"Arte, psicoanalisi e divenire psichico: l’opera viva è sempre incompiuta perché produce costantemente semiosi e affetti" di C. Buoncristiani e T. Romani
È molto più di un’immagine, di una cosa ricordata.
È quella stessa cosa che ci sta davanti, un corpo amato,
un’opera d’arte, un gioco di nuvole nel cielo…
irriducibile, incommensurabile
Emanuele Trevi – Favole e sogni
Ci si può anche sentire spiaggia,
con la sua terra che non è già più terra.
La sua anima, che non è ancora tutt’anima
Alda Merini
Che cos’è l’incompiuto? Come parla alla psicoanalisi? E la psicoanalisi come vi si confronta?
Fosse stata un sogno, la giornata romana del 25 febbraio (giornata Intercentri CPR e CPdR) avrebbe avuto come contenuto manifesto una serie di riflessioni a partire dal disegno di Leonardo. Quadro non-finito sul quale prima Freud e poi André Green hanno riflettuto, fornendo interpretazioni sul senso inconscio e polisemico che l’artista potrebbe aver lasciato impresso nelle forme. Un’estrazione di significato che va al di là della complessa combinatoria edipica e pre-edipica. Come ha osservato Claudio Strinati, nel suo intervento, L’incompiuto leonardesco e il non finito michelangiolesco. Finire e definire nelle arti figurative, c’è una duplicità nel saggio di Green, tutta giocata sulla compiutezza/incompiutezza dell’interpretazione di Freud. Da una parte in Green si riscontra l’entusiastico sviluppo della tesi freudiana, dall’altra c’è la notazione che in Freud ci fosse una sorta di incompiutezza, proprio rispetto all’aver “ignorato” il Cartone della Vergine e Sant’Anna della National Gallery, cioè un disegno… Disegno che però nel Rinascimento è “sovraordinato” e “superiore” rispetto alle altre arti figurative, compresa la scultura michelangiolesca. Disegno quindi come “progettualità e intelletto che guidano l’intuizione verso l’espressione artistica”?
Un primo movimento è introdotto da Lorena Preta. Leonardo sembra interessato alla raffigurabilità, a trovare un modo per comporre le forme, non a esprimere qualcosa che gli preme, piuttosto quello che lo spinge è trovare il “modo per comporre immagini”. Stiamo cioè parlando di un lavoro psichico, di un pensiero creativo che è per sua natura un divenire che è strutturalmente incompiuto: un’inesauribile opera/operazione produttiva.
Non a caso per Valery, l’opera per l’autore non sarebbe mai compiuta, se non intervenisse un obbligo di fermarsi a un certo punto…L’allusione è a correnti e flussi che non tendono ad alcuna forma finita, organizzata. Ma dai quali emergono “frammenti che sono resti di futuro (…) di un’opera allo stato vivente”. Perché l’opera - come quelli che chiamiamo processi di soggettivazione – non lo è compiuta. “Né solidificata o separata dalle sue possibilità e dalle sue opportunità di trasformazione. Se non da un intervento esterno”.
Osserva ancora Preta: “C’è un Freud che scrive dell’Incompiuto di Leonardo per decifrare i moti inconsci che portano all’espressione artistica e che in quanto “rimossi” o negati finiscono in un incompiuto”. Ma c’è anche un altro Freud che si interessa di creatività psichica come processo. Questo Freud si appella alle negoziazioni tra Preconscio e Inconscio. Un essere tra che per Winnicott è l’area transizionale tra interno ed esterno e che per Anzieu somiglia “al lavoro semiosico compiuto dalla coppia analista-paziente”, presi nel gioco di dare corpo ed espressione (attraverso parole, suoni, immagini plastiche) a una pienezza che fino a quel momento restava inutilizzata.
Inutilizzato che mette al lavoro la psiche in una dimensione trans. Potremmo anche dire, per introdurre l’intervento successivo della mattinata “Messa in forma”, quello del pittore, scultore e scenografo Gianni Dessì, Incompiuto dal cui vertice l’opera viva non smette di esprimere la relazione tra un fluire su un piano di immanenza e un dare espressione al senso in un continuo processo di semiosi: aspetti simmetrici e asimmetrici della mente.
Dessì comincia ricordando che l’Incompiuto è considerato scomodo, “perché lo si intende come l’effetto di qualcosa che viene a turbare un disegno. Ne abbiamo un’idea tragica come ciò che interrompe la trama umana. La Parca che interrompe il filo umano con la morte”.
Il disegno sempre alterato dal movimento nell’Incompiuto è il profilo che contorna le cose, ciò che le “organizza” e le struttura, che vede l’uomo impegnato nel tentativo di costruire una riappropriazione soggettiva. Sul piano filosofico è l’opposizione tra immanenza e trascendenza. Sul piano psicoanalitico - questo forse il messaggio enigmatico dell’arte alla psicoanalisi - è l’eterna oscillazione tra la necessità di con-fondere e quella di differenziare, costruire e decostruire. Riprendendo Merleau-Ponty, più volte evocato, a generare l’incompiutezza è l’origine comune e indissolubile dello sguardo e della cosa che “mi attenziona”.
Quello che la storia dell’arte può svelare alla psicoanalisi, sembra dirci Dessì, è la sua epistemologia latente: “perché con lo sfumato Leonardo imprime movimento. È l’ingresso dell’affetto e della cosa nell’opera. Un vuoto che dà accesso”. Un frammento di futuro che è tutto fuorché incompiuto nell’accezione di mancante, “perché introduce a una pienezza. Quello che nel Seicento e poi sempre di più, fino all’Impressionismo e al Cubismo, diventa la centralità della percezione come con-fusione erotica di figure”. Cambia la relazione con il Fuori e con le cornici che sono rivelati come parte di un’unica sostanza. “Qui non contano i contorni ma le relazioni e i flussi tra le forme”, dice Dessì. “Oggi l’opera si decostruisce nella performance. Oppure diventa, come forse capita a me, un tentativo di mettere in relazione tutta la complessità del reale che mi circonda e in cui sono immerso”.
Complessità al centro del discorso di Fabio Castriota, che ha cominciato citando Blondel: verso una logica della vita morale come logica del disordine, che eviti di eliminare le antitesi e valorizzi la figura di Antigone, il cui amore “è perturbante perché mostra che l’incompiutezza è ontologica in quanto le leggi della pòlis non bastano a dare senso alla mortalità dell’uomo se non entrano in una dialettica, sempre incompiuta, con il legame originario”.
Incompiuto e bellezza sono dunque legati da una relazione che potremmo definire “musicale”. Nella misura in cui la musica, come l’esperienza estetica, evidenziano una vibrazione che co-costruisce oggetto e oggetto nel punto in cui sono con-fusi c’è una relazione di armonia. Armonia che accade quando c’è un doppio movimento: serve aggregazione e risonanza tra elementi, ma all’opposto sono indispensabili la divergenza e molteplici variazioni che decostruiscano la perfezione e la compiutezza di quello che altrimenti si ridurrebbe a un algoritmo formale.
Per dirla con Rilke, “la bellezza non è altro che l’inizio dello spaventoso che siamo a malapena in grado di sopportare”.
A mettere insieme esperienza estetica ed esperienza clinica è Stefania Salvadori, che parla anche delle proprie “reazioni” al cartone di Leonardo, anche in relazione all’esperienza perturbante descritta da Green nel suo lavoro. Green, osserva Salvadori, descrive se stesso di fronte al vortice formato dalla visione dell’opera come un soggetto pressato da un’impossibile tensione verso la ricerca di significati plurimi fino a raggiungere uno stato prima di “ebbrezza” e poi di “sollievo” quando raggiunge l’interpretazione di Freud sulla teoria del bambino circa il pene della madre. Qui Salvadori fornisce una chiave di lettura dell’esperienza estetica come di uno “choc” talmente potente da attivare un senso di passivizzazione, uno “stupore per la bellezza che diventa confondente” e dal quale ci si può “difendere cercando di circoscrivere in una forma comprensibile la potenza dell’incontro psichico con l’Incompiuto”.
Salvadori, racconta della propria meraviglia di fronte a un cartone che in qualche modo rende viva e presente la complessità del lavoro di ricerca e di scavo compiuto dall’artista per dare forma a esperienza fuori della parola. “La riuscita estetica di questo lavoro renda guardabile tutto, anche l’orrore. Ciò che è Incompiuto ha dunque la qualità di far emergere l’essenza del processo artistico, lo sforzo di portare alla luce ciò che era assente: pulsazioni, ritmi e battito dell’anima che vengono in superficie”.
Il commento di Chianese riprende del lavoro di Green il pensiero sullo sfumato come allusione doppia al desiderio del bambino di restare nell’alveo materno ma anche di andare verso il cugino. Un piano di slittamento tra omosessualità, fantasia gemellare, gestazione, vita intrauterina, formazione del corpo e dell’anima. Ma a colpire Chianese è soprattutto una citazione che lo stesso Freud fa del filosofo Taine, su “figure che straboccano di idee e situazioni inespresse”: “Tutti noi mostriamo ancora troppo poco rispetto per la Natura, che è piena di infinite ragioni che non furono mai in esperienza. Ognuno di noi corrisponde a uno di queste ragioni che urgono all’esperienza”. È lo spunto per pensare una psicoanalisi costantemente alle prese con la difficoltà di far emergere e circoscrivere l’unicità e la singolarità e l’essenza irripetibili dell’altro.