: che rapporto c’è tra materiale analitico e metapsicologia, ma anche tra pratica discorsiva e corpi materiali? Il materiale analitico partecipa di un lavoro di messa in forma tanto quanto la metapsicologia. In altre parole, la relazione tra materia e pratica discorsiva è di reciproca implicazione, l’una non è articolabile senza l’altra.
Mund: Posto che il rapporto tra materiale clinico e metapsicologia di sicuro si fonda su una sovra-determinazione inconscia dovuta all’equazione personale dell’analista (Aulagnier, 1999) e alla singolarità dell’incontro con il paziente, facciamo l’ipotesi che questo possa avere sia delle pre-condizioni, sia delle conseguenze cliniche ma anche politiche.
duerF: Questione tanto più rilevante in merito al tema di cui stiamo ragionando e alle sue implicazioni etiche. Un pensiero sulle condizioni di pensabilità è “politicamente” avvertito se sa che nei binarismi, anche quelli indispensabili al pensiero stesso, si possono cristallizzare gerarchie e visioni del mondo che consideriamo “naturali”.
Mund: Ad esempio un linguaggio “dominante” su un corpo “muto”, un “maschile” attivo su un “femminile” passivo, l’edipico come forma organizzatrice unica e preferibile rispetto a un pre-edipico caotico, la sessualità genitale più evoluta rispetto a una infantile perversa polimorfa.
duerF: Da questa prospettiva anche il concetto di queer, lo “strano” non patologico, può essere considerato dalla psicoanalisi come una matrice di possibilità.
Mund: Questo approccio potrebbe consentire alla psicoanalisi di allontanarsi dal rischio di normativizzare, rappresentando l’insieme delle categorie marginali, delle intersezioni, delle fratture e delle convergenze che emergono quando gli elementi costituenti del genere e della sessualità sono liberati da significati rigidi e predefiniti.
Sig: Stare nell’interrogativo ci permette perciò di aumentare la tensione, avvicinandoci con maggiore precisione alla complessità del quadro, stimolando un dibattito dialettico intorno a questa questione.
Perdere, riperdere, amare
Torniamo a Freud per accompagnarci verso i meccanismi in gioco nella creazione del soggetto. Ne L’Io e l’Es l’identificazione ha un peso importante. (1) Freud fonda il funzionamento psichico e le scelte di investimento oggettuali e narcisistiche sulle vicissitudini dei processi identificatori ma restano aperte molte questioni inerenti al rapporto tra identificazione e relazione oggettuale (2).
Mentre l’identificazione edipica è la soluzione psichica a una perdita oggettuale, nell’identificazione pre-edipica non c’è perdita di oggetto, ma perdita di uno stato di tutt’uno. Qualcosa che precede la “nascita” di una separatezza (Loewald, 1999) di oggetto e soggetto. È questa perdita di unità a dare fondamento logico e genetico al soggetto e a preludere al funzionamento edipico della mente. A voler essere più precisi, si tratta di una perdita che non può essere conosciuta (che va dunque denegata, come ci ricorda G. Butler 1999). La “perdita della perdita” apre il processo introiettivo all’ombra dell’oggetto (Freud, 1914). In sostanza, è solo da questo momento che si può parlare di una relazione tra due e che si creano le condizioni per le vicissitudini di una strutturazione edipica.
A partire dalle nostre argomentazioni, possiamo quindi spingerci a pensare che l’identificazione sia un meccanismo potenzialmente eteroclito, perché ci lega a semiotiche molteplici e fonda, in quanto processo, un concetto ponte tra il dentro e il fuori. È un processo che per ogni singolo è storicamente e localmente determinato e arriva a produrre effetti su quella parte di Io, anch’esso inconscio, che si forma a partire da un’apertura-vulnerabilità verso l’altro.
Attraverso la porta dell’identificazione, il bambino interiorizza anche le logiche del corpo “politico” della madre, ciò che la madre si autorizza a validare e investire libidicamente sia su un piano procedurale sia su un piano enigmatico (Atlas, 2023). Sappiamo (Butler, Benjamin, Roussillon e altri) che non è possibile separare la biologia dalla dimensione culturale e che l’altro a cui il bambino si identifica a sua volta è un soggetto portatore di una storia complessa di identificazioni e investimenti. Il corpo “politico” della madre è perciò la forma che mette al lavoro il corpo pulsionale dell’infans e così facendo determina le condizioni di possibilità perché ci sia uno spazio psichico di rappresentabilità (Laplanche, Aulagnier, 2021).
A partire dal dato originario percettivo, il corpo del bambino è quindi da subito attraversato dai fantasmi e dai messaggi enigmatici dell’adulto. Non c’è mai un dato biologico oggettivo ma, nell’atto stesso di percepire, l’adulto vede oltre che con i suoi occhi, con il suo vissuto, con i suoi fantasmi, i suoi traumi e conflitti irrisolti, il suo modo particolare di intendere un pene o una vagina e la fantasmatica ad essi associata. Sarà poi la capacità di traduzione-decifrazione di quel bambino a istituire, a partire da questi enigmi che il suo corpo sollecita nell’adulto, quel particolare e unico processo di sessuazione (Balsamo, Recalcati, 2022). Non esiste dunque un corpo naturale ma un corpo abitato dagli oggetti (Bollas, 1992).
L’infans si appropria delle caratteristiche dell’oggetto, c’è un divenire l’oggetto come per eliminare la differenza, per eludere l’alterità. E in ogni processo identificatorio c’è una asimmetria, si gioca una partita tra soggettività e assoggettamento, tra violenza dell’interpretazione e rivendicazione di una singolarità, tra idioma soggettivo dotato di un’agency e rischio di colonizzazione.
Eppure, il soggetto non si riduce alla dialettica tra attribuzione e appropriazione ma in esso convivono tutte queste differenze. È molteplice e polifonico.
Le questioni che i nostri pazienti ci pongono hanno a che vedere con il binarismo? Si tratta dei costi che un individuo deve pagare per corrispondere alle aspettative sociali e presentare un’identità accettabile? La sofferenza di alcuni di questi pazienti è riconducibile a una società che gli attribuisce un genere, un ruolo, un’identità appunto accettabile…?
Desiderio e identificazione potrebbero non essere pensati come reciprocamente escludentesi, possiamo invece concepire “anche un modo per descrivere come l’eterosessualità diventi il luogo della passione omosessuale, oppure per descrivere come l’omosessualità diventi il passaggio segreto per la passione eterosessuale” (Butler, 2004).
Tenendo a mente la pluralità dei processi identificatori e dei suoi molteplici livelli l’analista può accogliere tale complessità in una forma soggettivante?
La clinica ci spinge a rivedere il paradigma di una linearità evolutiva dal pre-edipico all’edipico. C’è una coesistenza di livelli identificatori, che possono essere ben integrati e in dialogo tra loro, permettere identificazioni diverse, maschile e femminile, eterosessualità, omosessualità, oppure scisse e in conflitto tra loro. È proprio questa capacità integrativa che fa l’unicità di un soggetto. Afferma Bastianini (2017): “lo scenario traumatico al contrario fisserebbe rigidamente i poli identificatori senza alcuna dialettica tra molteplicità e identità. In sintesi, verrebbe meno nella psiche la capacità di contenere integrazione, coesione, identità in relazione dialettica con molteplicità e differenza”.
Plasticità vs rigidità
In conclusione la nostra eterogeneità, come gruppo di lavoro alle prese con l’Io e l’Es, ci ha fatto sperimentare una certa plasticità, intesa come pensiero sulla differenza. La plasticità non è un processo dialettico, non funziona per binarismi. È creare differenze. Quindi non una rappresentazione determinata ma un processo sempre in atto.
Le soggettività in tal senso sono plurali e polifoniche, non conoscono istanze dominanti di determinazione. Non è un sistema di determinazione binaria, Io vs Es, ma alla sua produzione concorrono differenti registri semantici non implicati in rapporti gerarchici, l’Io E l’Es. Non c’è dunque nella soggettivazione sempre in atto una causalità univoca ma una mutazione esistenziale collettiva.
Tali componenti eteroclite che concorrono a produrre soggetti possono operare per il meglio, producendo nuove forme o per il peggio, in una massmediatizzazione aberrante. In questo gioco il sé e l’Altro, l’Io e l’Es, non si troveranno mai tra loro separati, ma si manterranno in parallelo per tutto il corso della vita, in un modo sempre trans-soggettivo. Un divenire con l’Altro in un’impresa infinita.
L’Altro inteso dunque come l’ignoto che è in noi. Affonda le sue radici nel mistero del corpo e in quelle tracce che nel corpo ha inscritto l’Altro oggetto e l’Altro della filogenesi. In questa dialettica con l’Altro nelle sue molteplici forme si colloca il nostro divenire soggetti.
Sarà quindi utile avere uno sguardo sulle nuove forme di soggettività e i materiali di cui esse dispongono. Con ciò intendiamo che la componente dell’Es, inteso come piano pre-personale e non soggettivato è essenziale perché proprio a partire da esso può svilupparsi un divenire etero-genetico. Si tratta di pensare che i processi di soggettivazione non operano solo a livello di rapporti interpersonali e intrafamiliari ma che la soggettività si fabbrica anche a livello delle grandi macchine sociali.
Disponiamo ormai di molteplici modelli che concorrono alla creazione di soggettività. Un certo tipo di mito, come quello di Edipo, è indissociabile dal bisogno di organizzazione. Organizzazione che però entra costantemente in contatto con la plasticità, con altri miti, altri discorsi che lasciano una traccia sul corpo.
Forse oggi abbiamo bisogno di diverse modellizzazioni, rivolte al futuro e aperte a nuove pratiche sociali. La dimensione edipica che ha continuato a sussistere come elemento centrale nello sviluppo della soggettività e della sessualità differenziata è oggetto di dibattito. Con la crisi del grande contenitore psichico e sociale (la dimensione triangolare familiare e strutturalista dell’esistenza) le linee di demarcazione delle differenze sono divenute sempre più sfumate: accanto alla formazione di un’identità di genere proveniente dall’Edipo, che cerca saturazione, direzionalità e stabilità, ne viene proposta un’altra che rimane sempre aperta, insatura e in divenire (Amir, 2019). La questione del genere sembra assumere in sé in modo stringente e insieme drammatico i termini del problema intorno alle differenze, di cui la questione della bisessualità psichica e di come la psicoanalisi l’ha affrontata sembra rappresentare uno dei nodi (Marion, 2017).
Del resto, nella sua consapevole auto-contraddittorietà rispetto a un Edipo fondato solo sulla rivalità e sulla perdita, Freud rende complesso il proprio discorso introducendo la bisessualità come base non univoca ma polisemica degli investimenti. E anche delle identificazioni. Il concetto di bisessualità, ricordiamolo, ha accompagnato tutto il lavoro freudiano senza mai trovare una precisa collocazione metapsicologica. La sua fertile ambiguità – afferma Ferraro (2022, p.62) – risponde proprio all’esigenza “di porre in risalto il lavoro psicosessuale non riducibile a una schematica simmetrizzazione o riflesso dell’identità sessuata”. La funzione della bisessualità psichica è quindi quella di sganciarci da un ancoraggio troppo stretto all’appartenenza di genere, è un concetto inclusivo che rinvia ad una sempre attiva doppia identificazione che tuttavia nel pensiero freudiano non travalica il vincolo di una definizione. In questo senso la tensione dialettica tra bisessualità e genere implica la relativizzazione della differenza dei sessi.
Possiamo quindi considerare l’Edipo da un punto di vista logico. Può esserci una molteplicità di dispositivi di soggettivazione a seconda dell’epoca storica, degli spazi sociali, delle culture e della storia individuale e transgenerazionale del singolo. La bisessualità, come precipitato di quella sostanza molteplice che è l’Es, ci apre un varco verso una logica alternativa orientata all’espressione di questo molteplice. “Una intera serie di situazioni” diceva Pontalis (2001), a proposito che nell’Edipo ci si può identificare con la madre, con il padre, con il padre e la madre e persino con la virgola…
In conclusione, abbiamo provato a cogliere la soggettività in una dimensione creativa e processuale, a guardare al rapporto tra sessualità e genere in modo complesso, a tenere insieme piani diversi e soprattutto a dialogare con ciò che sfugge a una sistematizzazione coerente.
Bibliografia
Amir, D. (2019). Gender in Movement: The Rhizomatic versus the Oedipal. Presentato all’«IPA study day on gender diversity and psychoanalysis». Bruxelles, 27-28 settembre 2019.
Atlas, G. (2023). L’enigma del desiderio. Cortina Editore, Milano
Balsamo, M., Recalcati, M. (2022). Destini dell’anatomia. Frontiere della Psicoanalisi, n.2, pp.217-36.
Bastianini, T. (2023). Corpo, sessualità, genere: tra progetto identificatorio e desiderio. Giornata di studio ‘Le differenze sessuali e di genere: esperienze in psicoanalisi e oltre’, Milano 09 settembre 2023.
Bollas, C. (1992). Being a character: Psychoanalysis and self experience. Hill & Wang.
Butler, J. (1999). Gender Trouble, New York, Routledge
Deleuze, G., Guattari, F. (1980). Mille piani. Orthotes Editrice, Napoli
Ferraro, F. (2022). Analisi in-finita e orizzonte edipico. Franco Angeli, Milano
Freud, S. (1916a). Opere, vol. IX. Torino: Bollati Boringhieri, 1977.
Freud, S. (1923). L’Io e l’Es. Opere, vol. IX. Torino: Bollati Boringhieri, 1977.
Garella, A. (2021). L’impersonale e la soggettività psicoanalisi. IJP Open, (8)(26), pp.1-27.
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Laplanche, J. (1977-79). L’inconscio e l’Es. Problematiche IV. Mimesis, Milano, 2023.
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Marion, P. (2017). Il disagio del desiderio. Sessualità e procreazione nel tempo delle biotecnologie Roma, Donzelli.
Pontalis, J.B. (1988). Perdere di vista, Borla, Roma 1993.
Pontalis, J. B. (2001). Finestre, Roma, E/O
(1) Se in Lutto e Melanconia (1915), Freud aveva compreso che un oggetto perduto può essere sostituito da un’identificazione, ha poi esteso tale processo fino a ritenere che “tale sostituzione concorre in misura notevole alla configurazione dell’Io, contribuendo in modo essenziale a produrre ciò che viene chiamato il suo carattere” (Freud, 1922, p.491).
(2) Freud distingue l’identificazione nella sua forma primaria e preedipica dalle identificazioni secondarie, conseguenti al tramonto del complesso edipico. In particolare, l’identificazione primaria sembra una forma originaria di legame affettivo con l’oggetto che avvia e precede la scelta dell’oggetto da investire libidicamente. In questo caso l’oggetto come altro separato viene posto all’inizio della vita psichica e non al tramonto del complesso edipico. Può dunque esserci un rapporto identificatorio con oggetti che appartengono all’ordine della filogenesi “il padre della propria personale preistoria” (Freud 1922) e non dell’individuo e che funzionano non come oggetti di piacere/dispiacere.