Intervento di Amalia Giuffrida; commento di Simone Pilia. Report di Marta Calderaro
Il lavoro di Amalia Giuffrida si caratterizza per una complessa riflessione teorica sulla possibilità di costruzione di uno spazio rappresentativo in contesti clinici in cui un eccesso di sensorialità ha impedito il lavoro dell’allucinatorio e su quanto, nell’ambito della cura, sia quindi necessario che l’analista utilizzi e presti il proprio sessuale infantile alla relazione terapeutica.
Per accompagnare tale riflessione, Giuffrida fa riferimento ad un caso clinico, una giovane donna che “improvvisamente” la colpisce per la profonda trasformazione fisica a cui negli anni era andata incontro senza che l’analista potesse rappresentare tale percezione, diventando da goffa e informe “proprio una bella ragazza”.
La paziente, afflitta una profonda tristezza, da variegate “amputazioni” sensoriali e da una totale assenza di desiderio sessuale, presenta una storia familiare caratterizzata da un “troppo” materno. La madre della ragazza, infatti, ha imperversato sin dai primi anni di vita sul suo corpo con continue “cure” antibiotiche vaginali, manipolazioni ingiustificate, grandi quantità di cibo – quasi a voler ostruire qualunque orifizio e dunque qualunque spazio ricettivo in cui iscrivere una rappresentazione.
Contemporaneamente all’improvvisa rivelazione della bellezza della paziente e ad una vivida raffigurazione da cui l’analista riesce a non prendere le distanze, Giuffrida comunica alla giovane un’interpretazione effrattiva che coinvolge proprio l’eccesso di sensorialità che caratterizzava la relazione precoce della paziente con la madre.
Ponendosi come “terzo che viola”, di certo dopo un lungo lavoro di holding ed una lunga collusione in una dimensione omosessuale fusionale, l’analista può riaprire i canali ostruiti dall’eccesso di stimolazioni sensoriali precoci.
La sensorialità, infatti, come indica Giuffrida, può essere veicolo di legame quanto di delegame, come in quei casi in cui delle sensazioni debordanti non vengono poi rappresentate e restano inscritte nella psiche come tracce disorganizzanti. Questo perché l’allucinatorio non ha potuto compiere il suo lavoro a partire dalle percezioni provenienti dall’interno e dall’esterno del corpo e costituire la matrice della struttura fantasmatica del soggetto.
Giuffrida poi articola il pensiero freudiano intorno alla soddisfazione allucinatoria del desiderio con quello di Winnicott (circa l’opposizione del soggetto al potere dell’oggetto, preliminare alla soggettivazione) e con quello di Green riguardo all’idealizzazione retroattiva dell’infans dell’esperienza originaria di soddisfacimento, come anche dell’effrazione. Questa articolazione tra modelli consente di pensare la creatività e la capacità deformante della psiche come qualcosa di “edonico”, che fornisce la psiche di strumenti contro una realtà potenzialmente disorganizzante (il trovato).
Per poter “mobilitare il sessuale infantile” del paziente, per poter quindi creare uno spazio di rappresentabilità, l’analista deve attraversare la sensorialità delle parole e lasciarsene possedere, pur inibendo grazie al setting ed al lavoro nel controtransfert le pulsioni nella loro meta. I fantasmi effrattivi inscritti nella relazione originaria potranno essere così “attenuati” (per dirla con Freud) e parzialmente disinnescati nella loro qualità disorganizzante.
Il commento di Simone Pilia mette innanzitutto l’accento sulla capacità di Giuffrida di integrare modelli teorici apparentemente distanti come quelli freudiano e winnicottiano, così come sulla possibilità di un lavoro di holding che quasi ara il campo in vista di una presa di distanza che permette all’analista di “registrare” i cambiamenti intercorsi sotto traccia.
Pilia mette in collegamento i cambiamenti fisici della paziente di Giuffrida con quelli davanti ai quali mettono spesso davanti gli adolescenti, impegnati in anni di goffaggine e “bruttezza” prima che la trasformazione in giovani adulti conferisca loro una forma più definita.
Sottolinea inoltre l’importanza di un’analisi a posteriori del controtransfert (Gegenűbertragung), in entrambi i sensi del Gegen, (Balsamo), cioè sia inteso come contro che come prossimale, utilizzando come suggestione un quadro di Escher, Galleria di stampe. L’oscillazione dell’analista tra il contro e la prossimità rispetto al paziente ed al proprio assetto difensivo crea dunque le premesse per uno spazio di pensabilità in cui possano avvenire, talvolta clandestinamente, delle trasformazioni.
Lucia Monterosa interviene ricordando una lettera di Freud a Fliess riguardo il senso dell’olfatto (la paziente di Giuffrida, tra le altre cose, soffriva di anosmia) ed i suoi rapporti con l’analità, spesso trascurata dalla letteratura analitica.
Questo rimando viene rilanciato da Giuffrida che descrive, con Green, un’analità precoce, legata al narcisismo, spesso reperibile in soggetti apparentemente privi di sessualità e la cui funzione è quella di sostituire l’Io-pelle.
Livia Pascalino evidenzia il buon timing dell’interpretazione fornita alla paziente. Giuffrida risponde che, per quanto il timing sia un elemento molto importante, il momento sia stato comunque da lei stessa avvertito come molto effrattivo. Argomenta poi che i genitori dovrebbero creare nella mente della bambina uno “spazio ricettivo non localizzabile”, quale è la vagina, che è priva di endopercezioni proprie. Su questa allucinazione negativa che è la vagina saranno i genitori a creare degli elementi, con i propri fantasmi effrattivi e nutritivi a un tempo. Nella sua interpretazione, avvenuta dopo 2 anni di fusione omosessuale in cui l’inconscio ha potuto lavorare indisturbato, Giuffrida ha giocato il ruolo della madre e del padre (che rende tollerabile l’eccesso di eccitazione della madre) in un modo violento ma tollerabile, il che travalica l’usuale concetto di timing.
Balsamo mostra la ciclicità di protezione ed eccesso, che si ripetono continuamente nella storia di questa paziente. In questa ottica, la sensazione di Giuffrida di essere stata effrattiva è probabilmente legata alla dimensione temporale che introduce, e con essa una potenzialità sessualizzante.
Angela Iannitelli riporta la riflessione sul senso dell’olfatto, che per quanto sia poco considerato riveste in realtà un ruolo fondamentale per la memoria e per le emozioni, per cui un’alterazione olfattiva può essere interpretata come marker di un disturbo della comunicazione precoce tra bambino e genitori. Giuffrida concorda e ricorda quanto l’allucinatorio coinvolga un coacervo di sensazioni provenienti dai 5 sensi.
Marta Calderaro