Determinata e tenace, ma gentile e mai dispotica. Questa, Francesca Piperno, sinteticamente.
Per me, la persona che in più circostanze ha vinto la mia riluttanza a fare passi decisivi di appartenenza alla SPI. Il primo, la mia resistenza ad associarmi, la sua determinazione a lavorare in parallelo fino al compimento della formazione. L’abbiamo fatto. Il secondo, la determinazione con cui mi ha convinta ad accettare la Presidenza del CPdR, sofferta e controversa, attraversata insieme. Francesca era unica nel sopportare la caratterialità dell’altro, se lo amava. Forse, anche se non lo amava.
Eravamo diverse, molto, due orientamenti teorici quasi divergenti, cosa che non ha mai intaccato l’apprezzamento vicendevole per la passione che abbiamo messo nelle imprese.
Il riconoscimento, nella clinica. Tra i miei più significativi casi, quelli inviatimi da lei, soprattutto mentre lavorava alla Neuro. “Questo è adatto a te”, voleva dire arduo, complesso, ostico e terribilmente intelligente. I suoi invii erano fatti così, sul filo dell’intuizione di due osticità da mettere al lavoro.
Aveva ragione.
Poi, l’impresa del rapporto con i Servizi, sua passione etica e politica che ha resistito ai tentennamenti di molti di noi. Anche in questo caso è riuscita a vincere la mia riluttanza. “Per quale motivo non vuoi partecipare all’impresa?” Forse, perché non credevo che potesse funzionare, che avrebbe avuto risposte soddisfacenti dal “fuori”.
Avevo torto. Da quell’esperienza ho ricavato un punto di vista nuovo, in primis sulla mia appartenenza e posizione nella grande Istituzione che è la SPI. Ancora, ha scommesso sulla curiosità più che sulla convinzione, impagabile tessitrice di relazioni tra soggetti in teoria poco compatibili. Ciò che dico lo sanno coloro che l’hanno incontrata fuori e dentro la SPI.
Aggiungo che la persona ferma, riservata, convinta delle proprie idee ma non pervicace era mia amica, persona a me carissima con cui ho condiviso i momenti tra i più felici della mia vita, il mare soprattutto, che Franci adorava e anche lì era sempre a guardare il fondo ma dalla superficie, con maschera e boccaglio, senza attrazione per l’oscurità come del resto per ogni forma di astrusità. Ambedue amavamo molto il sole, anche in questo, in modi diversi ma… compatibili.
Mancanza non è la parola che descrive ciò che mi appresto a vivere senza di lei, piuttosto privazione e impoverimento.
La sua sensibilità sarebbe d’accordo - ho avuto modo di farne esperienza in momenti davvero difficili -, ma non cederebbe il passo al ritiro dalla vita.
Non l’ha fatto neanche di fronte alla malattia.
Manuela Fraire