Il docufilm di Nicolò Bassetti che introduce il convegno “Sessualità in transito” ci interroga sul senso profondo di ogni transizione.
“If a body meet a body
Comin' thro' the rye,
If a body kiss a body,
Need a body cry?
(…)”
Comin' Thro' the Rye
Robert Burns
Recensione di Filippo Maria Moscati
È una questione di sguardi. Del nostro, di quello degli altri. Come dice uno dei protagonisti del docufilm “Nel mio Nome”, nel secondo episodio del suo podcast: “Le occhiate, a volte fugaci, sempre abrasive, finiscono per alterare, per plasmare il comportamento delle giovani persone trans.”
Verrebbe da aggiungere: questo è vero per ogni persona anche se, naturalmente, se si è cisgender la questione sarà molto diversa. Come guardiamo il mondo e noi stessi? Attraverso lo sguardo di chi ci guardiamo? Ci è mai capitato di sentirci alienati da quello sguardo, impossibilitati a vedere la “nostra verità”? È possibile liberarsene? A quale costo? Quanto dolore, ma anche, quanto sollievo, può generare questo processo?
Queste sono solo alcune delle domande che sorgono dalla visione di questo film documentario di Nicolò Bassetti, presentato alla 72° edizione del festival di Berlino. Le sue immagini hanno colpito così tanto Elliot Page, famoso attore e attivista transgender (anche il suo personaggio della serie “The Umbrella Accademy” lo ha seguito nella transizione da una stagione all’altra) che ha deciso di diventarne Executive Producer.
Si trascorrono 90 minuti dentro tre anni di vita di Nico, che ha 33 anni, Leo 30, Andrea 25 e Raff 23. Età, lavori, relazioni e desideri diversi, che fanno risaltare le similitudini nel loro percorso di transizione di genere, dal femminile al maschile.
Bassetti, già ideatore del bellissimo e premiatissimo documentario Sacro Gra, qui è anche regista. Assume il suo ruolo con una scelta ben precisa: l’invisibilità. Lo spazio è tutto dei protagonisti, delle loro riflessioni mai espresse in macchina da presa. Ne veniamo a parte attraverso i dialoghi quotidiani tra di loro e con le persone della loro vita.
Ci si sente come degli accompagnatori, un po' voyeur. Queste vite sono tanto interessanti da generare un impasto di timore (per la scelta radicale) e fascino (per lo stesso motivo), che rischia di scivolare in una curiosità morbosa. Per fortuna c’è Bassetti che ci accompagna. Difatti il regista è anche padre di un figlio che ha fatto lo stesso percorso di transizione. Questo dona alla sua invisibilità le sfumature di uno sguardo delicato ed intimo, quello di un padre che si è trasformato insieme a colui che oggi è suo figlio. Forse per questo lascia loro la possibilità di raccontarsi come e quanto vogliono, rimanendo a protezione, un passo indietro. Emergono così il coraggio, l’orgoglio, le fatiche, l’umorismo e le gioie di quattro uomini, per cui il corpo è stato più un luogo dove si è vissuto che una scontata appartenenza. C’è chi è più battagliero, chi cerca con pacatezza un modo per usare la sua creatività, chi effettua la sua transizione in coppia.
In questa narrazione non guidata (e a volte un po' didascalica) colpisce come ci sia poco spazio per il rapporto diretto con le famiglie d’origine e la loro posizione in questi cambiamenti. Nicola mostra comunque come ci sia sempre una famiglia interna, dato che si è permesso la transizione solo dopo aver fatto tutto quello che andava fatto. Ma è l’ascolto del podcast (un’integrazione arricchente) che aiuta a comprendere il desiderio di lasciare da parte ciò che era, quando i loro nomi erano quelli assegnati e non quelli scelti (nell’ambiente transgender il “vecchio nome” è spesso chiamato il “dead name”).
Come in ogni adolescenza, è il gruppo in cui si sono sentiti visti per la prima volta per davvero, la cosa più importante. La curiosità sul pregresso, pertanto, è qualcosa che può essere vissuta come violenta. Leonardo precisa: “non sei autorizzato a chiedermi il nome (precedente n.d.r.). Tieni a posto la tua curiosità.”
Difficile, per chi ha fatto della ricerca di senso, un lavoro e una passione quotidiana; per chi rimane colpito dalla trasformazione psico-fisica a cui si assiste. Mi domando se sia uno scivolare nella morbosità o il tentativo di comprendere qualcosa che ci convoca in ogni nostro aspetto. Che ci chiede di essere consapevoli della posizione da cui osserviamo, per metterla in discussione. Nel mio caso: uomo, bianco, cis, eterosessuale, a cui si aggiunge la formazione psicoanalitica che ha fatto della differenza dei sessi una delle basi (se non la base) della sua impalcatura teorica.
La questione è molto delicata. Il dibattito tra diverse posizioni è aperto. Verrebbe naturale prendere in considerazione diversi autori e porli “da un lato” e “dall’altro”. Nel farlo mi rendo conto di come questo sia un pensiero binario, che pone le cose in contrapposizione.
Pertanto, preferisco parlare di un arcipelago di punti di vista, di cui evidenzierò due isole.
Una è quella di Paul B. Preciado (Preciado, 2021) che con la sua competenza teorica e il fervore che lo caratterizza prova da tempo a picconare i costrutti psicoanalitici. L’autore ha definito la psicoanalisi e la psicologia come costrutti epistemologici al servizio del regime della differenza sessuale, del genere binario ed eterosessuale. Per cui qualunque tipo di sessualità non eterosessuale, qualunque processo di transizione di genere o identificazione di genere non binaria, innescherebbe una proliferazione di diagnosi.
Un'altra isola è quella di Alessandra Lemma, che con il suo“Transgender Identities: A Contemporary Introduction” cerca di dare nuove letture psicoanalitiche ad un’esperienza umana che non si può più categorizzare con i costrutti a cui siamo abituati. La psicoanalista riprende la frase di Freud: “E’ una delle più palesi ingiustizie sociali che il modello di vita civile esiga da tutte le persone un’identica condotta sessuale (…)” (Freud, 1908), aggiungendo “lo stesso si può dire riguardo al genere” (Lemma, 2021). Ogni esperienza può acquisire senso solo nel suo contesto. Ed è da questo che dobbiamo ripartire. Per questo nell’arcipelago inserirei anche questo documentario. Con le sue immagini ci disarma perché va dritto al nostro sentire, ponendoci davanti delle persone che cercano con ogni mezzo la loro strada. Viviamo insieme a loro come la scelta del proprio nome sia il tentativo di liberarsi dagli sguardi alienanti. Per dar luce a ciò che sembra essere rimasto sempre in ombra.
“Nel mio Nome” continua a generare domande nello spettatore: Che esito avrà il trasferimento di Leonardo, fatto per seppellire la persona che aveva il dead name, per vivere come se fosse nato uomo? È veramente possibile (e giusto) farlo? Cosa ha provato la moglie di Niccolò, che si era innamorata di una donna, e oggi condivide la sua vita con un uomo?
Una complessità e una varietà di esperienze che possono stordire. Quando però vediamo Niccolò e Andrea attraverso il loro sguardo, mentre fanno il bagno sotto una cascata, felici e giocosi, ci si sente
pacificati: i dubbi si acquietano e per un momento sembra che la sofferenza abbia un senso.
L’importante era arrivare li, in quel luogo, in quel corpo.
Per chi vuole continuare a farsi domande, a parte il podcast “Nel Mio Nome” consiglio il ciclo di interviste “Vite Divergenti” visibile gratuitamente su Discovery +, Il podcast “Corpi Liberi” che da voce ad una madre con una figlia non binaria e il volume “Questioni di un certo genere” edito da Iperborea per Il Post.
Freud, S. (1908). "La morale sessuale “civile” e il nervosismo moderno". Torino, Bollati Boringhieri.
Lemma, A. (2021). "Transgender Identities: A Contemporary Introduction”. Londra, Routledge Introductions to Contemporary Psychoanalysis.
Preciado, P.B., (2021). "Sono un mostro che vi parla". Roma: Fandango Libri.
Nel mio nome, 4 novembre - via Panama, 48 - ore 21:30