Alessandra Ginzburg propone lo scritto che Stefano Levi della Torre, pittore e biblista, nipote di Carlo Levi, ha dedicato al giorno della memoria.
immagine: C. BOLTANSKI particolare
di
Stefano Levi Della Torre
“Questa è una tragica lezione della storia: i discendenti di un popolo perseguitato per secoli dall’Occidente, cristiano e poi razzista, possono diventare al tempo stesso i persecutori e il bastione avanzato dell’Occidente nel mondo arabo.”
Edgar Morin. (“La resistenza dello spirito”, La Stampa, 24 gennaio 2024)
” Le vittime che si fanno carnefici”? Fino a ieri, ho sempre obiettato a questa formula accusatoria, per l’incommensurabile sproporzione tra gli atti subiti dagli ebrei come vittime fino alla Shoà, e gli atti compiuti da ebrei come persecutori o carnefici. Ma ora questi due termini, vittime e carnefici, si confrontano in modo ravvicinato: il 7 ottobre 2023 ebrei, e Israele nel suo insieme, sono stati vittime della terribile aggressione, strage, stupro, rapimento di massa di Jihad e Hamas, ma in sequenza immediata degli ebrei e Israele, perché vittime, sono diventati carnefici, e da settimane stanno devastando e facendo strage indiscriminata nella Striscia di Gaza, con 25000 morti finora e un numero imprecisato di feriti e mutilati. Il fatto che le vittime si sono fatti carnefici è evidente. E’ contestabile?
Sullo sfondo di questa parabola compiuta, che le parole di Edgar Morin descrivono in breve, si svolge la Giornata della Memoria del 2024.
1– Sulla memoria della Shoà, si sono contrapposte in questi anni due tesi. Secondo la prima, la Shoà è paradigma di ogni strage programmata e genocidio in quanto riassume tutte le modalità che in altre persecuzioni compaiono in parte, e che la memoria della Shoà vale non solo per se stessa, ma anche a focalizzare l’attenzione su ogni altra “crudeltà di massa” del passato e del presente al fine di mobilitare le coscienze e l’azione perché fatti simili non si ripetano né per gli Ebrei né per altri. A questa impostazione si contrappone la tesi secondo cui lo sterminio degli Ebrei è un fatto estremo, tale che ogni commistione con persecuzioni, massacri e genocidi inflitti ad altri e in altre situazioni riduce la percezione della sua unicità e della sua portata, e ciò favorirebbe chi ha l’interesse a render marginale la Shoà nella storia, fino a negare la quantità e l’identità delle vittime, le intenzioni e la modalità dello sterminio, o il fatto stesso che sia avvenuto.
In questo scritto io argomento a favore della prima tesi, e concludo col sostenere che la seconda tesi finisce per degradare la memoria delle vittime di Auschwitz riducendola a strumento e giustificazione di una politica nazionalistica.
Per chiarire i termini della controversia, parto da una domanda e da quelle che ne conseguono: quale funzione attribuiamo alla memoria della Shoà? La Shoà è un fatto storico che dobbiamo difendere dalle falsificazioni semplicemente in nome della verità oppure dobbiamo anche trarne qualche insegnamento per il nostro agire? Perché, dunque, fare memoria della Shoà? La risposta è diventata giustamente rituale: perché nulla di simile si ripeta. Perché non si ripeta per gli Ebrei, o perché nulla di simile si ripeta, né per gli Ebrei né per nessuno? E se la Shoà, l’annientamento totale riservato agli Ebrei è un estremo a cui nessun altro evento è equiparabile, ciò esclude forse che altre atrocità di massa siano con essa confrontabili? E confrontabili per mobilitare le coscienze e l’azione a prevenirli, o a contrastarli se in atto, o a punirli se già compiuti.
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