Adamo Vergine
“Che cos’è la psicoanalisi”
di Adamo Vergine
La psicoanalisi è una disciplina del pensiero che, può sembrare un paradosso, è stata costruita da un medico neuroscienziato che si occupava di afasie (disturbi del linguaggio) e paralisi, studiandone le alterazioni nei nuclei cerebrali con il metodo istologico. Si chiamava Sigmund Freud, era nato il 6 maggio del 1856, si laureò in medicina a 25 anni nel 1881 e l’anno seguente già si occupava di neurologia.
Il suo interesse principale si era rivolto alle paralisi derivanti da alterazioni cerebrali, al linguaggio ed alle sue forme patologiche, in parte stimolato dagli stessi maestri che aveva incontrato, durante gli studi di biologia e fisiologia, e che avevano suscitato in lui una certa ammirazione, poi incominciò anche ad interrogarsi sul motivo interiore, psicologico o di quale altra natura, avesse potuto indirizzare il suo interesse scientifico proprio sulle questioni del cervello, in particolare del pensare e del parlare.
Non si conosce molto della sua infanzia, tranne che fosse il primo di sette figli della terza moglie del padre e che su di lui erano state riposte tutte le ambizioni della famiglia al punto che l’organizzazione familiare, non avendo grandi possibilità economiche, veniva decisa in funzione dei suoi studi e del suo benessere. Pertanto, forse un po’ per il dovere di corrispondere alle premure familiari, ma fondamentalmente per la natura del suo carattere, indubbiamente maturò presto un interesse per la scienza ed in particolare per la natura dell’essere umano, che lo indussero a studiare medicina e poi neurologia. In qualità di medico neurologo ebbe modo di cominciare a vedere molte pazienti che allora si definivano isteriche. Il nome che era stato dato a questo tipo di diagnosi scaturiva dal fatto che la convinzione principale dei medici era quella, per cui i sintomi (convulsioni, paralisi, drammatizzazioni rivendicative ecc.) che si trovano ad osservare, certamente fossero collegati ad una forma di repressione sessuale alla quale si era già da molti anni cercato di dare le più diverse spiegazioni di tipo morale o sociale, ma mai si era pensato ad una forma di inibizione psicologica inconsapevole, per cui l’unico consiglio terapeutico che veniva offerto era quello di praticare intensamente la sessualità, sposandosi se la donna non lo era ancora, oppure di trovarsi un amante o addirittura di praticare la stimolazione solitaria. Poiché nessuna di queste forme di pratica era mai riuscita a migliorare la sofferenza di queste donne, Freud si propose di andare oltre e cominciò a praticare l’ipnosi che Mesmer aveva diffuso verso la fine dell’ottocento come un metodo che riusciva a curare molti disturbi di dubbia eziologia.
Questo tipo d’esperienza aprì a Freud un orizzonte immenso, avendo egli già formato una mentalità profondamente scientifica e di ricercatore, già mentre lavorava intensamente nei laboratori dell’università fino alla laurea.
L’apertura scientifica non derivava soltanto dal fatto che riusciva a far scomparire, almeno temporaneamente, i sintomi ordinando per esempio alla paziente nella fase ipnotica, cioè in assenza di coscienza, di muovere gli arti che sembravano paralizzati, e questo puntualmente accadeva anche con enorme meraviglia delle pazienti stesse, ma fatto sorprendente fu soprattutto scoprire che in assenza completa di coscienza (perché dopo le pazienti non ne avevano alcun ricordo) la persona in ipnosi parlava di sue fantasie ed emozioni mai conosciute o pensate. Questo fatto fondamentale di valore sperimentale, tanto da poterlo condividere con il suo maestro Josef Breuer, lo convinse a poter teorizzare che la mente non fosse costituita soltanto di pensieri coscienti, ma che anzi l’aspetto più importante e determinante del funzionamento mentale fosse quello inconscio che non poteva essere riconosciuto dalla coscienza perché, avendo a che fare forse con la sessualità o forse anche con aspetti aggressivi, evidentemente tutto ciò era in conflitto con la coscienza che decide il comportamento della persona. Ipotizzò che questo accadeva probabilmente a causa dei canoni morali dell’epoca che il soggetto aveva necessità di condividere per stimarsi ed essere stimato.
Questa che sembra una piccola scoperta certamente scientifica, condivisibile e ulteriormente verificabile, contemporaneamente conteneva in una forma condensata già tutti i corollari dello sviluppo futuro della psicoanalisi, rivoluzionando completamente la concezione scientifica dell’essere umano fondata soltanto sul comportamento apparente e sul pensiero cosciente.
Continuando gli studi sull’isteria con tale metodo sia Breuer che Freud scoprirono anche quel fenomeno che fu denominato transfert, consistente nel fatto che le pazienti, comunicando al medico inconsapevolmente i pensieri e le fantasie che erano proibite alla loro coscienza, come se si fossero offerte al medico con le parti più intime di se stesse, al risveglio e dopo un certo numero di sedute si sentivano innamorate del medico. Per la verità Breuer non comprese il fenomeno psichico e fuggì lasciando la paziente, la famosa Anna O., Freud invece comprese che il fenomeno riguardava lo spostamento di un vissuto infantile sulla persona del medico e da ciò derivò un notevole sviluppo teorico della sua teoria psicologica, contemporaneamente ad una modifica del metodo. Gli sembrò che non fosse etico far accadere un fenomeno psicologico del genere completamente all’insaputa della paziente e poiché intuì che il fenomeno poteva accadere soltanto mitigando la censura della coscienza, pensò che forse lasciando il paziente sul lettino, come già faceva per determinare l’ipnosi, e ponendosi alle sue spalle in modo che la presenza del medico non fosse visibile invitava il paziente ad abbandonarsi al libero pensare senza censurare anche le idee più strane e banali. Questo metodo funzionò, anche se allungò molto i tempi di qualche possibile rivelazione di idee nascoste, però ebbe il vantaggio scientifico che i pazienti spontaneamente incominciarono a raccontare i sogni che avevano fatto la notte precedente.
La genialità di Freud valorizzò subito questo fenomeno, anche perché dovette subito pensare che si trattasse di un fenomeno naturale che scaturisce quando la coscienza viene addormentata dal sonno e che quindi il sogno dovesse contenere immagini e pensieri dell’inconscio.
Così incominciò a lavorare sui suoi stessi sogni, facendo libere associazioni su ogni punto del racconto onirico ed avendo il coraggio di prenderle in considerazione anche quando le associazioni e le relative interpretazioni che riusciva a darne portavano ad un’idea spiacevole di se stesso. Questa è stata poi considerata, da Freud stesso, la sua autoanalisi personale, che poiché, per la sua esperienza con i pazienti, l’analisi ha bisogno di una coscienza testimone che non sia giudice censurante delle eventuali rivelazioni, altrimenti la propria coscienza può censurarle di nuovo, se ne trovò lui stesso una nel collega Fliess (un otorinolaringoiatra) a cui raccontava per lettera i sogni, le elaborazioni che ne faceva e le conseguenti ipotesi teoriche che riusciva a formulare attraverso tale esperienza.
Fu un periodo d’intensa ricerca che si concluse con la pubblicazione del libro L’interpretazione dei sogni (alla fine del 1889), che rappresentò il suo primo tentativo di sistematizzazione della nuova disciplina chiamata Psicoanalisi.
I punti fondamentali di tale sistema teorico sono: a) che la mente è formata da processi inconsci e processi consci; b) che i contenuti dell’inconscio premono per giungere alla coscienza, ma se non sono graditi vengono rimossi dalla coscienza ma il conflitto continua e produce disagio e fatica di vivere; c) che è possibile curare questo disagio con l’ausilio di uno psicoanalista – che, per tradizione ma anche per l’efficacia che si determina, chiede al paziente di stendersi sul lettino e di dire tutto quello che gli viene in mente – il quale deve aver fatto prima un’analisi personale sia per rendersi conto che ogni pensiero cosciente deve fare i conti con i contenuti emotivi dell’inconscio, sia per poter attenuare la tendenza a giudicare di ogni essere umano, di gradi diversi a seconda dell’epoca in cui si vive; d) poi, senza giudicare, fa il testimone delle libere associazioni del paziente e quando queste giungono ad un punto che tende a chiarire le dinamiche del sentire, degli affetti e dei comportamenti prova a farne una ricostruzione insieme al paziente.
In tal modo, lentamente il paziente stesso scopre aspetti che prima non poteva prendere in considerazione, ma ora, dopo l’esperienza di una relazione con una persona non giudicante, tende anche lui ad essere più indulgente con se stesso.
Questi sono i principi fondamentali dai quali sono poi scaturite le evoluzioni ed i progressi teorici per diverse forme di patologia e caratteri personali. Nella tradizione pratica c’è anche l’abitudine di raccomandare al nuovo analista di premunirsi nella capacità di dominare il transfert che oggi sappiamo che si forma sia da parte del paziente che dell’analista. Dominarlo nel senso di riuscire solo a pensarlo eventualmente parlarne per analizzare quello del paziente quando è necessario, ma mai provare ad agire una tale tentazione, perché sarebbe come abusare di una persona piccola e fragile, in quanto sia da Freud che dalla maggior parte degli psicoanalisti di tutto il mondo viene ritenuto che quello che un paziente porta in analisi è essenzialmente un’infanzia che non è stata riconosciuta. Infatti si pensa anche che, quando il paziente o la paziente manifesta il suo transfert in una forma di forte passione adulta, questa deve considerarsi un’estrema difesa dall’avvicinare un’infanzia ritenuta orribile.
Tranne la teoria del transfert, tutte le considerazioni fatte prima sono state ampiamente confermate dalle neuroscienze attraverso le prove date dalle nuove tecniche di neuroimaging, compreso il fatto che l’esperienza profonda di una relazione analitica, simbolica e non agìta, riesce a modificare gli schemi di neuro connessioni cerebrali, così come avviene alla nascita, quando il 60% del cervello si costruisce nella relazione con la madre eppure devono comprendersi nonostante che non sia ancora formato il linguaggio, che si costruisce appunto usando questo rapporto di amore e di odio in diverse composizioni.
All’inizio ho detto “può sembrare un paradosso” perché ancora ora si fa difficoltà ad ammettere che ci possa essere una funzione della mente, che è anche causa di effetti importanti, con la qualità di essere un inconscio inconoscibile, e per di più scoperto da uno scienziato che faceva ricerca sperimentale all’università. Oggi però le neuroscienze hanno fatto progressi notevoli ed oltre a confermare molte delle ipotesi di Freud hanno anche ridimensionato il valore di certezza e di oggettività della coscienza.
Oggi la ricerca psicoanalitica e delle altre scienze della mente hanno ancora davanti a sé il problema del pensiero, della sua continua trasformazione e della verità, oggettiva o soggettiva che sia; essa si ipotizza sempre, ci convince anche, ma non si raggiunge mai definitivamente.