"Chi fa un mestiere impossibile come lo psicoanalisita deve interrogarsi sul rischio di una rimozione sempre dietro l’angolo: quella determinare nel paziente come nell'allievo un’affettività repressiva del pensiero oppositivo e dell'autenticità nella relazione"
Report di Chiara Buoncristiani
“Difficilmente gli uomini non abusano del potere che è stato loro concesso". Queste parole di Freud in Analisi terminabile e interminabile evidenziano il potere che ogni cura conferisce al terapeuta nei confronti del paziente, e quindi anche all'analista nei confronti dell’analizzando e all’analista didatta nei confronti dell’allievo-paziente”.
Da qui si è mosso Ezio Maria Izzo, nella serata scientifica del Centro Psicoanalitico di Roma “Psicoanalisi ed Etica”, per esplorare alcuni interrogativi: esiste un’etica nella cura psicoanalitica? Se esiste, è “la stessa” anche nella formazione e trasmissione della psicoanalisi agli allievi? Da quale etica è derivabile un Codice Deontologico per gli psicoanalisti?
Analista con funzioni di training, Izzo proprio su questo tema negli ultimi anni ha tenuto lezioni agli allievi dell’INT. L’evento ha avuto come ospite Francesco Saverio Trincia, professore onorario di "filosofia morale" all’Università La Sapienza.
Il discorso parte dall’origine: per Freud, genitore, maestro e analista sono mestieri impossibili. Non a caso, sua figlia-paziente-allieva, Anna, nel 1938 definiva l’idea di un istituto di formazione analitica una “utopia”. Successivamente, nel 1966, ancora lei affermava che “non esiste un istituto ideale per la formazione analitica”. Izzo si chiede dunque se l’insegnamento della psicoanalisi non sia doppiamente impossibile. Anzi triplamente: dal momento che formazione e trasmissione, in psicoanalisi, sono aspetti contigui ma non sovrapponibili.
Per Izzo la questione del potere dell’analista fa il paio con la “frequente risposta difensiva del paziente, come dell'allievo-paziente, che Ferenczi metteva in conto al meccanismo di difesa dell'identificazione con l'aggressore”. Citando ancora la figlia del maestro, Anna faceva infatti presente che nessun maestro riceve, come i maestri-formatori in psicoanalisi, un compenso così alto per quello che vogliono e amano fare. Quanto a Ferenczi, già al Congresso di Wiesbaden nel '32, quindi all'inizio della storia della formazione psicoanalitica, ne “La confusione delle lingue”, pensava che gli allievi apprendessero dai maestri per un atteggiamento di compiacenza, presente nelle loro analisi. Consigliava quindi ai colleghi di “sciogliere” questo atteggiamento e cercare di ascoltare al di là di esso.
Dunque etica impossibile ma anche possibile nella cura e nella trasmissione analitica, se è vero che Freud nel 1918 al Congresso già affermava: “Noi ci siamo decisamente rifiutati di fare del malato che si mette nelle nostre mani in cerca di aiuto una nostra proprietà privata, di decidere del suo destino, di imporgli i nostri ideali e con l'orgoglio del Creatore di plasmarlo a nostra immagine e somiglianza per far piacere a noi stessi”. Parole che ricordavano agli analisti uno dei problemi principali della cura: il rispetto e il riconoscimento di individualità, unicità, creatività e libertà di ogni paziente e di ogni allievo.
Freud pensava, dunque, che l'uomo potesse amare sé ed i suoi simili, spinto da libido non solo egoistica, ma anche altruistica, risultato delle trasformazioni pulsionali che procedono verso la “civilizzazione”, essa stessa un processo etico.
Sia che si parli di cura o di formazione, sia che si parli di differenti modelli psicoanalitici, l’etica che guida la psicoanalisi non cambia. Secondo Izzo, un problema, però, si pone nell’ambito della trasmissione se questa viene vista come affiliazione. In questo, il livello dell’identità dell'Istituzione rischia di sostituirsi al fondamento etico della disciplina, rischiando di portare la psicoanalisi molto vicina ad una religione. E’ allora che il maestro-formatore può porre la terapia al servizio dell’Istituzione, creando un gruppo di tipo religioso, con la nascita di uno spirito di corpo che, com’è successo, porta divisioni di cui la storia della psicoanalisi è piena.
Il riferimento è alle tracce di una memoria trans-generazionale: a come i primi analisti pensarono di proteggere la psicoanalisi appena nata attraverso un “Comitato segreto”. Tuttavia ci sono stati analisti, che hanno osservato le dinamiche presenti nei gruppi e nelle Istituzioni e i loro aspetti “folli”.
Dai rischi di queste dinamiche il discorso di si è snodato verso il rischio che la psicoanalisi corre rispetto alla rimozione, negli analisti, del bisogno di un’assunzione di responsabilità nei confronti della proposta di terapia psicoanalitica e non di un'altra. Tanto più che allo psicoanalista è chiesto oggi di osservare principi etici e di giustificare la credibilità della terapia psicoanalitica. Se all'inizio del secolo passato la prassi psicoanalitica era stata accolta e si giustificava come rivoluzionaria proposta di accoglienza ed ascolto del paziente, oggi questo non basta. A quali condizioni è ancora credibile l'uso di un modello terapeutico nato con psicopatologie e in contesti tanto diversi dalle attuali? Izzo è ovviamente convinto che possa esserlo ancora, a patto di fare un lavoro di riappropriazione e comunicazione rispetto alle evoluzioni della psicoanalisi contemporanea. Con quali “estensioni” (rispetto al "modello classico") lo strumento analitico può rivendicare di essere ancora considerato rivoluziono e all'avanguardia? L’invito è a interrogarsi sulla specifica “unicità” che l’intervento di uno psicoanalista, e non un altro tipo di terapeuta, può garantire alla cura dei pazienti. Anche di quelli che non entrano in stanza d'analisi e che non si stenderanno mai su un lettino. D’altra parte, anche il gioco con i bambini fu un’estensione del metodo, come lo è il lavoro, creativo e liberamente scelto, per gli adulti nei day-hospital di quei servizi pubblici, nei quali vi è la presenza di un analista.
Qui, secondo Izzo il rischio è di rimuovere i cambiamenti nella teoria e nella prassi della psicoanalisi contemporanea: il maestro Freud ricordava l'errore di aver preso come dogmi alcuni suoi consigli. Nel tempo si è passati alla centralità e all’efficacia trasformativa della reciprocità nella relazione e del coinvolgimento dell'analista, “eppure c’è sempre il rischio della ritualità dell'analista, che determina nel paziente un’affettività repressiva del pensiero oppositivo e dell’autenticità nella relazione”.
Izzo ha poi fatto esplicito riferimento alle richieste del MUR, che “ad alcuni analisti appaiono incomprensibili, ma non lo sono affatto, se pensiamo che ci viene chiesto di garantire come lo psicoanalista, senza lettino, può curare i pazienti nei servizi pubblici di psichiatria, che sono parte dell'assistenza sanitaria”. La psicoanalisi si ritrova tuttavia a costatare ampie divergenze fra le norme legali ed il disordine della psiche. “Sta a noi pensare se dobbiamo e come possiamo stare il più possibile in accordo con le leggi della società nella quale vivia