"La famiglia Soler" Pablo Picasso (1903)
Nel 2000, Jorge Garcia Badaracco (JGB) pubblicò a Buenos Aires il libro dal titolo: “Psicoanalisi Multifamiliare” (PM). Pochi mesi dopo, in occasione di un incontro con lui, a Pavia, dove era stato invitato da Fausto Petrella per un Simposio sulla Formazione in Psicoanalisi, scoprii l’esistenza di questo libro, gli raccontai che da tre anni utilizzavamo il gruppo di PM nella CT in cui lavoravo, gli chiesi di tradurlo, dopo mezz’ora che ci conoscevamo e lui acconsentì.
Questo breve episodio, a mio parere, dice molto sulle caratteristiche professionali e personali di JGB.
Stessi entusiasmo, spontaneità e generosità.
Da quel momento in poi, per dieci anni, JGB, sua moglie Elena e Maria Elisa Mitre, sua storica collaboratrice, tra Roma e Buenos Aires, sottoposero me e alcuni altri colleghi ad un vero e proprio training di formazione in PM.
JGB, fin dalla prima volta che venne a Roma, partecipò ai nostri gruppi, gomito a gomito, come dicevamo scherzando e ci insegnò che cosa era un gruppo, quali erano le idee che lo sottendevano, quali erano le cose da fare e da non fare per la sua gestione, etc. etc., senza nessuna prosopopea, trattandoci alla pari, anzi proponendo l’idea che potevamo imparare reciprocamente gli uni dagli altri.
JGB aveva iniziato a riunire prima i pazienti del reparto di cui era direttore, presso l’OP Borda, maschile, di Buenos Aires, e, in seguito al miglioramento di alcuni di essi e in vista di una loro possibile dimissione, anche i familiari. Lui e i suoi collaboratori, psichiatri, psicologi e infermieri, si trovarono, così, ad avere a che fare con tante famiglie nelle quali si era manifestata una patologia psichiatrica grave, in prevalenza schizofrenici.
Subito, balzò loro agli occhi che i pazienti non erano così diversi da almeno uno dei due genitori o da entrambi e che, anzi, sembravano una caricatura” del genitore a cui erano più legati.
Sulla base di questa osservazione, JGB iniziò ad ipotizzare che entrambi fossero legati da un vincolo simbiotico, che non aveva concesso al figlio di crescere e maturare e al genitore di riuscire a separarsi dal figlio e a potersi dedicare, almeno in parte, alla sua vita.
Visti da questa prospettiva, i disturbi psichiatrici gravi, schizofrenici, bipolari e di personalità border, sembrano essersi costituiti a partire da un’interazione inappropriata tra uno almeno dei genitori ed un figlio durante il processo di sviluppo evolutivo di quest’ultimo. L’ipotesi patologica consiste nell’immaginare che, durante la gravidanza o la nascita del figlio, uno dei genitori abbia attraversato o rivissuto una fase di forte sofferenza e dolore la cui via di cura, inconscia, sia stata un legame fortissimo con questo figlio, sino ad impedire in modo inconscio un sano distacco ed una separazione tra loro.
Il figlio non riesce a costruire un vero e proprio processo di identificazione e appiattisce lo sviluppo della sua personalità sulle aspettative del genitore con cui è più coinvolto.
Controprova di ciò è che, se si riesce ad allentare il legame invischiante, attraverso l’intervento del gruppo, entrambi, il figlio, da un lato e il genitore, dall’altro, possono avere accesso alla “virtualità sana”, cioè ad aspetti della propria personalità del tutto sconosciuti e irraggiungibili nell’assetto precedente.
Da tutto ciò è derivata la convinzione che il disturbo, come accennato, non stia dentro una persona ma che sia legato alla relazione disfunzionale che si è venuta a determinare tra due persone e, soprattutto, che, per curarlo, sia necessario che entrambi, genitore e figlio, più il resto della famiglia, si attivino per mettere in moto un processo di cura che riguarda tutti.
Lo strumento di cura si muove nel campo psicoanalitico e si attiva grazie all’aiuto del gruppo, non solo del conduttore ma anche dei co-conduttori e del gruppo dei pazienti e dei familiari. È un processo intersoggettivo, senza memoria e senza desiderio, che pone molta attenzione ai movimenti transferali verso padri e madri di altri nuclei familiari e verso gli operatori presenti attenti a tradurre quanto in movimento, sia i movimenti controtransferali promossi nel gruppo. Gli interventi non necessitano di un filo logico o di riprendere da dove avevano lasciato, piuttosto sono liberi e necessitano pertanto di essere ascoltati potendoli rimandare ad altri significati legati all’oggetto.
Il vantaggio del gruppo e di più operatori al lavoro permette di cogliere i numerosi aspetti scissi che si agitano nascosti ed imprendibili in questi pazienti e nei genitori, servendosi sì del transfert, ma anche della identificazione proiettiva come della mente ampliata, all’interno di un processo di conoscenza e di consapevolezza che oscilla tra K ed O.
Grazie alla Psicoanalisi si ha la possibilità di affrontare il percorso di cura per più utenti alla volta e per le famiglie allo stesso tempo, senza dover rinviare ad altro setting la cura di essi e favorendo la maturazione della verità sulla patologia in modo contemporaneo in una famiglia. Si prescinde dal rapporto uno ad uno e dalla necessità di esperire da soli il peso dei massicci transfert psicotici in atto.
Questo gruppo che si basa sullo scambio dialogico (sulla conversazione ed) è regolato dall’attenersi, da parte dei partecipanti, a tre semplici regole:
1) Si parla uno per volta e, mentre uno parla, tutti gli altri ascoltano;
2) Tutti i partecipanti sono tenuti a “non pretendere di avere ragione”, cioè ad essere disponibili ad ascoltare i pareri altrui, anche se molto divergenti dai propri;
3) L’intervento di ciascuno va prenotato e, quindi, si procede in ordine di richiesta di intervento.
Si configura come il luogo in cui è possibile prendere visione di quello che accade nella propria famiglia attraverso l’osservazione di quello che avviene nelle altre famiglie, diverse ma simili (“rispecchiamento metaforico”), anche grazie all’espletarsi di innumerevoli “transfert multipli”, tra pazienti e familiari ed operatori, per es. con l’introduzione di un “terzo”, tra due persone apparentemente indivisibili, tra un paziente e un genitore di un’altra famiglia e viceversa o tra due pazienti o tra due genitori etc.. etc..
Attraverso l’utilizzazione integrata di questi due strumenti, è possibile che i membri di famiglie a transazione schizofrenica, recuperino la “capacità di rappresentare”, apparentemente perduta fino a quel momento.
La crisi non è più pensata come l’inizio di un percorso di malattia molto difficilmente e, in genere solo parzialmente contrastabile, ma come l’opportunità di occuparsi di un problema che esisteva da molto tempo e che nessuno aveva riscontrato che ci fosse.
Viceversa, l’insorgere della patologia sembra legato alle fasi inziali della vita del figlio a cui più spesso uno, ma a volte entrambi i genitori, era arrivato dopo essere passato per un trauma o un lutto non elaborabile.
Tale contingenza lo aveva reso meno in grado di tollerare l’innescarsi del processo di progressiva separazione dal figlio che ha dato luogo, per conseguenza, ad una incapacità, del figlio, di vivere il processo di separazione-individuazione dal genitore simbiotico.
In realtà non si tratta di una tecnica ma dell’apertura di una prospettiva nuova da cui osservare i disturbi psichiatrici gravi, impostarne una lettura e costruire un intervento, altrettanto complesso quanto il problema che ci si trova di fronte.
Parecchi operatori ne hanno iniziato a farne uso all’interno dei Servizi psichiatrici pubblici, del privato convenzionato e del privato sociale, negli ultimi venti anni.
All’inizio prevalentemente nelle Comunità Terapeutiche, per cercare di preparare il rientro a casa dei pazienti, dopo un periodo di cura in CT, successivamente nei Centri di Salute Mentale e, più recentemente, anche nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura ospedalieri (SPDC).
Si tratta di uno strumento duttile, che è in grado di adattarsi alle diverse situazioni in cui può essere usato, che si rivela molto utile ad avviare o riavviare un dialogo tra persone che apparentemente si detestano ma che, in realtà, si amano profondamente e che sono generalmente disposte, anche se in apparenza può sembrare tutto il contrario, a collaborare per cercare di cambiare la situazione che condividono e che può cambiare soltanto con il contributo di tutti.
Obiettivo del gruppo, per quanto riguarda le famiglie patologiche e i pazienti, è andare alla ricerca e riuscire a far emergere la capacità di ognuno di tornare ad essere “soggetto della sua vita” ed evitare che si perpetui l’assetto patologico che, viceversa, poggiava sulla necessità che qualcuno risultasse incapace o, comunque, non in grado di assumersi la responsabilità di amministrare sé stesso e che qualcun altro spendesse la propria vita per occuparsi di quella dell’altro.
Per quanto attiene gli operatori, il gruppo pone una serie di questioni. Innanzi tutto è un luogo in cui gli operatori possono condividere l’esperienza e la discussione, subito successiva, su quanto accaduto. Due fatti non usuali che sono in grado di attenuare sia le differenze tra gli operatori formati in senso psicoterapeutico, legate alle diversità prodotte dall’essersi formati in scuole molto diverse fra loro, sia tra operatori con differente formazione professionale, psichiatri e psicologi, da un lato e infermieri, assistenti sociali e terapisti della riabilitazione psichiatrica, dall’altro.
Si tratta di una attività terapeutica in cui possono essere rimesse, oppure essere messe in moto delle sinergie tra operatori che, per i due ordini di motivi appena accennati, oltre che per la difficoltà del compito clinico a cui sono chiamati gli operatori, altrimenti si riescono a far decollare con notevoli difficoltà, oggigiorno, nei Servizi Psichiatrici.
In secondo luogo, a corollario del precedente e a patto che ognuno sia disposto ad interagire, per tutta la durata del gruppo, in maniera paritaria con l’altro, chiunque esso sia, paziente familiare od operatore, può risultare pensabile la costruzione di un intervento complessivo, articolato in una serie di sotto-interventi, tutti altrettanto importanti e utili, compiuti da molti professionisti in alleanza tra loro e, se necessario, anche da Servizi diversi, ma tutti animati da una stessa logica dell’intervento e non ognuno da quella più confacente al proprio.Un intervento complessivo, in cui al suo interno sia presente l’inquadramento della storia nei termini psicoterapeutici su accennati, la riabilitazione psichiatrica inserita precocemente come risorsa terapeutica e l’intervento farmacologico susseguente ad un inevitabile uso della diagnosi.
L’inquadramento psicoterapeutico effettuato dal gruppo può dare luogo, contemporaneamente o in seguito, all’inserimento di altri più tipici interventi psicoterapeutici: individuali, familiari, di coppia e di piccolo gruppo di pazienti omogenei ad orientamento psicoanalitico.
In relazione a tutto ciò, può cambiare, in genere notevolmente in meglio, come riscontrato da una ricerca effettuata a Roma dalla Fondazione Di Liegro, il livello di collaborazione tra i pazienti, i loro familiari e gli operatori. Il clima complessivo che si respira tra queste tre componenti essenziali della psichiatria può giovarsene non poco.
D’altronde, a me sembra che sia veramente giunto il momento di ripensare dalle fondamenta la logica dell’intervento psichiatrico nel suo complesso e che, finalmente, ci si incammini, da un lato, sul sentiero di una psichiatria dinamica e, dall’altro, di una concezione e di un uso dei concetti psicoanalitici più adeguati a questo scopo.
Il Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare è presente, nel Lazio, nei Servizi delle Asl Roma 1 e Roma 2, in numero di quindici in ognuna di queste due Asl. In più è presente presso le Asl Roma 4 (Civitavecchia), Roma 5 (Guidonia), Roma 6 (Frascati), presso la Asl di Frosinone, rispettivamente ad Anagni, a Frosinone e a Cassino, nonché in due sedi del privato-convenzionato: la Comunità Terapeutica Gnosis e la Casa di Cura Samadi e, infine, in tre sedi del privato-sociale: Assisi, Infiniti Angoli e Scipioni.
Sono presenti gruppi a Napoli e Castellamare, in Sardegna ben otto gruppi, in Sicilia, collegati alla rete delle Comunità Terapeutiche, sia della rete pubblica che del privato convenzionato, a Torino e in Liguria, Piemonte, Lombardia e Calabria all’interno delle Comunità Terapeutiche del Gruppo Redancia.
Sono, inoltre, attivi gruppi multifamiliari nelle Marche in numero cospicuo, venti nell’Area Vasta di Ancona, in Abruzzo, a Teramo, a Vasto, a Chieti, in Molise, in Puglia (Martinafranca), in Umbria (Perugia), Toscana (Firenze) e in Emilia Romagna (Rimini).
A Roma, in particolare, alcuni colleghi psicoanalisti conducono questi gruppi:
Fausta Calvosa presso la Asl Roma 2;
Alessandro Antonucci presso la Asl Roma 1 (UOC 3)
Luca Zuppi presso la Asl Roma 1 (UOC 1)
Antonio Buonanno presso la Casa di Cura Samadi
Andrea Narracci presso la Asl Roma 1