Il sessuale della psicoanalisi

Interrogare la sessualità è un compito che la psicoanalisi non può rimandare. Per quanto il rapporto fra psicoanalisi e sessualità possa andare praticamente da sé ciò che desta più stupore è l’osservazione del ruolo sempre più marginale, della cancellazione della sessualità in psicoanalisi.

Maurizio Balsamo

 

estratto dalla pubblicazione apparsa su “Frontiere della psicoanalisi 1/2022”

 

Essere ciò che si è, implica, nell’esperienza analitica, un’interrogazione sui modi in cui sono un uomo o una donna a partire dal mio essere sessuato, dal rapporto cioè fra il mio desiderio, il mio corpo, il sentimento del sé, e i significanti, le intenzioni inconsce, i messaggi enigmatici che l’Altro che si è preso cura di noi ci ha inviato, che hanno lasciato una traccia, un’impronta o un marchio nella nostra realtà psichica, e su cui si sono depositate, nel tempo, le traduzioni che ne abbiamo potuto fare. Si tratterà allora, ogni volta, di pensare come si determina la sessuazione nel processo di ripresa e di assunzione soggettiva di questo rapporto, nella dinamica dell’integrazione pulsionale e dei suoi inevitabili resti, nelle risposte alla contingenza dell’incontro fra il mio desiderio e quello dell’Altro, nella plasticità o nella fissità delle sue costruzioni. Una teoria psicoanalitica che non prenda in considerazione queste premesse, “il ruolo della pulsione e il significato della sessualità̀ infantile e che cortocircuita queste questioni, è una teoria che non serve a niente”, ha scritto giustamente Winnicott.

Potremmo mai riflettere sulla ricchezza di questo tragitto – dove identità di genere, destini del sessuale, identificazioni e disidentificazioni istituiscono un percorso altamente suggestivo –, senza assumere tutto ciò che l’invenzione freudiana ha apportato storicamente alla conoscenza della sessualità, alla rivelazione del ruolo che ha nella vita psichica e dei suoi modi di funzionamento, di inciampo, di fallimento, di traduzione singolare del desiderio, al di là delle sue manifestazioni fenomenologiche o delle sue evidenze anatomiche? Al medesimo tempo però, questa invenzione è capace di rispondere in egual misura alle questioni poste dalle nuove configurazioni sessuali, dalle neosessualità, dalla fluidità dei sessi e dei generi, dalla separazione fra biologia e funzione riproduttiva, dalla costruzione di dispositivi di piacere non umani che realizzano mondi virtuali di stimolazione corporea, tecnosessualità, e così via di seguito?

Come scrive una psicoanalista francese, Laurie Laufer (2021) in Une psychanalyse emancipée, l’incontro fra psicoanalisi e omosessualità, intesa qui come vertice osservativo di differenti configurazioni sessuali, dovrebbe a suo giudizio essere pensato come una matrice aperta di possibilità che permetterebbe alla psicoanalisi di abbandonare il suo assunto normativizzante. Il termine queer, aggiunge Laufer, deve essere inteso come l’insieme degli scarti, delle imbricazioni, delle dissonanze e delle risonanze che si istituiscono quando gli elementi costitutivi del genere e della sessualità di qualcuno non sono costretti a significazioni monolitiche. Sono in tal modo queste le avventure, cito, “che vivono quelle fra di noi che amano definirsi lesbiche femministe e aggressive, fantasmatori, frocie mistiche, drag queens e drag kings, cloni, donne in smoking, uomini che si definiscono lesbiche e lesbiche che scopano con uomini.”

Ma qui si rende ragione solo della plasticità del piacere sessuale, nelle sue configurazioni possibili, o invece possiamo ritenere che questa moltiplicazione dei ruoli e dei modi di piacere istituisce di fatto delle forme identitarie nel gioco potenzialmente interminabile di posture e assunzioni sessuali? O, ancora, che nella dimensione essenzialmente performativa del sessuale, si trascura quantomeno, come osservava Lacan in Ancora (1975), che “c’è un al di là di tutto questo giocare” che non si esaurisce nel play? Senza dubbio questa enumerazione potenzialmente illimitata di configurazioni si offre come una pratica di sovversione di codici, limiti, definizioni e attribuzioni in una sorta di autogenerazione di un essere sessuale molteplice, sottratto alla differenza sessuale, considerata storicamente costruita e pertanto artificiale come tutte le costruzioni identitarie. E sebbene la Laufer parli di questo universo di neoconfigurazioni sessuali come espressioni del diritto ad amare chiunque e nei modi in cui si desidera, nel passaggio dal regime di sessualità normativizzante ad una erotologia, occulta però che questa erotologia non può comunque essere sottratta ai destini pulsionali di ogni sessualità, quelli cioè del rapporto fra sessualità slegata e sessualità legata. La dimensione di slegamento non concerne il suo darsi eventualmente come espressione di una sessualità non eterosessuale, non riproduttiva, non correlata all’anatomia, ecc., ma la ricerca e l’assunzione di una plasticità di ruoli, posture, modi, piaceri: in sostanza, nel suo rapporto col sessuale infantile così come è stato posto da Freud, del sessuale cioè “polimorficamente perverso”. La dimensione di legame mi appare invece situabile nella rivendicazione identitaria di queste neoconfigurazioni che io proporrei di pensare, da una parte, come un atto politico di ampliamento di spazi e di rivendicazione del diritto alla singolarità dei modi in cui si gode e, dall’altra, come l’espressione di una necessità organizzativa-integrativa del pulsionale polimorfo. Il tratto identitario costantemente invocato sarebbe cioè, nell’ipotesi che propongo, non solo l’espressione di un diritto alla propria sessualità, la rivendicazione di un altro modo di godere, di vivere il proprio corpo, ma esprimerebbe una necessità legante ancor più necessaria nel momento in cui si estende, o si radicalizza, l’esperienza di una polimorfia performativa del sessuale. Dico di proposito polimorficamente perverso, perché, sebbene siamo abituati alla celebre definizione dell’infans come perverso polimorfo, dovremmo osservare che Freud in realtà parla più correttamente di “polimorficamente perverso”, essendo avverbio e aggettivo inseparabili in tedesco. “Il perverso polimorfo, la formula comunemente usata, fa del perverso-bambino un sostantivo. Quando invece la parola è in realtà aggettivo e polimorficamente è un avverbio. Fra l’aggettivo e il sostantivo vi è ciò che fa la differenza fra la predisposizione polimorficamente perversa dell’infanzia e il perverso della vita sessuale adulta. Basterebbe osservare che non vi è nulla di meno polimorfo e plastico della sessualità del perverso, rigidamente fissato ad un fantasma e ad uno solo per segnalare la distinzione e l’illusione di continuità indotta dall’impiego della stessa parola” (André, 2017). Il sessuale infantile polimorfo non coincide cioè con la perversione propriamente detta, e indica piuttosto una dimensione che dobbiamo pensare innanzitutto, per riprendere le parole di Pontalis, come “il sessuale indifferenziato dove possono coesistere tenerezza e sensualità, maschile e femminile, attivo e passivo; non subordinato a una funzione, non legato a degli organi specifici, totalmente ignorante del principio di realtà e forse perfino non sottomesso al principio di piacere che implica una certa finalità. Un sessuale senza principi. Questo infantile è senza età. Non corrisponde ad alcun luogo, ad alcun tempo assegnabile. Non è dietro di noi, è una fonte al presente: fonte viva, mai silenziosa” (Pontalis, 1999). Ma questa polimorfia non si traduce senza resti, senza conflitto. La formula liberatoria che discende dalle rappresentazioni prima proposte cancella la dimensione del conflitto, del fallimento, dello scarto, dello scacco. La soddisfazione del proprio fantasma, del resto, non procede mai senza inciampi. Non fosse per altro che le nuove configurazioni sessuali tratteggiano una singolarità istituita da una performance che la realizza e la smonta per creare nuove posture, nuove identità, nuovi giochi, nuove invenzioni e, necessariamente, nuove organizzazioni e nuove disorganizzazioni. Al medesimo tempo, constato, in tutte le situazioni cliniche in cui mi sono imbattuto, un carattere di imperiosità, di obbligatorietà della soluzione adottata che contrasta nettamente col carattere giocoso che la descrizione della Laufer proponeva prima delle infinite posture sessuali antinormative. Mettendo dunque, per fare un solo esempio, una seria ipoteca sul carattere puramente inventivo, creativo, esulante dalla dialettica padrone-schiavo, del sadomasochismo come propone Foucault contro il Deleuze lettore di Sacher Masoch.

In ogni caso, è del tutto evidente la necessità, per la psicoanalisi, di arricchire la pensabilità delle questioni poste dalle neosessualità, di comprendere come ancora una volta, e in modi inediti, il sessuale si offre come la dimensione più plastica per trasformare processi psichici, per organizzare nuovi e antichi bisogni, per legare vissuti ed esigenze grazie alla loro iscrizione sotto l’egida del principio di piacere.

Pongo allora una prima questione, una prima traiettoria di ricerca, già del resto intravista in ciò che dicevo poc’anzi: la dimensione fluida della sessualità, che si manifesta come un’esigenza sempre più rilevante nella nostra esperienza quotidiana, può essere pensata come una manifestazione della potenza polimorfica del sessuale infantile? La questione, senza dubbio complessa da definire, è di verificare l’ipotesi se questa nuova realtà storica possa essere pensata, questa è la pista di indagine che propongo, come un modo differente di articolare il rapporto, del tutto ineludibile, fra sessualità slegata e sessualità legata, che si esprime, in tal caso, come articolazione fra sessuale polimorfo infantile e organizzazione identitaria. Questa ipotesi renderebbe conto, nel regime fluido, nel rifiuto di pensare il nesso fra desiderio, sessualità e fantasma inconscio, nell’opposizione ad una norma istituita dall’ordine repressivo, nel rifiuto della differenza sessuale, del fatto che è pur sempre necessario legare, integrare questa fluidità. Alla forza del pulsionale polimorfo così dispiegato si opporrebbe allora il bisogno reattivo di una organizzazione che assume non i tratti della norma, istituita dall’altro, ma della rivendicazione identitaria come esito di un trattamento singolare del pulsionale. Invocando la fluidità ed assumendola come tratto identitario, ci si appoggia – dal mio punto di vista – ad una rappresentazione di sé sufficientemente stabile tale da garantire il mantenimento delle frontiere appena dissolte, la possibilità di godere e di integrare la fluidità, di pensarla come nuova forma di vita e di espressione di piacere. Se questa ipotesi ha qualche elemento di plausibilità, si spiegherebbe quanto meno la forte prevalenza di tratti narcisistici agevolmente osservabili nelle condizioni cliniche caratterizzate dalla manifestazione diretta di un polimorfismo infantile. Questo polimorfismo va inteso senza dubbio innanzitutto nei modi prima indicati da Pontalis, cioè come un sessuale che pervade la nostra vita psichica come dimensione creatrice, dimensione che si fa beffe del linguaggio, del senso delle parole, dei limiti, delle zone erogene, che fornisce l’incavo perenne – la fonte sempre viva – di una organizzazione futura che la utilizza e la contiene come una disponibilità, una potenzialità di interrogare le forme costituite, succedutesi nel tempo. Allo stesso tempo, esso esprime però anche una pars negativa, cioè un pulsionale polimorfo che dice no a forme organizzative future, un pulsionale che manifesta una potenzialità di virare nella compulsione, nella ripetizione di esperienze che non sembrano lasciare traccia, di incontri, scrive Recalcati in Esiste il rapporto sessuale?, (2021), con corpi senza nome, di una pulsione che si ripete nel luogo stesso del suo manifestarsi, e che ad ogni modo, al di là delle situazioni più compulsive, potrebbe indicare in tutte queste espressioni la presenza di una organizzazione psichica narcisistica come necessità di una struttura legante della sessualità slegata.

Parlare della sessualità, interrogarla, tentare di comprenderne il ruolo e i processi trasformativi a cui è sottoposta oggi, data la vastità di condizioni che si offrono allo sguardo dell’analista, diventa allora una esigenza e non è affatto vero, come proponeva Foucault  in La volontà di sapere, (2013),  che in tal modo si tratterebbe, da parte della psicoanalisi, mediante i suoi interrogativi, di incitare alla confessione, estirpare il senso, la verità del sesso, per produrre discorsi su di essa, regolamentarla, ingabbiarla.

In ciò che ho tratteggiato, nella vastità di questioni poste, resta comunque un enigma. Se il sessuale assume questa portata, questa complessità, come è possibile che esso oggi definisca essenzialmente due grandi assi teorici in psicoanalisi, il primo che si articola intorno al riconoscimento del sessuale e il secondo che ne fa sostanzialmente a meno? Infatti, per quanto il rapporto fra psicoanalisi e sessualità possa andare praticamente da sé, tanto che non possiamo pensare, come dicevo all’inizio, oggi alla sessualità e alle sue manifestazioni, ai suoi significati, senza l’ausilio della psicoanalisi, senza gli strumenti concettuali che Freud ha istituito, ciò che desta forse più stupore è invece l’osservazione del ruolo sempre più marginale, della cancellazione della sessualità in psicoanalisi.

 

Bibliografia

André, J. (2017). Quel gennre de sexe? Paris: Puf.

Foucault, M. (2013). La volontà di sapere. Milano: Feltrinelli.

Laufer, L. (2021). Une psychanalyse émancipée par les théories du genre?. Le Carnet PSY, 248(9), 17-20.

Lacan, J. (1975). Ancora, In Seminario XX. Torino: Einaudi.

Pontalis, J.B. (1999). Questo tempo che non passa. Roma: Borla.

Recalcati, M. (2021). Esiste il rapporto sessuale? Milano: Cortina.

 

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