Report Convegno Spi Bambini-Adolescenti
Porto Antico di Genova, 27-28 novembre 2021
“Chi cura chi” Articolazioni e Rovesciamenti nelle Relazioni Affettive
di Paola Catarci
La sala del Centro Congressi del Porto Antico di Genova, dai bei soffitti con le travi a vista e le finestre che lasciano intravedere il mare, sabato 27 mattina andava riempiendosi, lentamente ma con un flusso continuo, di colleghi partecipanti “in vivo”, al convegno.
La modalità mista, un convegno da viversi in presenza, con la possibilità del collegamento in remoto, è stata, per molti di noi, inizialmente scettici sulla sua riuscita, una novità da attraversare, ed il risultato ci ha lasciati soddisfatti.
Il convegno ha mantenuto il format dei precedenti: 2 mattinate con relazioni in plenaria, molti panels nel pomeriggio del sabato, ricchi di partecipazione in presenza.
Il focus del convegno chiedeva una riflessione sui diversi tipi di rovesciamento (chi cura chi) tra adulti e bambini, genitori e figli, dedicando attenzione anche ai curanti per individuare nuovi paradigmi nel rapporto dell’analista con le varie figure, genitoriali ed istituzionali, in gioco nelle richieste della psicoanalisi del bambino e dell’adolescente.
Nel tentativo di trovare un filo rosso che consenta di presentare le quattro diverse, teoricamente differenziate relazioni delle sedute in plenaria, ho pensato a quello che Winnicott scriveva, in una delle sue preziose lettere, quando proponeva a Bion l’importanza dell’interpretazione sulla comunicazione, alludendo al fallimento ambientale ed alla necessità di tradurlo in parole da parte dell’analista.
Si potrebbe allora dire che questo tema abbia attraversato le relazioni: Amanda Jones, da Londra ha proposto una dettagliata ed articolata esperienza clinica, dove appariva centrale proprio il tentativo di riparare una situazione ambientale collassata su un piccolo bambino di pochi mesi. E’ stato evocato il lavoro ed il metodo di Selma Fraiberg, l’importanza del lavoro di rete, l’attenzione al nucleo familiare allargato.
Altra lunghezza d’onda per la relazione di Virginia De Micco, sulla dimensione migrante, le sue declinazioni nell’ambito dei rovesciamenti familiari e generazionali. Come si articola lo straniero ed il familiare nei legami e nelle identificazioni, quando ci affacciamo sul terreno dell’adolescenza, e non solo? Il saggio propone l’esperienza stessa della migrazione, sia per chi parte che per chi accoglie, come uno ‘svelamento’ reciproco delle proprie aree straniere. Si tratta di aree intrapsichiche, ‘svelate’ però solo dal e nel rapporto con lo straniero, in una fondamentale dimensione di ‘rovesciamento’ psichico in cui guardare nello specchio dello ‘straniero’ ci rimanda le parti più inassimilabili e ripudiate del ‘noi’, le parti più disumane della nostra umanità, da quelle più bisognose e inermi a quelle più feroci e distruttive.
Nonostante vertici così distanti, pure nella discussione che è seguita alle presentazioni, sono apparsi collegamenti inediti, che hanno consentito letture incrociate del materiale in modo inaspettato e proficuo.
Anche la mattinata di domenica ha visto articolazioni complesse.
Andrea Celenza, da Boston, ha proposto la rilettura di un concetto di Kristeva, l’abietto, nell’ambito della relazione col materno. Il caso clinico, molto dettagliato e offerto con generosa soggettività, ha consentito a molti dei partecipanti di intervenire in un dialogo proficuo con l’analista, nonostante la posizione…remota della collega.
Ultimo, ma non meno importante, l’intervento di Gianna Polacco, anche lei in remoto da Londra, che ha attraversato molti temi del suo lavoro e della sua lunga e ricca esperienza clinica nell’ambito istituzionale alla Tavistock, proponendo nuove letture della teoria bioniana.
Una necessariamente affrettata tavola rotonda finale ha interloquito con lei e lanciato punti di interesse, che hanno avuto anch’essi un filo comune nella ricerca e proposizione di nuovi paradigmi per quel che riguarda il lavoro con i genitori e con le famiglie. Non per caso i tre casi clinici presentati, discutevano interventi dove i bambini – e gli adolescenti – erano accolti coi genitori o in una dimensione di psicoanalisi della famiglia.
Io credo però che il clou del convegno abbia avuto luogo nel pomeriggio del sabato, dove molti colleghi (almeno 24 presentazioni) hanno proposto le loro riflessioni, con uno stile teso più alla ricerca del confronto che alla esibizione di successi.
Il rimando ad un dato controtransferale condiviso, - la particolare attenzione all’importanza dell’assetto interno dell’analista – può essere considerato l’elemento centrale e comune ai diversi interventi; come conseguenza la consapevolezza dell’attivarsi di diverse aree della mente del curante nella relazione coi bambini, gli adolescenti e le loro famiglie.
Potremmo forse affermare che se un nuovo paradigma si è prospettato nell’insieme dei lavori presentati, questo attiene alla attenzione da porre non solo alle dimensioni patologiche, ma a quelle che appartengono all’evoluzione del bambino e dell’adolescente, all’interno di una dinamica che implica la capacità dei soggetti di riconoscere la sofferenza là dove essa si manifesta e quindi di riposizionarsi attraverso la funzione di riconoscimento reciproco.
L’affrancamento del soggetto (bambino o adolescente) dalle proiezioni genitoriali per un verso libera energie per la ripresa dello sviluppo, e dall’altra rende liberi i genitori reali come oggetti di identificazione utilizzabili per lo sviluppo stesso.
Forse questo può essere considerato punto nodale della cura anche nei casi in cui non ci sarà dato di accompagnare oltre il processo che abbiamo contribuito a far nascere.