Attualità e nuove sofferenze

“Quando incontrai la mia donna straordinaria” – Una mostra partecipata per eliminare la violenza di genere – di C. Buoncristiani

Giulia Paparelli (Be Free): “Abbiamo giocato con l’arte per supportare le donne nell’elaborazione del vissuto di violenza”


“Quando incontrai la mia donna straordinaria” – Una mostra partecipata per eliminare la violenza di genere – di C. Buoncristiani

Potrebbe sembrare una graziosa casa di bambole, arredata con tavolino e sedie in miniatura, tutto così colorato e contenuto in una lucida boule da pesce rosso. Si direbbe un luogo sereno, questa palla di vetro liscia e trasparente. Se non fosse una prigione dove la violenza fluiva, muta, nelle vite di chi ci abitava. Ma la storia non finisce qui. Guardando più attentamente, si vede che c’è anche un sottile filo di metallo. Un gancio che porta fuori dalla bolla, verso la libertà. Ne escono due figurette, la mamma e la bambina. La didascalia recita: “Era il 7 gennaio 2020 verso le 19 circa, quando ho incontrato la mia donna straordinaria che assieme a sua figlia usciva da una boccia di vetro piena d’acqua (…) stava bene pensando che prendersi cura di sé fosse essere sempre a posto e in ordine con i capelli (…). Di fatto, come per il pesce della boccia, nulla manca, c’è l’ossigeno il cibo e altre cose sufficienti per sopravvivere, è la vita stessa. Quella sera però ha avuto uno scossone e si è resa conto che fuori c’era la libertà”.

“Ricomincio tutto!”, questo il nome dell’opera, colpisce lo sguardo e l’immaginazione di chi è venuto a visitare la mostra partecipata “Incontri con donne straordinarie”. A realizzarla è stata una donna vittima di violenza.  E il messaggio è che da lì si può uscire. A patto di non essere sole. E’ solo una delle molte realizzate all’interno del laboratorio di Spazio Donna, a San Basilio, gestito dalla cooperativa sociale Be Free contro tratta, violenza e discriminazione.

Quadri, patchwork, sculture fatte dei materiali più vari, compresi oggetti di vita quotidiana, che sono stati esposti il 12 novembre alla Libreria Antigone, specializzata in studi di genere, femminismi, arte e teorie queer. In occasione della Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne del 25 novembre, la mostra che inaugura il 19 novembre, sarà parte dell’iniziativa del Centro Antiviolenza Titano, Liberə di Gioire - Giornate di cultura verso il 25 Novembre.

Che la violenza di genere sia sistemica, le operatrici di Be Free lo sanno bene, perché le donne che chiedono aiuto sono la testimonianza vivente di come una distribuzione iniqua del potere tra i generi nutra la sopraffazione maschile. Tanto più efferata in una fase storica in cui il maschio vede messa in pericolo la cultura patriarcale che costruisce come un fatto “naturale” la sottomissione della donna.

Oggi le donne subiscono prevaricazioni soprattutto quando, “l’uomo sente il bisogno di dimostrare la sua supremazia e il suo potere, di fronte a una partner che sfugge e non ha più bisogno di lui né per vivere né per sopravvivere”, dice Giulia Paparelli operatrice antiviolenza dello Spazio Donna di San Basilio e socia della cooperativa Be free.

“Così il percorso di fuoriuscita dalla violenza non è mai semplice né possibile senza una rete che ne supporti l’elaborazione. Per questo abbiamo pensato che donne già avanti in questo processo potessero sperimentarsi attraverso linguaggi artistici. Volevamo dare spazio a un pensiero positivo che non si limitasse alla denuncia della violenza, ma affermasse la necessità di uno spazio relazionale, personale, sociale e politico capace di dare speranza al bisogno di rispettarsi e di incontrarsi e al desiderio di far crescere i propri progetti.

Come nasce uno spazio di questo tipo?

Nel nostro caso, nel 2016 tutto è cominciato da una collaborazione tra Be free e la Onlus We World. L’idea era costruire un luogo di empowerment a San Basilio, un quartiere di periferia che ha servizi inesistenti. Qui nulla era fuori dalle logiche del mercato. Non c’erano situazioni di incontro e condivisione che non fossero a pagamento. Per questo il centro ha anche una parte ricreativa, con la bioenergetica, lo yoga, i corsi di teatro. Questo rende lo spazio attraversabile dalle persone del quartiere. Nel tempo, la nostra vocazione ha fatto sì che in questi 7 anni ci specializzassimo nell’accoglienza di donne, bambini e bambine che hanno subito violenza.

Come mai avete pensato a un laboratorio artistico? E come è stato realizzarlo?

Inizialmente noi stesse ci siamo trovate ad attraversare l’ignoto. Non siamo artiste, ci siamo avventurate senza difese in un’area in cui non eravamo esperte. Io stessa non sapevo dove ci avrebbe portato. Mi sono trovata a condividere una attività al pari delle altre. E’ stata un’esplorazione che ci ha sorpreso a ogni svolta.

Cosa vi ha stupito?

Il fatto che nel corso di un anno, dal tema iniziale che doveva riguardare le donne straordinarie nella storia (artiste, attrici, attiviste), abbiamo scoperto che le partecipanti stavano cominciando a maturare una diversa consapevolezza di se stesse! Anche andando “fuori tema” sceglievano di rappresentarsi nelle proprie opere e si appropriavano del percorso svolto riconoscendosi come donne straordinarie. Non ce l’aspettavamo. Ma forse sta anche in questo il cambiamento, che ti spinge a uscire dagli schemi predefiniti. 

L’autrice di “Ricomincio tutto!” fa esattamente questo. Per uscire da situazioni colonizzanti forse c’è da riconoscersi straordinarie, a modo proprio…

Mi sono emozionata, nel vedere l’opera, perché aveva fatto il percorso proprio con me. Fino ad allora avevamo lavorato insieme, con le parole. Ma attraverso l’espressione artistica questa donna stava riuscendo a comunicare aspetti che non erano mai venuti alla luce così bene. Quest’opera rende l’idea del lavoro che si fa dentro i centri antiviolenza: si è accompagnate nell‘elaborazione di risposte tue, che hai dentro, ma che non riuscivi a vedere. Non siamo noi operatrici a dare la direzione delle scelte di queste donne. Ci mettiamo al loro fianco, seguiamo il loro percorso.  

Che tipo di utenza si rivolge a voi?

In 7 anni abbiamo seguito 400 donne di diverse estrazioni sociale e formazione: dalle diplomate, alle laureate, dalle libere professioniste alle disoccupate. Molte di loro svolgono lavori “informali”, siamo nel precariato spinto. La maggior parte sono italiane, perché san Basilio è un quartiere di case popolari e le famiglie affidatarie sono italiane. Ma abbiamo avuto anche diverse migranti, circa il 30 per cento che vengono dalle zone limitrofe, da Tiburtina a Guidonia, perché non ci sono altri centri antiviolenza. La maggior parte di loro ha dei figli, due anche tre, quattro e la particolarità del nostro centro è che il percorso riguarda anche i minori.

Come arrivano a voi queste donne?

All’inizio ci venivano segnalate dalle istituzioni: forze dell’ordine, servizio sociale, strutture di quartiere come la biblioteca, la parrocchia, la scuola. Poi nel corso degli anni è scattato il passaparola. Questo ci da il segno di come il servizio si stia diffondendo nel tessuto sociale. Queste donne, una volta terminato il percorso diventano sensibili a questa tematica…

Le donne che ne escono poi diventano semi di una logica diversa: vogliono vivere liberamente la propria autonomia e creatività, uscendo da un ordine convenzionalmente definito. Succede anche a San Basilio che vengano guardate con sospetto?

Se semino di un’altra logica questa germoglia. San Basilio esce nelle cronache solo per fatti di cronaca grave, ma in realtà nel tempo abbiamo scoperto che è un luogo che da sempre, proprio per l’assenza di un intervento strutturato delle istituzioni cittadine, è fondato su reti informali di partecipazione e solidarietà che facevano da supplenti di qualcosa che mancava. Quello che il nostro spazio ha cambiato è che prima magari c’erano donne attive in diversi contesti (parrocchia, scuola, biblioteca, centro di quartiere), ma mancava un perno dove si potessero incontrare e fare alleanze.

Le manifestazioni della violenza di genere sono molteplici e trasversali, dalla sfera familiare e delle relazioni a quella economica fino a quella politica e istituzionale. Avete pagato un prezzo per il vostro essere contro la logica dominante?

Il quartiere ci ha accolto con entusiasmo. Ma sì, è successo che di notte siano entrati senza rubare niente. Di sicuro siamo una spina nel fianco, qualcosa che turba il quadro preconfezionato anche a livello economico. Volevano intimidirci, ma l’abbiamo riletta in un altro modo.

Come?

L’abbiamo elaborata dicendoci che dovevamo essere contente. Ci siamo dette che il lavoro che facciamo è qualcosa che non può fare piacere a tutti, perché scardina l’ordine delle cose. Togliamo centralità ai privilegi e al comando tradizionali. E quando ti rendi conto  che dai fastidio, capisci che stai facendo bene il tuo lavoro.  

 



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