Spazi sicuri: il consultorio tra prevenzione e ascolto

Raccogliendo il materiale per questo volume, ci è sembrato interessante allargare il campo d’indagine rivolgendo il nostro sguardo allo spazio del consultorio, luogo con delle specifiche caratteristiche che lo rendono sul territorio uno spazio di fondamentale importanza. Esso svolge un ruolo cruciale nell’attivare quella prevenzione di cui spesso si parla, ma che in molti casi non è sufficientemente attuata. Abbiamo conversato con la dottoressa Giovanna Savarese, psicoterapeuta e dirigente psicologa presso il consultorio di via Monza a Roma per conoscere meglio questa realtà, capire quello che il servizio può offrire, con particolare attenzione alle donne vittime di violenza.

 

MB: Il consultorio, situandosi in una dimensione intermedia tra il disagio e la normalità, offre una prospettiva privilegiata sulla donna e sulla diade madre-bambino e la famiglia. Quali interventi o percorsi di supporto possono essere proposti in questo contesto?

GS: Il consultorio è una realtà molto ricca che nasce come servizio orientato alla prevenzione e comprende un insieme di servizi molto variegato di accompagnamento alla nascita e crescita dei figli. Si tratta di servizi rivolti a tutto il nucleo familiare, come corsi di preparazione al parto, incontri di accompagnamento al periodo successivo alla nascita (gruppi di lettura di favole, incontri mamme, etc.) e servizi rivolti agli adolescenti (che puntano a far conoscere il servizio anche ai giovani in modo che in caso di difficoltà o disagio possano accedervi).

Nel servizio è presente una equipe multidisciplinare che comprende la psicologa, l’ostetrica, la ginecologa, l’assistente sociale, la pediatra e l’infermiera. All’interno del servizio sono presenti tutte quelle figure che possono essere di accompagnamento alla nascita e alla crescita dei figli, all’attraversamento della maternità e della paternità. Inoltre è presente il servizio adozioni che si occupa del percorso per il raggiungimento dell'idoneità e la valutazione delle competenze genitoriali, connessa a casi di sospetto maltrattamento e abuso. Nel consultorio è presente anche il ‘percorso aiuto donna’ che si centra in particolare sulle donne vittime di violenza di genere.

 

VC: Qual è il funzionamento del servizio? Quali le risorse specifiche coinvolte nel lavoro?

GS: Nel servizio dove lavoro la disposizione dei diversi ambienti racconta molto del servizio: lo spazio di prima accoglienza è proprio all’ingresso della struttura ed è seguito dalla stanza della pediatra e dell’ostetrica, più avanti si trova la stanza della ginecologa e dell’assistente sociale e solo in fondo quella della psicologa, che sembra ‘l’ultima spiaggia’. Gli utenti del servizio, in particolare le donne, sembrano aver bisogno di questa gradualità, accedendo in primo luogo a quegli spazi legati a richieste somatiche, in primis dei piccoli ma anche della donna, per accedere talvolta a una domanda psichica.

 

MB: Ci colpisce la descrizione sugli spazi e la riflessione su come accompagnare il possibile emergere di un disagio ancora a volte informe o poco consapevole, che quindi noi raramente riusciamo ad incontrare nei nostri studi privati, dove invece la domanda di aiuto spesso è più esplicita e consapevole, almeno in alcuni aspetti. In contesti come il vostro, in cui non è ancora presente una richiesta esplicita, come si struttura il lavoro?

GS: Le donne, utenti privilegiate del servizio, si aprono più facilmente con l’ostetrica e la pediatra, e a volte con la ginecologa, mentre sono più reticenti a interfacciarsi con l’assistente sociale. Tuttora permane la diffidenza legata al timore che segnalare delle difficoltà comporti una valutazione di una non idoneità genitoriale, associata tutt’ora con la fantasia di poter perdere i figli. Lo spazio psicologico sembra anch’esso carico di fantasie e fantasmi, che però la collaborazione tra i diversi operatori consente spesso di superare.

Come vi dicevo, le figure con le quali le donne si aprono più facilmente, come l’ostetrica o la pediatra, prospettano laddove ne scorgano l’utilità, la possibilità di un passaggio allo spazio psicologico che potrà accogliere difficoltà di diverso genere, sia della donna, che del nucleo familiare o del bambino. La ricchezza del contesto del consultorio è che questo passaggio può essere un passaggio immediato: quando c'è un'apertura con l’ostetrica, questa contestualmente presenta la psicologa alla donna, in modo che ci sia già un primo contatto e si possa prendere un appuntamento, senza una lunga attesa che rischia di lasciar cadere domande di aiuto ancora embrionali.

Insomma la buona collaborazione tra operatori del servizio consente di accogliere di accogliere le domande che partono spesso da uno spunto somatico e di intercettare disagi psichici o sociali.

 

VC: Conosco più da vicino i CAV, con cui collaboro, che hanno una definizione e inquadramento diverso. Puoi raccontare come funziona il ‘percorso aiuto donna’ del consultorio? Qual è l'approccio nel trattamento delle situazioni di violenza? Come viene gestito il passaggio successivo all’emergere di una situazione di violenza?

GS: Il ‘Percorso aiuto donna’ è attivo dal 2019 e si rivolge in modo specifico a donne vittime di violenza di genere.  Si tratta di un servizio di secondo livello che funziona su invii di altri servizi o anche su accesso diretto delle donne. In particolare per la sede di via Monza gli invii vengono dagli ospedali (soprattutto quelli del territorio della Roma 2, quindi il Pertini e il Sant’Eugenio, ma anche da ospedali di territori diversi), o anche da altri consultori.

Nel servizio sono presenti diverse figure professionali, tra cui: assistente sociale, psicologa, ostetrica, infermiera.

Per quanto riguarda l’individuazione delle situazioni di violenza di genere, questa può avvenire attraverso tutti i canali presenti nel consultorio: quindi attraverso situazioni che accedono per le vaccinazioni, per l'assistenza medica dei bambini stranieri svolta dal pediatra all’interno della struttura di via Monza, o in relazione all'attività del pediatra presso gli asili. Talvolta è grazie alla sensibilità della ginecologa che emerge come la presenza di alcuni ripetuti problemi ginecologici si leghi a situazioni di difficoltà nei rapporti sessuali, connessa a rapporti violenti.

All'interno del ‘percorso aiuto donna’ c'è un primo colloquio di accoglienza svolto congiuntamente dalla psicologa e dall'assistente sociale, dopo il quale si può attivare un percorso mirato. Il servizio può attivare un ciclo di massimo 20 incontri: un percorso circoscritto, ma comunque molto prezioso che consente di accogliere le donne, far emergere la richiesta di aiuto e la consapevolezza della situazione e avviare un primo percorso di presa in carico e di intervento.

Concluso il ciclo dei 20 incontri è possibile valutare se sia conclusa la necessità di aiuto e se invece sia utile un lavoro ulteriore, nel qual caso è necessario passare il caso al consultorio o ai servizi territoriali, che purtroppo spesso sono oberati di lavoro e hanno limitata possibilità di accoglienza delle domande. Inoltre le donne non hanno facilità ad accedere a altri servizi territoriali, come ad esempio il CSM, poiché spesso hanno fantasie su tali servizi che impediscono di accedervi. Il consultorio al contrario tende a essere percepito nell’insieme come più accogliente e meno ‘giudicante’ proprio per la sua specifica cifra che non è legata alla patologia. Inoltre la lunga lista di attesa spesso presente negli altri servizi costituisce un fattore di ulteriore resistenza per domande di aiuto poco consapevoli e definite.

 

MB: Qual è l’utenza che accede al servizio? Che livello sociale e culturale?

GS: I casi seguiti lo scorso anno all'interno di questo servizio sono stati circa 65 e sono stati gestiti dalle due psicologhe presenti nel servizio. La sede di via Monza ha un’utenza che va da situazioni sociali medie a situazioni medio-alte, poiché il bacino d'utenza del territorio della zona del centro di Roma ha soprattutto questo tipo di popolazione. Al contrario servizi di altri territori nella periferia della città intercettano situazioni di un livello sociale più basso.

Nella mia esperienza e anche nell'esperienza di questo tipo di servizi in altri territori di Roma, il fenomeno della violenza si delinea come un fenomeno trasversale che attraversa tutti i livelli sociali e culturali, come viene confermato da tutti gli studi.

Le situazioni di violenza nel servizio di via Monza appaiono come situazioni complesse, intrecciate a situazioni di psicopatologia pregressa e situazioni multiproblematiche. Colpisce come nella storia di queste donne la violenza sia raramente un episodio che irrompe nella vita in modo improvviso e puntuale: la violenza appare piuttosto come esito di difficoltà presenti da lungo tempo, spesso fino dall’infanzia, legate ad una complessità che riguarda tutto il nucleo familiare. Queste donne spesso vengono da una storia di disturbi di diverso genere. Talvolta nella storia si ritrova un pregresso disturbo alimentare, spesso trattato in modo molto settoriale e che non ha portato ad indagare la situazione contestuale familiare e il disagio più profondo della donna, facendo emergere la questione della violenza. Spesso ricostruiamo come il disagio abbia attraversato diversi ambiti, dal tema del rapporto con il cibo e con il corpo a difficoltà di altro genere, andandosi a frammentare in diversi servizi. Insomma il tema della violenza rischia a lungo di rimanere un elemento nascosto e non riconosciuto.

 

VC: In che misura gli uomini partecipano ai percorsi offerti dal consultorio e in che modalità viene favorito il loro coinvolgimento? Cercate di includerli nei percorsi di accompagnamento alla nascita e alla genitorialità?

GS: le protagoniste di questo servizio sono sicuramente le donne, che lo frequentano e lo utilizzano maggiormente. Gli uomini lo usano in modo più marginale e per lo più per ciò che riguarda le visite pediatriche e l’accompagnamento dei figli ai vaccini. Anche in questi casi l’osservazione di particolari dinamiche, in cui sembra emergere ad esempio una modalità di controllo nei confronti delle mogli o delle compagne, può attivare una attenzione e la possibilità di incoraggiare la donna ad  accedere ad uno spazio separato di esplorazione della situazione familiare e personale.

Al di la delle situazioni di sospetta violenza, stanno nascendo anche altre proposte che puntano a coinvolgere i papà nei percorsi di prevenzione e cura dei figli. Dovrebbe iniziare a breve un gruppo per i papa tenuto dall’ostetrica, che speriamo possa avere un seguito e aprire ad una maggiore partecipazione anche degli uomini.

Ringraziamo molto GS per averci dedicato il suo tempo. Lo scambio con la collega ci conferma che il fenomeno della violenza di genere è presente in modo trasversale in tutte le fasce sociali e nei diversi territori.

Il consultorio si configura come uno spazio che per la sua specificità si affianca ad altri spazi, come i CAV o i servizi territoriali per la salute mentale o invece il contesto del lavoro privato. Ci colpisce quanto il consultorio possa costituire un luogo prezioso, proprio per la sua natura di spazio legato alla normalità e alla prevenzione, un luogo che quindi può riuscire a intercettare situazioni di violenza, soprattutto per quelle donne che non riescono a fare una domanda di aiuto più esplicita, che invece può essere intercettata grazie a operatori sensibili o talvolta grazie al sostegno legato alla presenza di altre donne nel servizio.

Ci piace immaginare che questo nostro dialogo possa portare ad ulteriori scambi, auspicando che la psicoanalisi possa aprirsi all’ascolto di altre realtà, raccogliere gli stimoli provenienti da questi e mettersi al servizio di un lavoro comune.

 

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