Cultura, cinema e arte

“Mercoledì”, l’irresistibilità della reietta - Recensione di C. Buoncristiani e T. Romani

La serie di Tim Burton che mette in scena la rivincita degli “strani”: il suo successo svela la dinamica nascosta dei rapporti di potere all’interno della cultura di massa


“Mercoledì”, l’irresistibilità della reietta -  Recensione di C. Buoncristiani e T. Romani

Lasciatevi sedurre, senza provare a resistere. Guardate “Mercoledì”, serie tv su Netflix, tifate per questa ragazzina “nera” e arrabbiata, a cui non importa di piacere, né di essere diversa e impopolare. Per “Mercoledì” l’obiettivo è rovesciare il tavolo, scardinare il sistema del potere costituito. Mercoledì, la più stramba della famiglia Addams, e sicuramente la più ribelle della famiglia più mostruosa di sempre, va a un college per “reietti” che, non a caso, si chiama Nevermore.

Anche perché chi ti tiene in un posto per bambini normali dopo che, per vendicare un atto di bullismo, hai messo dei piragna dentro la piscina dove nuota il bullo? Pallida, austera, asociale e solitaria, ma molto molto carina, la protagonista ha gusti sinistri e deliziosamente lugubri. Anche in una scuola popolata da reietti, “ragazzi speciali” per il politically correct, “mostri” detto in maniera diretta, Mercoledì tanto è diversa da non essere in grado di integrarsi in nessun gruppo. Finalmente qualcuno che se ne frega di avere un’immagine “diritta”, non dipende dai social, anzi non ha proprio il telefonino, e che fa il contrario di compiacere gli altri… una ribelle.

Siete di sicuro già appassionati, perché è così che funziona la dialettica della cultura pop. Ha successo quello che libera piacere, come nel motto di spirito. E magari così si possono dire anche cose che in un discorso esplicito sarebbero politicamente troppo radicali. L’importante è che non sia dichiarato e che i protagonisti – qui c’è il vero rimosso – siano belli e benestanti. Quello che è nuovo, deve alleviare, non far venire mal di pancia: su Netflix puoi essere cattivo, puoi essere di qualunque colore e orientamento sessuale, puoi mangiare le persone, ma non puoi essere brutto e tanto povero e disperato da non essere attraente.

Ma soprattutto quello che è costantemente assente dalla piattaforma è la politica, nel senso del conflitto e di una comunità antagonista che si organizzi. Sebbene ci sembri che qualcosa in Mercoledì sfiori appena questi territori negati. Pensiamo ad esempio al discorso, davanti al camino acceso, tra la ragazzina e l’adulta. La preside rimprovera Mercoledì di essere “un magnete per i guai”. Lei risponde che “guai” significa opporsi a trattare gli emarginati come cittadini di seconda classe per secoli. La vera storia degli emarginati che Mercoledì fa emergere proprio facendola coincidere con la giornata della solidarietà di Gerico.

Perché come lei dice con quel suo sguardo triste e profondo, chi dimentica la storia è condannato a ripeterla. La preside allora sottolinea la loro diversità. La rimprovera di vedere distruzione dove lei, reietta ma con un ruolo, vede opportunità. Mercoledì le controbatte che nulla cambia ma la pillola è semplicemente indorata da una superficiale cordialità.

Fa sorridere se per gioco ci immaginassimo questo come un meta passaggio interno alla narrazione. La giovane triste comunque proprio non ci sta. E qui la parte più forte di tutta la serie. La preside ricorda che non esiste solo il bianco e nero, ma sfumature di grigio. Gli adulti dicono sempre così ai ragazzini e chi detiene il potere gioca sempre la carta delle sfumature per disattivare il conflitto.

Ma mercoledì centra il conflitto. “O scriveranno loro la nostra storia o noi, non si possono avere entrambe le cose”. Ce n’è abbastanza per farne un manifesto politico. Che non a caso, però, tempo un'ora dalla messa in onda della serie, è stato inglobato nel frullatore di Tik Tok, ed è diventato virale. E' diventato un balletto sui social... La pillola è indorata.

Tim Burtun in questo è geniale, non tutti andranno oltre il messaggio manifesto della serie. Una ragazzina che si mette sempre di traverso e che sa solo una cosa: non vuole diventare come sua madre. Non vuole essere pensata a partire da un Edipo colonizzatore. Questa ragazzina è una macchina da guerra che dà letteralmente fuoco ai simboli della città. Un po’ come nel cartone “Galline in fuga”, in quanti sono arrivati a leggerci una critica definitiva e assoluta al patriarcato? Eppure tutti, anche senza aver letto il teorico queer Jack Halberstam e la sua “L’arte del fallimento” (ma gli autori di Mercoledì lo hanno fatto), si sentiranno liberati dalla condanna al successo. Affrancati da quegli sciami di api del ragazzino più nerd della scuola, che in maniera parallela e totalmente democratica fanno fuori un serial killer.

Mentre vi lasciate andare, cioè mentre state pensando che Mercoledì Addams sta vendicando voi e tutti i ragazzini stritolati dalla ruota del successo, avrete la sensazione di essere tornati adolescenti, ribelli.

Ma qui occorre fermarsi. Sospendere per un attimo l’immersione.

Chiedersi: che tipo di operazione sta avvenendo? Come fa un messaggio politico a diventare balletto?

Lasciatevi sedurre, si diceva, godetevi la serie di Tim Burton, ma poi date una scorsa alle classifiche. Mercoledì, la serie, è prima assoluta, dopo aver sfondato ogni record della piattaforma di streaming, compreso quello stabilito da Bridgerton di Shonda Rhymes (la showrunner di Grey’s anatomy, tanto per capirci).     

E così per Mercoledì e il suo successo, bisogna mettersi a contare e poi a pensare: dei milioni di utenti che stanno vedendo questo prodotto culturale, in quanti penseranno che qui dentro la cultura di massa e la sua egemonia sono fatta a pezzi da questa protagonista che oppone un “no” alla colonizzazione costante? In quanti vedranno in Mano, altro membro della famiglia Addams, la fedele e inseparabile incarnazione di un oggetto parziale, una singolarità pre-individuale, che consente di ipotizzare una economia libidica scandalosamente fuori dall’Edipo? E chi è il colono americano che è il vero cattivo della trama horror, se non la trasposizione del maschio cisgender oppressore di tutte le minoranze?

Si potrebbe parlare, mettendo Mercoledì sotto la luce elettrica di Logica del senso (Deleuze, 1969), di un eccesso lanciato contro l’oppressore. Quel suo modo tutto particolare che va oltre la doxa, oltre le sfumature di grigio.  È un’intensità libera, che eccede la banalità quotidiana. Una dismisura, in segno e senso, oltrepassa lo standard del senso comune. È la nozione di intensità che contiene quella di eccesso e Mercoledì è semplicemente intensa, intensamente triste.

Nei pensieri e nei corpi esiste un “di più” solitamente bloccato ed è una violenza che rende possibile il pensiero. Ecco perché lei è così violenta, l’ultimo che le ha fatto il solletico ha perso un dito. La sua intensità comprende la differenza come eccesso. Non un troppo, una differenza quantitativa. È intensità liberata dall’esercizio empirico comune e che dunque differisce dalla sensibilità comune. Lei è sempre su una differenza di intensità rispetto agli altri.

Le regole sociali dominano la superficie delle cose mentre lei in un certo senso è trascendentale e si fa udire come fosse in un’altra dimensione. E così facendo fa emergere in superficie ciò che appare come eccesso appunto. Mercoledì è come fosse “un concetto sbloccato” (José Gil). La sua lezione è che non esiste apparato senza linee di fuga, spinte verso il Fuori (Foucault, 1966)

Mercoledì ci mostra quello di cui abbiamo bisogno, ma lo disloca in un luogo che è un “mai più” e così può "entrare" e fare un successo clamoroso su una delle piattaforme mainstream. Capita che al momento contemporaneo, a nostra insaputa, una vocetta dentro ciascuno di noi lo sappia: adolescente o no, siamo tutti troppo schiavi della compiacenza, dei like, e dei social che premiano e premono sulla conformità: Mercoledì è diversa! Siamo tutti un po’ Mercoledì finché questa proiezione nel negativo ci può servire a scardinare un po’ delle categorie in cui siamo ingabbiati e da cui, anziché liberarci, preferiamo distanziarci con una serie. Meglio questa che una serie su come diventare influencer, penseranno le mamme…

Perciò ecco il successo, ecco come questa serie, apparentemente su “ciò che è controcorrente”, diventa il primo titolo nel catalogo Netflix, cioè nella Biblioteca Alessandrina di questa nostra società fluida. Il punto è che la cultura maggioritaria deve andare in periferia per cogliere le novità e iniettare di vitalità un centro che rischia sempre più di implodere.

La popolarità di questa serie ci dice qualcosa sul funzionamento della "finanza pulsionale" che alimenta la versione globalizzata del capitalismo. Forse l’unico limite di questa ragazzina è di essere deliziosa e di non sapere che “la produzione sociale è unicamente la produzione desiderante stessa in condizioni determinate” (L’Anti-Edipo p.31). Perché così funziona il capitalismo, che ha bisogno delle reiette controcorrente per linearizzarle, introducendo la mancanza nel desiderio e Io saldandolo alla legge. Fa divenire Mercoledì qualcosa che ci manca e che desideriamo, in un certo senso disattivandone l’altra logica in grado di darsi i mezzi per liberarsi da sola dai fantasmi dell’ordine dominante. Insomma non c’è Mercoledì che non proceda di pari passo con una traduzione e ricodificazione locale, per riformare zone di rappresentazione.

Così come è vero che non si può valutare la forza di Mercoledì se non a partire proprio dai tipi di ritraduzione che la rappresentano. E dunque tutto questo riprodurre in modo seriale il suo balletto dà la misura di quanto sia potenzialmente ostinata la posizione ribelle della ragazzina. Insomma il balletto è il rovescio necessario per disattivare Mercoledì, e da questo possiamo misurare quanto Mercoledì non sia coglibile mai in se stessa.

D’altro canto queste linee di fuga rappresentano l’essenza stessa del capitalismo, secondo la lezione di Deleuze e Guattari, che non può non produrle in continuazione, come fosse una sua propria tendenza ad un limite esterno. Come però è pur vero che tale limite è costantemente ritradotto e ricodificato in rappresentazioni soggettive che ne disattivano il potenziale dirompente.

L’ennesima vittoria del mainstream sul discorso della marginalità? Un po’ sì e un po’ no. La chiave qui ce la danno i titoli delle singole puntate, cioè le chiavi sono sempre ai bordi del testo, nel paratesto. E cosa ci dicono i titoli delle puntate?

L’unica parola che ricorre sempre è “triste”, traduzione italiana dall’inglese “Woe”.

Woe è qualcosa di più di triste, è qualcosa che ha a che fare con la catastrofe naturale, non è solo uno stato d’animo, è più che altro un evento che può scatenare e liberare una intensa negatività che prima era rimossa o dissociata. “Woe” è il bisogno di cambiamento catastrofico che se non avviene a livello psichico rischia di avvenire nella realtà esterna: è un po’ quello che è stato il Covid e che sintomaticamente subito dopo è ancora la guerra in Ucraina.

Mercoledì è sempre triste, e la sua presenza porta sempre al “Woe”. Dunque, come un Evento che rappresenta se stesso, un segno che non indica ma “fa”, produce e agisce un cambiamento e come tale introduce il proprio codice di trasformazione.



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