Interviene ANDREA BALDASSARRO, psichiatra e psicoanalista con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytic Association
opera di George Condo
Alcune analisi mostrano in modo particolarmente significativo le difficoltà che si possono incontrare nella conduzione di un trattamento, per le sfide che pongono all’analista relativamente alla loro evoluzione e comprensione: gli stati-limite – in quanto al limite della stessa analizzabilità - costituiscono un esempio, se non il principale, delle condizioni di incertezza nelle quali l’analista deve muoversi, non disponendo di un apparato concettuale sufficientemente consolidato e di certezze metodologiche e tecniche alle quali far riferimento.
In queste situazioni un ruolo fondamentale sarà quello giocato dall’oggetto: se la funzione materna potrà essere sin dall’inizio sia calmante che stimolante, porterà sia cure che eccitazioni, ed esporrà infine il bambino alla discontinuità della sua presenza e delle sue attenzioni. Si potranno generare quindi emozioni, affetti, sensazioni che non sempre potranno essere legate a causa della natura insufficiente e inerme, hilflos, del bambino, e che si rinnoveranno nelle dinamiche transferali e contro-transferali del trattamento analitico. Gli stati-limite costituiscono allora - a fronte dell’incertezza e dell’instabilità dell’oggetto - un modo di organizzazione possibile per il soggetto a venire, preso tra angosce di abbandono e angosce di intrusione, come ha fatto notare André Green. Piuttosto che una condizione non ascrivibile né alla nevrosi che alla psicosi, una soluzione per non cadere né dalla parte della psicosi né da quella della melanconia, una soluzione appunto “al limite”.
Anche se resta invadente e persecutorio o irraggiungibile e idealizzato, l’oggetto resta comunque “unico e insostituibile” - è Freud a definirlo così -, quello della relazione del bambino con la madre: dunque, irrinunciabile. Ne consegue che la posizione dell’Io in queste situazioni è complicata dal fatto di non dover soltanto fronteggiare le pulsioni interne e le esigenze della realtà, ma soprattutto la funzione e il comportamento dell’oggetto. Le difese dell’Io possono così essere interpretate come tentativi di arginare gli sconfinamenti o di tollerare le assenze dell'oggetto. Meglio allora disporre un oggetto cattivo – cercato e respinto allo stesso tempo, come si evidenzia in maniera spesso drammatica nella reazione terapeutica negativa – piuttosto che rischiare di perderlo per sempre.