Una riflessione "immaginifica" che svela i legami sottili tra artisti e pensatori di tutti i tempi con una particolare funzione mentale...
Quando mi è stato proposto di presentare il libro “Visionari” di Tiziana Gazzini, confesso di aver avuto un momento di forte titubanza perchè, non essendo un’esperta di arte, ho pensato di non avere gli strumenti adeguati per tale compito. Poi mi sono detta che avrei potuto farlo non da cultrice, ma da semplice fruitrice dell’arte, consapevole che inevitabilmente sarei stata condizionata e forse “viziata” nel mio modo di leggere il testo, dal fatto di essere una psicoanalista. Questo però era inevitabile.
Mi sono così immersa nella lettura, trovando il testo coinvolgente e affascinante . La prima riflessione riguarda il titolo.
Il termine “visionario” evoca in noi psicoanalisti il quadro di un disturbo del pensiero e della rappresentazione che si manifesta in modi vari e con diversa severità, dalla visione – appunto – distorta della realtà, alla allucinazione fino al delirio più o meno organizzato. Pensiamo dunque, in prima istanza, ad una patologia.
Sappiamo bene, nel contempo, che false percezioni, allucinazioni e deliri, contengono sempre un nucleo di verità – storica o del vissuto individuale – spesso accompagnato da una straordinaria capacità della mente, immaginativa, creativa e a volte preveggente.
Queste funzioni psichiche sono probabilmente alla base della produzione artistica, affondando le loro radici in una fase primordiale dello sviluppo della mente quando il soggetto e l’oggetto sono ancora indistinti; non vi è differenza tra dentro e fuori, perchè non esiste lo spazio esterno nè la nozione del tempo, non configurandosi ancora un “prima” e un “dopo”.
Tutto e il contrario di tutto coesistono , vige il “principio di contraddizione”e il bambino all’origine è tutto inconscio.
L’infrazione della simbiosi assoluta con la madre, cioè l’assenza del seno, produce una frustrazione che spinge il nascente apparato mentale infantile a produrre un’immagine allucinatoria dell’oggetto assente, in un certo senso “creandolo” (Winnicot).
Questa immagine allucinatoria segna una tappa importante dello sviluppo perchè rappresenta l’inizio dello psichismo.
E’ questa la fase in cui si può “sognare da svegli” (Bion).
Un caso di artista “visionario”, proprio nel senso qui indicato, mi è sempre sembrato il regista Nanni Moretti che in alcuni suoi film ha anticipato, sorprendentemente, eventi che dovevano ancora avvenire come in “Palombella Rossa” in cui descrive ante litteram il declino della sinistra in Italia o, ancora più, in “Habemus Papam” in cui descrive, da vero veggente, la rinuncia del Papa al suo pontificato.
Il tempo lineare, logico, vincolato dal nesso causa-effetto è annullato dall’intuizione del regista. E’ciò che avviene sempre, del resto, nei nostri sogni quando ci rappresentiamo, per esempio, bambini in un tempo contemporaneo o adulti in una casa abitata solo in una lontana infanzia.
Questa mi sembra essere l’aria che si respira nel libro di Tiziana Gazzini che poggia il suo sguardo su straordinari personaggi della cultura: collezionisti, studiosi, artisti nei più vari campi espressivi (pittori, registi, scultori, musicisti) seguendo l’onda di quelle che lei chiama “correspondances” e che sarei tentata di chiamare “libere associazioni”, e lo fa con animo, a sua volta, da vera visionaria.
La carrellata avvincente che spazia da Gustave Moreau a Camille Claudel, da Satie a Stephen King, da Freud ad Anna Maria Ortese, per citarne solo alcuni, mi ha fatto provare una forte emozione, quasi una vertigine.
Ho fantasticato di essere nel mio studio, in una posizione privilegiata di chi ascolta una persona colta e sensibile che racconta un lungo sogno mentre associa liberamente, con leggerezza e corposità allo stesso tempo, su legami e tessiture sottili tra artisti che in tempi, contesti e modi diversi hanno costruito filosofie e realizzato opere, dipinti, romanzi, film, sculture, stili di vita. Un’esperienza per me molto speciale, nella quale ho appreso veramente tanto!
Vorrei soffermarmi su un’altra particolare impressione che ha prodotto in me la lettura di questo libro. Mi sono trovata a chiedermi se avessi letto un libro o avessi visto un film. Penso che questo sia dovuto al carattere specifico della qualità di scrittura dell’autrice. E’ veramente forte l’evocazione visiva dello stile di Tiziana Gazzini. A proposito di corrispondenze, è come se ci fosse un’ equivalenza tra stile di scrittura e materia trattata: il linguaggio diviene immediatamente immagine come se le parole e le immagini fossero fatte della stessa materia.
Sempre in riferimento al livello protomentale al quale alludevo parlando dell’area creativa originaria degli artisti, una considerazione speciale occupa la spinta ad essere tutt’uno con l’altro, cioè una tendenza alla fusione, della quale la Gazzini parla approfonditamente in alcuni casi.
Descrivendo il film di Luchino Visconti, “Ludwig”, l’autrice coglie la forte spinta del regista ad identificarsi con il folle re bavarese e ad essere non solo “come” Ludwig, ma essere proprio Ludwig. Cito le parole della Gazzini:”Durante i mesi di studio e i sei mesi di riprese, Visconti entra nella scatola cranica di Ludwig, aprendo i suoi castelli, facendoli rivivere” e ancora, parlando dell’intrigo identificatorio tra Visconti, Ludwig e Wagner “Chi deve cosa a chi- Wagner a Ludwig, Ludwig a Wagner, Visconti a Ludwig, Ludwig a Visconti, in un rimando di specchi all’altezza della galleria di Herrenschiemsee (o di Versailles)”, cogliendo una circolarità di processi identificatori che costituiscono nei protagonisti (regista e personaggi storici) il trionfo della fusionalità.
Molto interessanti le descrizioni della minuziosità quasi ossessiva di Visconti nel ricostruire alla perfezione gli ambienti, gli arredi, i dettagli. Anche questo sembra rimandare ad una spinta ad aderire all’ambiente inteso come luogo primario (madre-ambiente) di cui , direi non a caso, il regista curava aspetti sensoriali quali la temperatura o quelli tattili legati ai materiali che non dovrebbero interessare la qualità visiva di un film.
Altro esempio illuminante di un legame fusionale è quello che ha unito Anna Maria Ortese a Pasquale Prunas, sapientemente esplorato dall’autice attraverso le lettere che lei gli ha inviato (quelle di lui sono andate smarrite). Un amore, ma che tipo di amore? Una grande dipendenza, bisognosa, richiedente, accompagnata da una forte idealizzazione. L’impressione che se ne ricava è che sia stato un vincolo funzionale allo sviluppo della creatività della scrittrice. Forse un legame con l’area materna che conforta, rassicura, promuove. Tanto forte e necessario questo legame quanto duro e lacerato sembra essere stato il distacco.
Infine vorrei proporre qualche considerazione sul dandysmo. Molti artisti proposti dalla Gazzini si sono distinti per eccentricità, stile di vita non convenzionale, abbigliamento stravagante, esibizionismo, collezionismo compulsivo. Originalità dalle forme più varie, dalla raffinatezza estrema a abitudini che rasentano il barbonismo- Tutto ciò, a mio avviso, pone il tema della definizione identitaria e dell’uso e del significato della maschera . Non dimentichiamo che i vestiti, per esempio, sono in realtà una seconda pelle con la quale ci presentiamo agli altri ed è come se tutti ci mascherassimo; ma alcuni artisti lo hanno fatto clamorosamente!
Goffredo Parise , citato dalla Gazzini, così descrive il look del poliedrico artista Luigi Ontani, pittore, scultore, fotografo: “I suoi abiti sono fatti di stoffa multicolore e lucente, una sorta di raso/seta/velluto, quando sono in tinta sono cuciti con stoffe cardinalizie, alle volte ha in testa una papalina rossa a cui manca soltato la veletta. L’indumento più strano sono le scarpe, di serpente, di coccodrillo, con suola enorme come quella di certi sarti zoppi di paese, alle volte sono stivaletti d’oro, e così i guanti, d’oro”.
Se è vero che la prima immagine di sè inizia a costituirsi riflettendosi nello sguardo della madre e che esiste la tappa detta dello specchio (Lacan) nella quale per la prima volta il bambino si guarda, si riconosce e può dire “io”, è altrettanto vero che la rappresentazione di sè è un processo complesso che è condizionato dalla coesistenza in noi di aree consce edinconsce, di scissioni, di conflitti , emozioni, nodi risolti ed irrisolti, memorie e rimozioni.
Il grande psicoanalista Eugenio Gaddini , uno dei miei maestri ,sosteneva che così come il sogno manifesto è, rispetto alla coscienza, la maschera del sogno latente, così l’intera psicopatologia nevrotica, che appartiene ad ognuno di noi, è, nei suoi multiformi aspetti, una maschera della psicosi latente in ciascuno. In definitiva , questa maschera è il volto che ciascuno ha.
Potremmo quindi chiederci se, in molti artisti, quel mondo interno caotico, angoscioso, oscuro e sotterraneo eserciti un particolare richiamo essendo in loro, in qualche modo, più attingibile, più vicino e quindi più spaventoso. Questo forse spiegherebbe la necessità di un mascheramento vistoso, eccessivo, plateale.
Queste poche considerazioni certo non risolvono l’enigma e il mistero della creazione artistica. Ciò che sicuramente sappiamo è che possiamo goderne abbandonandoci ad essa. E il libro “Visionari” ci invita e ci incoraggia a farlo.