“Meglio avere un cattivo oggetto interno che rischiare di perderlo per sempre”.
Andrea Baldassarro - Membro Ordinario con funzioni di Training SPI
“Meglio avere un cattivo oggetto interno che rischiare di perderlo per sempre”
Alcune analisi mostrano in modo particolarmente significativo le difficoltà che si possono incontrare nella conduzione di un trattamento, per le sfide che pongono all’analista relativamente alla loro evoluzione e comprensione: gli stati-limite – in quanto al limite della stessa analizzabilità – costituiscono un esempio, se non il principale, delle condizioni di incertezza nelle quali l’analista deve muoversi, non disponendo di un apparato concettuale sufficientemente consolidato e di certezze metodologiche e tecniche alle quali far riferimento.
In queste situazioni un ruolo fondamentale sarà quello giocato dall’oggetto: la funzione materna potendo essere, sin dall’inizio, sia calmante che eccitante, porterà sia cure che messaggi enigmatici ed esporrà infine il bambino alla discontinuità della sua presenza e delle sue attenzioni. Si potranno generare quindi emozioni, affetti, sensazioni che non sempre potranno essere legate a causa della natura insufficiente e inerme, hilflos, del bambino, e che si rinnoveranno nelle dinamiche transferali e contro-transferali del trattamento analitico.
Gli stati-limite costituiscono allora un modo di organizzazione possibile per il soggetto a venire, preso tra angosce di abbandono e angosce di intrusione, come ha fatto notare André Green. Meglio allora disporre un oggetto cattivo – cercato e respinto allo stesso tempo, come si evidenzia in maniera spesso drammatica nella reazione terapeutica negativa – piuttosto che rischiare di perderlo per sempre.
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