Cosa può fare la psicoanalisi in un contesto in cui l’angoscia di morte ha la meglio sulla vita stessa?
Henri Rousseau, “La Guerra” (La guerre) • 1894 circa • Olio su tela • Parigi, Museo d’Orsay
Piovono bombe e spari in terra vicina. E le nubi cariche di angoscia adombrano le nostre menti già colme di condizione traumatica a causa della pandemia.
Ci portiamo dentro una tempesta quindi, fardello che accompagna le nostre giornate, dove non sembra ci sia più posto per un sorriso leggero. Ma guerra.
Un pensiero costante e continuo volto alla guerra. Ai morti, gli sfollati, ai bambini inermi che si muovono tra i rottami della follia umana.
(La guerra) non tiene alcun conto delle limitazioni alle quali ci si attiene in tempo di pace e che formano ciò che chiamiamo il diritto delle genti, non riconosce i riguardi dovuti al ferito ed al medico, non fa alcuna distinzione tra combattenti e popolazione civile. Calpesta tutto ciò che trova sul suo cammino, e questo con una rabbia cieca, come se dopo di essa non dovesse più esserci avvenire né pace tra gli uomini. Distrugge tutti i legami comunitari che ancora uniscono tra di loro i popoli in lotta e minaccia di lasciare dietro di sé rancori che renderanno impossibile, per molti anni, la ricostituzione di questi legami. Essa ha dimostrato anche questo fatto appena concepibile: che i popoli civili si conoscono e si comprendono così poco che si allontanano con orrore l'uno dall'altro. (Considerazioni attuali sulla morte e la guerra, Sigmund Freud, 1915).
Sono passati più di cento anni dallo scritto di Freud, ma le parole usate potrebbero, anche ora, essere l’incipit di una riflessione sulla guerra in Ucraina.
Sarebbe inoltre semplice, per chi si occupa di studio e cura della mente umana, tracciare un profilo psicologico di Putin. Scelgo appositamente di non farlo, perché sappiamo bene che il disastro umanitario in corso non è dovuto alla follia di uno, ma il naturale decorso di questioni geopolitiche che prima o poi sapevamo avrebbero presentato il conto. Non il frutto di una psicopatia, quindi, ma una tragedia annunciata.
Cosa può, quindi, fare la psicoanalisi in un contesto in cui l’angoscia di morte ha la meglio sulla vita stessa?
Forse può fornire l’opportunità di un pensiero atto alla predominanza dell’eros sulla pulsione di morte, avviando un dialogo continuo sulla distruttività umana che da sempre caratterizza la storia. Perché conoscerne le origini, e riconoscerla, vuol dire oltraggiarla, più dei carri armati a cui i nostri occhi sono oramai abituati.
Mostrando tutta la solidarietà in nostro potere, come persone, ancor prima che come professionisti. E ricordandoci sempre della nostra fragile, pericolosa, troppo umana, e a volte tragica, fallibilità.