Come il rovesciamento della filosofia di Cartesio (e del patriarcato) passa nella cultura pop…
C’è una scena memorabile ne Il diavolo veste Prada: la direttrice di Vogue, Meryl Streep, spiega alla “dura e pura” stagista Anne Hathaway che non può illudersi di essere “estranea alla moda”. Proprio perché crede di “ignorarla”. La Streep guarda il maglioncino lilla che la giovane indossa: “Tu pensi di non dipendere da quello che va di moda”. E poi con due passaggi micidiali la direttrice dimostra a quella stessa ragazzetta come, proprio quel colore lilla che pensa di aver preso per inclinazione personale, sia stato scelto tempo prima dall’avanguardia dell’Alta moda per poi finire sul bancone del supermarket dove lo ha comprato.
La moda è solo un esempio. E’ la trasmissione di una certa produzione desiderante a funzionare così. Che sia veicolata da oggetti materiali come un maglioncino, da sintomi come nell’isteria, o da idee come nei modelli culturali, la produzione si diffonde e poi si registra a nostra insaputa. E a prescindere. Parte da alcuni visionari, “pazienti zero”, pionieri di un’esperienza, esploratori di modalità inedite e si espande connettendosi ai diversi settori. Questo è accelerato dal fatto che il mondo in cui viviamo connette e produce secondo velocità e intensità proprie del capitalismo post-industriale globalizzato. Succede la stessa cosa con il pensiero e con le concezioni del mondo. Alcune svolte segnano nuovi paradigmi. Nella psicoanalisi e nella filosofia, come nella matematica, nella scienza come nella semiotica e nell’architettura... Ma, sorpresa, queste nuove concezioni del mondo, queste diverse ontologie, dopo alcuni anni le ritroviamo per le strade e nei quartieri, cantate dalle canzoni rap, vendute nei supermercati e raccontate dalle serie tv. Come se il mercato dell’industria culturale “pop” diffondesse idee che ci immergono dentro una certa forma di mondo, una certa metafisica dell’epoca. Senza neppure che ce ne accorgiamo.
“Kaos” la serie Netflix che sta spopolando tra i ragazzini delle medie è uno di questi esempi. A guardarla distrattamente sembra solo una rivisitazione in salsa contemporanea dei miti greci. Una specie di nuova Pollon, cartone animato iconico per chi è cresciuto negli anni Ottanta. Zeus vive in una villa hollywoodiana su Mount Olympus, Minosse è il Presidente di Creta, Ade un burocrate, Orfeo un cantante ed Euridice solo una moglie che ha deciso di “lasciarlo”. Eppure dei ed eroi epici ci sono tutti con le loro storie di stupri, amori, capricci e gelosie… E invece no. C’è molto di più.
Infatti, agli adolescenti che se lo rimpallano sui social e che continueranno ad esserne beatamente ignari, Kaos mostra – inocula - il rovesciamento della metafisica occidentale, quando il caos complesso del divenire dionisiaco sostituisce l’ordine apollineo dell’essere. Come se Nietzsche, Freud, Marx, Deleuze e Guattari e tutte le teoriche e i teorici della post-modernità fossero quel colore lilla scelto da Meryl Streep che adesso i ragazzini indossano senza nemmeno accorgersene. La produzione di psiche ai tempi di Netflix.
Al cuore della vicenda, piena di sesso, violenza, conflitti, potere, vulnerabilità narcisistiche e tutte le passioni che hanno da sempre disturbato la tranquillità del cosmo senza però mai davvero decostruirlo, c’è infatti una profezia: avverrà una catena di eventi che minacciano di sovvertire il “cosmo”, cioè il mondo così come è sempre stato ordinato: “Una linea compare, l’Ordine si azzera, la Famiglia cade e il Kaos impera”, dice la profezia. Sul Mount Olympus, la forma che troneggia a emblema e monumento dell’organizzazione è il cerchio di Zeus. Essendo un Bignami da somministrare per la via ipodermica di una piattaforma digitale, non ci si scandalizzi se questo cerchio, che allude al logos come figura della pensabilità del mondo, altro non è che un flusso d’acqua (una fontana magica) che scorre ad anello. In modo a volte quasi didascalico la serie mostra che cosmo e logos mantengono un certo assetto gerarchico nell’organizzazione delle cose. Se appare una linea, così recita la profezia, che è poi la ruga sulla fronte di Zeus, significa che un dio può invecchiare e forse anche il mondo delle rappresentazioni immutabili si può dinamizzare. Significa che il cerchio può spezzarsi e che anche una dea “femminile” come Era può sovvertire il primato di Zeus. O che un dio-figlio come Dioniso può provocare cambiamenti catastrofici. E ancora: i fratelli Ade e Poseidone, possono rivendicare le loro sfere di influenza rendendo gli equilibri instabili.
Tutto cambia, appunto, quando li cerchio presenta un’anomalia, una varianza. Il cerchio non è più un cerchio, si apre e a tratti diviene qualcosa che non ha una forma pre-definita. La mutazione, il flusso e i processi sostituiscono l’eterno ritorno, le ripetizioni e la struttura? E’ la minaccia al crollo del patriarcato a introdurre queste nuove metafisiche? Nel gesto di tracciare un cerchio che distingue il dentro dal fuori, che delimita i contorni delle cose e delle loro rappresentazioni, c’è il principale ingrediente che sulle spalle della metafisica di Aristotele, Platone e Cartesio ha consentito all’Uomo, come categoria che prende il maschio occidentale bianco come universale, di dominare il mondo: le idee danno ordine… ma sembra che oggi non tengano più.