Una riflessione metodologica e teorica sulla questione dell’intervento integrato che rende possibile utilizzare l’impianto analitico in quadri psicopatologici estremamente complessi, a partire da una proficua relazione analitica.
Nella serata del 27 aprile si è svolto il primo incontro del ciclo “Condizioni psicopatologiche: integrazione tra terapia psicoanalitica e trattamenti farmacologici” con due relazioni del Dott. Giuseppe Bruno e del Dott. Antonio Buonanno.
La serata ha evidenziato particolarmente bene l’utilità e i benefici di una riflessione metodologica e teorica dell’approccio farmacologico favorenti la cura psicoanalitica. Gli interrogativi emersi hanno favorito riflessioni sulla questione della potenzialità che un intervento integrato possa consentire, sia esso svolto in una doppia veste dell’analista, o in vesti separare, affinché sia possibile utilizzare l’impianto analitico in quadri psicopatologici estremamente complessi.
Il primo intervento a cura del Dott. Bruno ha percorso a partire dal caso clinico un difficile recupero di memorie traumatiche. Citando direttamente il suo scritto, il Dott. Bruno sostiene: “E’ nel corso di questi stessi anni che si affacciano sulla scena psicoanalitica, in modo più prepotente che in passato, condizioni psicopatologiche che richiedono interventi più complessi per la loro intrinseca gravità quali i disturbi post-traumatici più pervasivi, là dove l’intensità dello stress post-traumatico non è necessariamente da correlare al singolo evento, ma spesso alla concatenazione di eventi legati tra loro dalla continuità del trauma stesso, gli stati limite, le dipendenze, gli stati psicotici più estremi spesso associati ad abuso di sostanze.”
Nel caso da lui presentato emerge un delicato lavoro di ricucitura e di rilancio di nuove possibilità della pensabilità. A partire da una proficua relazione analitica, l’apertura a nuovi aspetti transferali consentono attraverso un percorso di diminuzione farmacologica, la messa in gioco del paziente di recuperi di memorie traumatiche. Emergono dunque dimensioni fino ad allora indicibili, che nel qui ed ora, possono finalmente trovare luce e parole. Il lavoro di integrazione farmacologica sostiene questo recupero di storie dissociate e parallelamente consente la costruzione di nuovi aspetti di sé che permettono di percorrere i bordi del trauma senza ricadere nel vuoto da essi provocati.
Nella seconda relazione, a partire da una evocante citazione di Pirandello presa dalla “La carriola” <<Io non avevo mai vissuto; non ero mai stato nella vita; in una vita, intendo, che potessi riconoscer mia, da me voluta e sentita come mia>>, il Dott. Buonanno affronta la questione delle dimensioni psicotiche. Quanto la coniugazione dell’intervento farmacologico, consenta la percorribilità di un avvio all’analisi o della prosecuzione della stessa. La terapia farmacologia diventa quindi una opportunità che consenta di accogliere il momento di crisi come una dimensione trasformativa. Citando le sue parole scrive: “Nella potenzialità psicotica, sostenuta da un’esperienza traumatica riattualizzata dall’interno, con modalità compulsive che tentano d’invertire le condizioni del ritorno (organizzando così coattivamente quel che si teme di subire passivamente), o, in altre situazioni, da “un disturbo identitario della riflessività” (R. Roussillon, art. cit.) che colpisce la simbolizzazione, la sfida del clinico non può essere quella di operare scelte riduzionistiche che irrigidiscano i confini, ma rendere transizionale lo spazio occupato dalla coazione a ripetere e dalla distruttività, favorendo la simbolizzazione secondaria. L’obbiettivo è permettere l’attraversamento delle frontiere identitarie e “facilitare, nei singoli e nei gruppi, questa disposizione fondamentalmente affettiva, che consente sintonia, tolleranza e sentimento di co-implicazione verso le aree basali dell’esperienza psichica” (Barale, 2013).
La delicatezza di entrambe le relazioni e la costante complessità rappresentata di indagare l’altro e se stessi, fa emergere con eleganza quanto la dimensione farmacologica possa di fatto essere un centro di costruzione della relazione analitica. La fiducia verso l’impianto analitico consente ad entrambi i relatori di dosare e valorizzare le loro competenze a vantaggio dell’esplorazione e della capacità dei pazienti di cogliere le fratture della vita, come rilanci di nuove costruzioni.